capitolo 49/50/51

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capitolo 49.

"Bene, bene, bene... Ecco qui la bellissima Kelsey Jones. Come stai tesoro?" una voce tubò beffardamente da dietro. Camminando velocemente, cercando di ignorarlo, Kelsey urlò per la sorpresa quando qualcuno le afferrò il braccio, tirandola indietro. "Tuh, tuh, tuh, tua madre non ti ha insegnato le buone maniere?" Sorrise. "Non è educato ignorare le persone." "Lasciala andare!" Girandosi, l'uomo sorrise quando video Justin respirare pesentamente, come se avesse appena corso una maratona. "Guarda chi finalmente ha deciso di unirsi a noi", si girò per guardarlo in faccia, spostando anche il corpo di lei mentre la teneva stretta. "Lasciala andare," ringhiò ancora una volta. "Lei non ha niente a che fare con questo." "Oh, mi permetto di dissentire." Sorrise." "Vedi, lei è proprio la giusta preda da catturare e non mi dispiacerebbe averne n pezzo per la cena. Dimmi, non ha un buon sapore?" "Figlio di puttana!" Corse verso di lui, ma una forza lo trattenne. "Cosa cazzo?" sputò mentre cercava di liberarsi . Mentre lottava, altre persone uscirono dall'ombra, unendosi alle risate del rapitore di Kelsey. "Justin!" Kelsey urlò con tono disperato, cercando di scappare dalla mani che le tenevano il corpo stretto. "Scusa piccola, ma Justin è un po' legato al momento" rise mentre si girava, portandola con sè. "Justin!" gridò tirando calci in aria per cercare di allentare la presa sul suo corpo in modo che potesse liberarsi, ma lui era più forte di lei. Cercando di raggiungere le sue mani, Justin tentava di avvicinarsi ma non importava quanto si sforzasse, era come se fosse cementificato a terra. "Justin!" Punto di vista di nessuno: Nessuno disse una parola mentre lasciavano l'ufficio di Lyndon in fretta, per poi catapultarsi verso la macchina come se la loro vita dipendesse da questo - e in un certo senso era vero. Justin non riusciva a cancellare quella sensazione che aveva alla bocca dello stomaco, e agitandosi sul sedile, il suo cuore era praticamente pronto a cadere dal petto. Era come se tutto il suo mondo si fosse fermato e si fosse schiantato contro di lui, una sensazione troppo familiare che aveva provato molte volte prima, ma questo era diverso - poteva sentirlo. Non era come ogni altra volta nella sua vita, dove sapeva quello che doveva fare e quello che stava per affrontare. Non aveva assolutamente idea di quello che sarebbe successo e una parte di lui urlava di tornare idietro e nascondere la verità perché era qualcosa che non era destinato a scoprire. Lui non era pronto per questo e il suo intestino lo sapeva - aveva semplicemente scelto di non seguirla. Perso, non sapendo cosa fare e dove andare, Justin si muoveva avanti e indietro come un drogato di crack; aveva bisogno di mettere tutto apposto e ne aveva bisogno subito. Neanche il traffico lo aiutava. "Fanculo tutto," grugnì mentre si fermavano dietro a un'altra macchina ad un semaforo rosso. Aprendo la portiera, non guardò nemmeno indietro e iniziò a correre nella direzione dell'ospedale. Non diede nemmeno importanza al fatto che l'ospedale distava miglia e miglia o che avrebbe sudato come un maiale perché l'unica cosa che voleva era raggiungere quell'ospedale e arrivare al suo fianco in tempo. Correndo attraverso l'ingresso del pronto soccorso, seguì la linea di tante porte che conducevano alla sala d'attesa che era affollata. Le pareti bianche gli fecero rivoltare lo stomaco per gli innumerevoli ricordi che lo avevano portato qui. Da tutte le ferite che aveva ricevuto negli ultimi anni, al colpo di pistola di un paio di mesi fa, niente era più doloroso di sapere che non era lì per lui o per uno dei ragazzi di nuovo, ma che era