Homeland

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And love is a ghost that the others can't see
It's a danger

Barcellona, 11 maggio

Daphne non passava molto tempo in Spagna durante l'anno.

Qualche settimana durante la pausa invernale, qualche giorno in estate per le vacanze e la settimana del Gran Premio e dei test. Il suo paese natale non era più la sua casa da molti anni ormai, così come la città in cui era nata, Madrid, non l'aveva vista per sei lunghi anni prima di gennaio, quando ci era stata insieme a Marc e poi per lavoro. L'ultima volta che c'era stata, a Natale del 2012, se n'era andata a seguito di una pesante lite con sua madre e da quel momento aveva deciso che non c'era più bisogno di farvi ritorno. Era stata piuttosto dura all'epoca, allontanarsi così all'improvviso da tutte le sue cose e dal posto in cui era cresciuta, ma con il tempo vi aveva fatto l'abitudine e si era ricostruita una vita con i suoi prozii, fratello e cognata di suo nonno. E con loro, a Como, aveva vissuto alcuni degli anni più felici della sua vita.

Fu per questo molto difficile salutarli la mattina del sei maggio, prima d'imbarcarsi per un aereo che l'avrebbe riportata in Spagna dopo i test di marzo. Ma le cose erano cambiate rispetto all'ultima volta in cui vi era stata e ritoccare il suolo spagnolo dopo tutti quei mesi la fece sentire strana. Improvvisamente su di lei si abbatté la consapevolezza che con poche ore di treno avrebbe potuto raggiungere Madrid e andare finalmente a parlare con sua madre, informarsi delle sue condizioni parlando con i medici e con suo padre. L'avrebbe messo alle strette dopo tutti quei messaggi ignorati bellamente.

Avrebbe anche potuto cercare per l'ennesima volta di dimostrare a David che sapeva come mettere una pezza sui propri errori e andare avanti.

Ma non le era ancora possibile, doveva lavorare prima e pensare alla sua carriera. Se si era allontanata così tanto dalla Spagna e dalla sua famiglia era proprio per quello e lei non aveva la minima intenzione di lasciare che tutto andasse in fumo per le sue debolezze e per i suoi problemi. Per quanto riguardava il suo lavoro, la Formula Uno, doveva dimostrarsi più forte di qualsiasi altra cosa.

Tuttavia, non sapeva neanche perché e da cosa dipendesse, Daphne sentiva che quella gara sarebbe stata una bella prova per i suoi nervi già abbastanza provati.

***

Charles e Daphne si buttarono contemporaneamente sul grande divano presente nella hall del loro hotel al centro di Barcellona e si scambiarono uno sguardo assonnato, prima di portarsi alla bocca una tazzina ricolma di caffè per Charles e tè per Daphne. Ludovica, in piedi di fronte a loro con le mani sui fianchi fasciati da una gonna di jeans, li guardò con leggero disappunto. Poi con uno sbuffo voltò loro le spalle e si diresse a grandi falcate verso il piccolo bar, raggiungendo un alquanto pimpante Lewis.

Charles la seguì con la coda degli occhi mentre spalancava la bocca in uno sbadiglio degno di nota. «Dici che voleva che le ordinassimo un caffè?» si rivolse alla sua amica bionda inclinando il viso verso destra e abbassando leggermente le palpebre.

Daphne scrollò le spalle e si strinse nella polo del team sentendosi rabbrividire per il freddo. «Probabilmente si» sbadigliò, strofinandosi poi gli occhi con le mani chiuse in due piccoli pugni. Abbassò lo sguardo sull'orologio che aveva al polso e poi lanciò un'occhiata ricolma di rabbia verso il suo personal trainer che si trovava vicino all'ingresso e stava chiacchierando allegramente con Angela. Quella mattina Ben l'aveva buttata giù dal letto alle sei meno un quarto, costringendola ad andare a correre sulla Barcelloneta -che comunque non si trovava molto lontana dall'hotel- e poi a ritornare, fare colazione e prepararsi per andare al circuito entro le nove. In pratica le aveva fatto correre una maratona senza prima avvertirla.

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