33. Ary: Ehilà

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Faceva uno strano effetto tenere la sua mano in quel modo. Sembrava quasi normale.

La sua mano non mi era familiare per niente, eppure non sentivo repulsione.

Tornai a guardare il volto di Nathan che camminava accanto a me e che teneva lo sguardo verso il soffitto.

C'era un sorriso accennato sulle sue labbra quando disse:«Non ho mai considerato nessuno mio amico, a dirla tutta.»

Mi accigliai ancora di più.

«Essere amici significa condividere. Ma condividere significa doversi amalgamare a qualcosa, stare sullo stesso piano della persona con cui devi condividere le cose... Ma non ho mai condiviso nulla con qualcuno che non spaventasse a morte le persone attorno a me.
E anche se lo facessi e venissi accettato comunque, significherebbe dare le mie redini a qualcuno e lasciare che guidi quella parte di me. Io...»

«Hai paura di essere rifiutato per quello che sei?» chiesi pensando di concludere la sua frase.

Nathan tornò a guardarmi.

«Non esattamente. So che c'è gente che mi accetta o che mi accetterebbe anche se rivelassi quel che sono. Però se lo facessi... Sarei vulnerabile a loro.»

Mi accigliai ancora di più.

«È perché mi stai raccontando questo di te?» chiesi.

Non hai paura che ti rifiuti?
Non hai paura che mi spaventi?
Non hai paura di essere vulnerabile davanti a me?

Fu quello che volli chiedere, ma che non dissi.

«Voglio che tu sappia tutto di me. Voglio essere un bravo partner e voglio darti tutto, svelarti tutto, mettermi a nudo per così dire.» avanzò senza imbarazzo.

«Ma... Ma sei stupido?! Chi è che si rivela così alla persona che l'ha già ferito una volta?!» esclamai abbassando lo sguardo e stingendo la presa della sua mano per il nervosismo.

«Non mi importa essere ferito da te. Te l'ho detto Ary, tu sei il mio sole e talvolta il sole scotta, ma è sempre, sempre, sempre necessario.» poi mi sorrise di nuovo.

Ma è sempre stato così?! Ha sempre avuto questo tipo di personalità?!

Appoggiai la mano libera sulla mia guancia e la sentii accaldata.

***

«Al sta bene» disse Alan più a se stesso che a uno di noi.

Lo stava ripetendo come un mantra da quando avevamo iniziato le ricerche e dopo più di un'ora non avevamo ancora incontrato nessuno.

Almeno non avevamo trovato nessun corpo tra i detriti.

Ora che tutto l'edificio era crollato, realizzai quanto fosse inutilmente enorme quella Base, soprattutto per un luogo abitato da così poca gente.

Abigail Cray era sospettosamente silenziosa e mi lanciava sguardi assassini così spesso che avevo voglia di sbottare e darle un pugno in faccia.

Non è che non la capissi. Aveva una cotta per il fratello adottivo da tempo immemore. Più o meno da quando ci conoscevamo.

Sì, da questo punto di vista sembro la stronza di turno.

Riflettei fra me e me.

Pensavo fosse sempre ostile con me perché imitasse il fratello...

«Sta bene» disse Nathan ad un tratto. Avevamo dovuto cambiare strada diverse volte per via di detriti crollati che ci sbarravano la strada, rendendo le ricerche praticamente impossibili.

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