lì per Kelsey. Non aveva alcun senso per lui. Perché doveva essere lei e non lui. Avrebbe preso il suo posto senza neanche pensarci, anche se ciò significava morire, perché Kelsey era l'angelo e lui il diavolo che le aveva ceduto l'anima molto tempo fa. In piedi, circondato da così tante persone in attesa del destino dei loro cari, le sue mani iniziarono a tremare al pensiero che il destino di Kelsey era segnato. Non doveva essere così. Avrebbe dovuto abbandonare la sua vecchia vita per iniziarne una nuova. Dovevano cresvere felici e invecchiare insieme, avere dei figli e ora sembrava che questo non sarebbe successo. Era come se la sua vita non sarebbe andata nel modo in cui sperava, ma era come se fosse controllata da qualcun altro che voleva vederlo crollare. Correndo verso la reception, Justin posò i palmi delle mani sul bancone di marmo, respirando affannosamente. "Kelsey Jones?" "Mi scusi?" "Kelsey Jones, in che stanza è?" Separando le labbra, la receptionist guardò sullo schermo del computer prima che l'azzurro dei suoi occhi penetrasse in quello di Justin attraverso le lenti dei suoi occhiali, "Mi dispiace, ma gli orari di visita sono-" "Sono il suo cazzo di fidanzato," sbottò, "in che camera è?" "Signore, si deve calmare," disse la guardia di sicurezza, facendo un passo verso di loro dopo aver notato la scena tra di loro. "Non dirmi di calmarmi," Justin ribollì, "Ti spezzo il collo a metà cazzo." Raggiungendolo, socchiuse gli occhi verso di lui. "Se non fa un passo indietro, ti farò-" 
"Mi farai che? Per cosa?" Justin fece un passo in avanti, inclinando la testa di lato. "Hm? Per aver detto la verità? Perché prometto che ti metterò le mani intorno alla gola più di veloce di quanto tu pensi."
"E' nella stanza 110," l'infermiera interruppe rapidamente il discorso, mettendo una mano davanti alla guardia e facendola tacere, non voleva essere causa del dibattito. Girandosi verso di lei, Justin le fece un cenno prima di tornare a fissare l'uomo davanti a lui, spingerlo e passare oltre verso le doppie porte che conducevano a una sala molto più grande di quella in cui era appena stato. Era nel suo piccolo mondo e non si era nemmeno accorto che i ragazzi erano finalmente arrivati, fino a che non sentì le loro voci che chiedevano al fratello di Kelsey. Così corse attraverso un'altra serie di porte portandolo alla clinica di emergenza di coloro che erano stati gravemente feriti, causando al suo cuore un battito in meno. Girando l'angolo, Justin sentì il suo cuore fermarsi quando vide Carly in piedi con le braccia incrociate, sembrava avesse pianto per ore. I suoi occhi erano rossi come il sangue, il naso di una tonalità rossa. Tirò su e se lo asciugò come se lo avesse fatto tantissime altre volte. Era come se fosse bloccato in un'altra dimensione, non poteva afferrare il concetto che questa cosa stava realmente accadendo a lui in questo momento. Appena Carly si voltò verso di lui, lo guardò negli occhi "Justin," sussurrò dolorosamente, il labbro inferiore tremava leggermente come lo sguardo nei suoi occhi. Sapeva che stava per perdere il controllo e aveva anche la sensazione che l'avrebbe fatto. "Dov'è?" "Justin-" "Carly," scosse la testa, "No e dimmi dove si trova." Guardando la stanza situata alla sua destra e dopo tornando a guardare Justin, lui iniziò subito a camminare verso la porta. "No!" gridò, "non puoi entrare." Gli bloccò lo strada, stava lì con i suoi occhi imploranti, chiedendo di ascoltarla, ma lui si rifiutò. "Spostati," ordinò. "Non è la stessa persona," cercò di farlo ragionare. "Se entri, non vedrai chi ti aspetti di vedere. Vedrai una persona completamente diversa. Non fare questo a te stesso," sussurrò. "Lei non vorrebbe che tu la vedessi così."
