Poi avevo un piccolo naso all'insù che stonava in un modo pazzesco con la grandezza dei miei occhi. Le proporzioni del mio viso se l'era mangiate Chips ― non domandate il perché di quel nome ―, il mio gatto di nove anni, una grande palla di lardo rossiccia.

Le labbra erano molto fini e quando sorridevo sembravano scomparire mentre quelle di quel cretino di mio fratello erano abbastanza carnose e di una forma simmetrica. Tutte le fortune agli altri. La forma del mio viso - per fortuna - era ovale e non a diamante come quello di mia madre. Se lo avessi avuto con quella forma, il mio viso sarebbe sembrato come se me lo avessero risucchiato con l'aspirapolvere dal mento.

La mia pelle era pallida e molto spesso lucida e, sulla fronte avevo una voglia al caffè latte, enorme quanto il Texas, che ne occupava la metà. Una cosa che odiavo perché sin da bambina mi avevano sempre presa in giro, dicendo che sembravo malata o che avevo qualche malattia contagiosa, motivo per cui d'allora portavo il ciuffo in quella parte del viso.

Purtroppo a scuola ― nonostante il mio aspetto da non modella di Victoria's Secret ― non passavo inosservata. L'essere la "piccola sorellina" di Jeremy Hopkins faceva si che a scuola tutti sapessero chi fossi, quello che facevo, le amicizie che frequentavo e che corsi seguivo. Ogni cosa. Tutti parlavano di me, ma nessuno provava minimamente a parlami alle spalle, erano troppo terrorizzati da mio fratello, uno dei migliori amici del quarterback della squadra di football ― anche lui giocava in essa ―, e da quello che avrebbe potuto fare. Solo quelle oche delle cheerleaders osavano prendersi gioco di me e mio fratello ai loro insulti rideva, rideva come un cretino ― ah, no, lo era per davvero. Non che mi importasse qualcosa di quello che dicevano quelle stupide ragazze fatte con lo stampino; d'altronde, il loro quoziente intellettivo sommato insieme non arrivava nemmeno a sfiorare il mio.

«Mostro, vuoi muoverti?! Le tue amiche sono già di sotto che ti aspettano», sbraitò mio fratello entrando senza avvisarmi nel bagno e facendomi sobbalzare per lo spavento e stritolare il tubicino mezzo vuoto del dentifricio che schizzò tutto il contenuto nel lavandino. Maledetto Jeremy!

Lo fulminai con lo sguardo. Bastardo, lo aveva fatto apposta. «Sì, mi muovo. Ora smamma, prima che ti rifili un calcio nelle palle», sibilai, mostrandogli il dito medio per poi spingerlo a suon di calci del sedere fuori dal bagno.

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Non feci in tempo ad appoggiare entrambi i piedi sul pavimento di mattonelle color crema del salotto che Maryse e Megan ― le mie migliori amiche ― mi saltarono al collo, stritolandomi in un abbraccio affettuoso che stava a significare "mi sei mancata durante le vacanze".

«Ciao ragazza schianto», mi salutò calorosamente Maryse una volta sciolto l'abbraccio. Roteai gli occhi per quel soprannome che Mary mi aveva affibbiato l'anno scorso dopo essermi schiantata al suolo davanti alla mia cotta centenaria. Una figura di merda che avrei voluto tanto dimenticare, ma a cosa servivano le migliori amiche se non a ricordarti delle tue figuracce più orribili per tutta la tua vita?

La mia cotta non era altro che James Sullivan, il migliore amico di Morgan Cooper ― il quarterback per eccellenza ― e a differenza di quello che si potrebbe pensare, lui era un bravo ragazzo. Era molto gentile, o almeno quando era da solo si comportava gentilmente mentre quando era con Morgan sfoggiava la sua parte da bastardo strafottente. A volte mi chiedevo quale delle due personalità potesse essere quella vera. Magari gentile o magari strafottente oppure entrambe. Solo lui lo sapeva, era molto bravo a camuffare le sue emozioni.

«Ciao Mavis, tutto bene?», Megan la più apprensiva delle due, mi sorrise affettuosamente mentre appoggiava una mano sulla mia spalla e mi fissava con circospezione. Sì, lo sapevo anche io di avere un aspetto orribile e che le mie occhiaie sembravano rispendere anzi sparire grazie al correttore. Facevo altamente schifo a truccarmi e quelle due lo sapevano benissimo, ecco perché quasi sempre uscivo struccata.

Falling for a ChallangeWhere stories live. Discover now