Stringendo la mascella, Justin combattè la voglia di urlare dall'agonia. Voleva che tutto questo fosse uno scherzo orribile, uno scherzo fatto da Carly per fotterlo mentalmente e fargli capire tutta la merda che aveva provocato alla ragazza che amava, ma più se ne stava lì a guardarla, più la realtà affondava dentro di lui. "Lei ha bisogno di me," disse. "E io ho bisogno di lei e niente cambierà questo quindi per l'ultima volta, spostati." Spingendola, Justin quasi inciampò sui suoi piedi, mentre armeggiava con la maniglia della porta prima di riuscire a girarla e a entrare dentro. Camminando nella stanza, quasi crollò nel vederla. Diversi fili erano collegati a ogni vena vitale del suo corpo per impedirle di perdere ossigeno La sua testa era avvolta con diversi lividi sparsi da centimetro a centimetro sulla sua pelle, ferite che la solcavano come un veterano appena tornato dalla guerra. Il suo occhio sinistro gonfio e il labbro inferiore cucito come se avesse ricevuto un colpo inaspettato. Lì, Justin potè capire quello che Carly intendeva, non riconoscendo più una sola caratteristica sul suo volto amato. Era stata pestata a sangue, da quanti non ne aveva idea, ma era miracoloso che avesse persino sopravvissuto a un colpo come questo. Soffocando un gemito di dolore, e non sapendo cosa dire o fare, non riuscì a controllare più le emozioni che attraversavano il suo corpo, fece un passo verso di lei e le prese la mano nella sua. Sentire il solito calore che adesso era stato sostituito da una freddezza glaciale, fecero trapelare qualche lacrime dai suoi occhi. Con le spalle curve, nessuno osava dire una parola mentre stavano sulla soglia a guardarlo e mentre lui si ruppe davanti a loro. Scuotendo la testa, usò la mano libera per ripulire il suo viso dalla lacrime. "Mi dispiace," disse sussurrando. "Sono così.. così dispiaciuto." Cadendo sulla sedia libera a lato del letto, coprì la mano di Kelsey con la sua e con fermezza premette le sue labbra prima di appoggiare la sua fronte al suo braccio. Il silenzio prese il sopravvento mentre sedeva lì, soffermandosi su come avesse potuto far sì che tutto questo accadesse. Come aveva fatto a lasciare che le cose arrivassero a questo punto, non l'aveva capito. Stava finalmente cominciando ad abbattere quei muri, la vita l'aveva cresciuto così, abituato a dissolversi lentamente in un lontano ricordo in modo da poter creare una nuova vita con lei, ma ne erano stati negati il tempo e le opportunità più volte. Dopo aver sentito un colpo leggero alla porta, Justin non ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo da lei. "Mr. Bieber?" Quando non si mosse, continuò.
"Sono il dottor Spinelli, mi prenderò cura di Kelsey questa sera. Ho bisogno che lei esca per qualche secondo in modo da poter eseguire alcuni esami. Andrà tutto bene." "Sta andando tutto bene?" sussurrò "Proveremo a fare il nostro meglio". Improvvisamente la sedia raschiò duramente contro il pavimento e Justin si alzò, afferrandolo dal colletto della camicia "Lei non deve provare. Lei deve farlo.” “E’ necessario che si calmi” – spingendolo indietro, Justin fissò l’uomo che inciampò all’indietro, quasi colpendo il muro, talmente tanta la forza con cui si avventò su di lui. “Non-“ lo avvertì “dirmi cosa fare. Faccia il suo fottuto lavoro e la salvi.” "Justin, uomo" John intervenne, sapendo che era una situazione difficile, ma sapendo anche che Justin non voleva essere buttato fuori a causa di questo "non farlo". "Chiudi quella cazzo di bocca" replicò bruscamente "nessuno ti ha chiesto un cazzo." "Questo è un ospedale, signor Bieber, e proprio come a qualsiasi altra persona, le chiediamo di tacere, o dovremo per forza farlo uscire da questa stanza. “Sai cosa vuol dire?” chiese “Quando ti senti come se stai per annegare e non puoi respirare? Come se tutta la vita ti si fosse stata strappata dalle mani e ti senti cadere in un buco nero?” guardando verso Kelsey, scosse la testa “Questa ragazza è tutto per me. Lo capisce? Perché io credo di no." mettendosi una mano tra i capelli, li tirò alle estremità "Sono stato qui innumerevoli volte, perché ho meritato di essere qui, perché ho fatto cose che mi hanno portato qui, ma lei? Lei non meritava questo" disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. "Io merito di stare lì" indicò se stesso “Me. Lei non voleva questo. Lei non voleva niente di tutto questo, ma è ancora fottutamente bloccata e non ho idea del perché." "Justin, perché non andiamo a prendere un po' d'aria ?" Bruce fece un gesto verso la porta, e fece cenno con la mano di seguirlo. "No" alitò; la sua visione opaca, mentre fissava a lungo e duramente i lividi in tutta la sua pelle, la pelle che prima aveva baciato, la pelle che avrebbe protetto come se fosse la sua. "Ho fatto una cazzata. L’ho fatta grossa, e non c’è modo di tornare indietro.” Raggiungendolo e afferrando il suo braccio, Bruce fu ripreso dalla sfuriata che seguì “Non mi toccare!” Justin urlò a squarciagola, sconvolgendo i cuori di tutti nella stanza. Silenzio. "Dovevamo essere felici, sai" sussurrò, mentre i suoi occhi guardavano il suo viso ancora una volta "avevamo finalmente deciso di essere felici." Ripreso dal primo singhiozzo che riempiva l'aria, Bruce rimase sbalordito mentre guardava la scena svolgersi prima di lui. Scrollando tutte le emozioni che scorrevano attraverso il suo corpo, scuotendo violentemente le spalle, Justin si piegò in due mentre cadeva in ginocchio. Bruce fece cenno a tutti di uscire, chinando rispettosamente la testa verso il medico, sussurrandogli che aveva bisogno di appena un minuto prima che lui accettasse l’accordo. "Un minuto e non un secondo di più" . " Se aspettiamo ancora, alla fine, le faremo solo più male" "Le ho fatto una cazzata ... una cazzata molto brutta" scuotendo la testa, Justin si strozzò con la saliva non appena deglutì, cercando di scacciare il mal di testa; ma proprio come il suo cuore, non sarebbe andato via. "Ascoltami" Bruce sottolineò, inginocchiandosi accanto lui “Lei non vuole che tu faccia questo” “Niente potrà mai fare per questo" rispose come un robot, come se fosse in un mondo completamente diverso. "Justin" scuotendolo, Bruce tirò le sopracciglia in una smorfia, iniziando a tirare calci, preoccupandosi. "Justin!" urlò in un sussurro, catturando la sua attenzione. Con gli occhi rossi, Justin annusò come un bambino che ha pianto perché ha perso la sua mamma "si?" "Andiamo, uomo, lascia che i medici facciano il loro lavoro..." mormorò mettendosi in piedi e portandolo con lui mentre camminavano insieme, lasciando che i medici si dessero da fare. Erano lì in attesa di notizie sulle condizioni di Kelsey. Non avevano dormito per giorni ed era come se si fossero svegliati per la prima volta. Con le braccia incrociate, Justin non si preoccupò di confermare la loro esistenza, dato che teneva gli occhi addestrati alla porta che era ormai chiusa, escludendo tutti da quello che stava accadendo all'interno della stanza. "Merda" Carly imprecò sotto il naso. Curioso, Justin si volse a vedere la madre e il padre di Kelsey fare la loro strada con Dennis alle loro spalle. Separando le sue labbra, Justin fece un respiro tagliente, non avendoli visti per un lungo tempo "Oh, fanculo a me, all'inferno" Prendendo l’iniziativa, Carly fu la prima a parlare, evitando di far scoppiare una guerra. Si mosse verso i signori “Hey, Signor e Signora Jones” li accolse con un sorriso, mascherando l’evidente tristezza “Oh, tesoro” gettando le braccia intorno al suo collo, la madre di Kelsey affondò la testa nella nuca di Carly, mentre lei si aggrappava sul suo collo. "Come sta? Lei sta bene?" "Non lo sappiamo ancora" Carly sussurrò e lei si strinse ancora una volta prima di sfilarsi via e infilare una ciocca di capelli dietro l'orecchio, "stanno ancora eseguendo gli esami." "Quanto tempo ci vuole?" Il padre di Kelsey era immerso in una certa impazienza - come ogni padre farebbe in una situazione come questa. "James" ribatté lei, rimproverandolo consapevolmente. "Maria" egli replicò, altrettanto tagliente. Scuotendo la testa con le labbra pressate in sgomento, piegò la fronte in disappunto evidente prima di girarsi e notando Bruce e gli altri in piedi fianco a fianco "E chi sono questi signori?" Non ci volle molto tempo prima che la coppia si trascinò verso il gruppo di uomini davanti a loro, ma i loro occhi si posarono su Justin. Congelando sotto il loro sguardo intenso, fece una smorfia di disgusto "questi non sono gentiluomini, tesoro” disse lentamente "loro sono dei mostri." "Basta, James.” “Abbiamo già parlato di questo." "Abbiamo anche parlato di mantenere nostra figlia al sicuro, ma guarda com'è finita." Mordendosi la lingua, lei ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di scendere in superficie, mentre un sorriso forzato per abbellire le labbra spuntò sul suo viso, alzando le sopracciglia in continuazione alla sua domanda. "Questo è il mio fidanzato, John" Carly tranquillamente lo presentò, avvolgendo un braccio attorno alle spalle, tirandola verso di lui, lasciando un dolce bacio al lato della testa. "Sei legata con loro?" James scoppiò in una risata tagliente, "ora so dove mia figlia ha preso le sue scelte sbagliate." "Scusami?" lei aggrottò le sopracciglia . "Mi aspettavo di più da te, signorina." “Senza offesa, signore, ma lei non è mio padre" trattenne Carly "Oh?" piegò la testa di lato "allora lui dov'è?" "James!" Maria urlò in stato di shock in seguito alle dure parole che uscivano dalle labbra del marito. "Tu, figlio di puttana" John ringhiò mentre faceva un passo in avanti, ma Carly lo fermò mettendogli le mani al petto. "Smettila" sibilò "Non qui, okay? No. Sto bene" lo rassicurò. Quando lui la guardò, annuì per confermare, però lo sguardo nei suoi occhi gli disse tutt’altro "Lo prometto". Stringendo i denti, puntò duramente gli occhi sul padre di Kelsey. Distolse lo sguardo una volta che la porta si aprì e il medico uscì. Cliccando la penna, la infilò nella tasca della giacca. "Come sta?" tutti lo interrogarono contemporaneamente. Alzando lo sguardo, fu quasi ripreso dalla quantità di persone che erano ammassate nel corridoio, quando appena pochi minuti fa non c'e n’erano molte "Salve. Non mi pare di esserci incontrati.” Tese la mano verso Maria e James “Sono il dottor Spinelli." "Sono Maria, la madre di Kelsey e questo è suo padre, James," fece un cenno al suo fianco mentre faceva un passo in avanti per avvicinarsi. "Sta bene?" Justin provò ancora una volta, gli occhi sbarrati dalla disperazione. Non sapendo come affrontare la questione, ingoiò il nodo che aveva in gola mentre tutti si preparavano, consapevoli che non sarebbe stata una bella notizia. "Ha subito un grave trauma alla testa che ha provocato lo spostamento nel suo cervello dei vasi sanguigni e fibre nervose per strappare automaticamente un rigonfiamento," fermandosi un momento, continuò "Il gonfiore preme verso il basso sui vasi sanguigni, bloccando il flusso del sangue e ossigeno al cervello, e per questo è caduta in un coma profondo." Un sussultò venne emesso nell'aria. "E' davvero grave che lei si svegli o no. Di solito non ci vogliono più di 2-4 settimane fino a quando decidiamo di dichiarare la loro morte cerebrale o in uno stato vegetativo." 

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