• Capitolo XLIII •

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Avviate il video qui sopra arrivati al SECONDO spaccato del capitolo. Buona lettura!

Centoventinove passi.
Era di centoventinove passi la distanza che separava l'inizio dell'isolato alla scalinata del grattacielo in cui abitava Blake. Li aveva contati un giorno, uno di quelli in cui non si hanno troppi grilli per la testa, quando hai tempo per tutto e tempo per nulla.
Osservava dalla finestra il viale in ordine, con le aiuole ben potate, i marciapiedi lisci e puliti, e pensava che, di tutti quei centoventinove passi, non ne vedeva percorrere nemmeno uno a Skyler. La luna dominava in cielo già da parecchie ore e il suo orologio da polso aveva segnato da pochi minuti le ventitré. Ma di quella ragazza nulla, non ne sapeva nulla oramai dalla mattinata. Era un atteggiamento crudele, si ripeteva, camminando avanti e indietro lungo il salotto, che difficilmente sarebbe riuscito a perdonarle. Perché quella nottata, per lui, non era affatto una qualunque e ordinaria nottata: era l'ultima sera che avrebbe vissuto nelle vesti di balancer, l'ultima prima di iniziare una nuova vita, prima di caricare sulle spalle una ben più grossa responsabilità.
Diventare uno dei bracci destri di Mr. Peace. Il solo immaginarlo, tre mesi prima, gli avrebbe provocato un intenso brivido lungo le braccia fino a raddrizzargli la schiena e ad impettirlo di fronte a quelle invitanti fantasie di successo. Eppure, ora che ci rifletteva, il primordiale entusiasmo era svanito via come nebbia sulla valle, per lasciare spazio ad una sensazione di disorientamento e timore. Sì, forse aveva paura. Forse, d'un tratto, sentiva di non esser più pronto a quel salto nel vuoto o, forse, quel senso di soffocante disagio dipendeva proprio dalla consapevolezza di essere giunto alla svolta e di esserci arrivato esclusivamente per propria volontà. Qualunque fosse il motivo di quel dubbio che gli si era innestato nel cervello, Skyler non c'era e, con tutta probabilità, non si sarebbe fatta viva. Come poteva trattarlo così indegnamente? Con che coraggio avrebbe dovuto guardarlo in faccia? Lui, lui che le aveva concesso il privilegio più bramato in quel maledetto pianeta. Lui che le aveva concesso la Vita, nel suo significato più puro. Perché lo stava abbandonando? Perché proprio quella notte?
Aveva bisogno di lei, riusciva a percepirne l'esigenza. Necessitava di quella presenza e, allo stesso tempo, la odiava perché ormai completamente dipendente.
Il cagnolino osservava i movimenti compulsivi del suo padrone, che continuava da ore in un insistente passeggio lungo tutto il perimetro della stanza. Le sue orecchie si drizzarono quando sentì un rumore familiare provenire dal pianerottolo.
Blake, allora, ruotò di scatto il bacino verso la porta d'ingresso. Era Skyler che, sommessamente, aveva finalmente fatto rientro.
Il balancer la guardò procedere lentamente dentro l'appartamento e strinse la mandibola, abbandonando in fretta il salotto e fiondandosi sul corridoio.
La ragazza assistette a quella reazione, capendone immediatamente i motivi, e lo seguì fino in camera.

"Sei arrabbiato e posso comprenderlo."
"Dove cazzo sei stata. È da stamattina che cerco di contattarti." esordì, impulsivo.
"A lavor..."
"PUTTANATE!" interruppe immediatamente Blake, alzando animatamente il tono.
Si passò una mano fra i capelli, voltandosi verso la giovane, "Ti ho cercata al locale, questo pomeriggio. Non c'eri. Connor mi ha detto del tuo licenziamento."
A quelle parole, Skyler scostò lo sguardo: non si era mai sentita più stupida di così.
"Dove sei stata." ribadì, cercando di mantenere i nervi saldi.
"...In giro. Senza una meta precisa, se proprio vuoi saperlo." rispose lei.
Non sapeva come avrebbe potuto sostenere quella conversazione. Si era convinta di entrare in quella casa, trovandolo già a letto, concentrato in quella che sarebbe stata l'impegnativa giornata seguente. Invece lui era lì, in piedi, e l'aveva attesa per interminabili ore. Era lì che aspettava sue spiegazioni, risposte sincere che lei non avrebbe potuto dargli.
"Volevo staccare la spina per un po' di ore." proseguì, senza guardarlo in viso, "E non pretendo che tu lo capisca."
A Blake scappò una mezza risata carica di rancore, "Sei il soggetto più egoista che io abbia mai conosciuto. Hai persino superato me."
La ragazza corrugò la fronte, "Credimi, vorrei tanto concedermi il lusso di esserlo. Tu non hai idea della guerra che ho dentro."
Il balancer, allora, stese il braccio sinistro verso il comodino, buttando giù la lampada in resina bianca. A volte aveva l'impressione di manifestare più empatia di Skyler, nonostante il suo essere totalmente inesperto in ambito di sensazioni, sentimenti.
Si era sempre preoccupato per lei, si era fatto carico dei suoi sfoghi e aveva soddisfatto le sue esigenze, mettendo da parte i suoi stessi ideali, rendendo più che discutibile la sua condotta, la sua credibilità agli occhi di tutta Osmium. Eppure, in certi momenti, era come se a lei importasse più tutelare sè stessa anziché porsi l'interrogativo di come potesse sentirsi lui.
Ansimava vistosamente, in preda a questi pensieri che gli formicolavano sulle tempie, mentre la ragazza, muta, guardava i cocci della lampadina sulla moquette.
"Hai mai pensato, anche per un solo fottuto secondo, che forse mi sarebbe stato d'aiuto il tuo supporto, oggi?" le chiese, riprendendo il controllo dei respiri.
"L'unica cosa che penso è che dovresti calmarti." disse, subito, lei.
"Vaffanculo..." Blake la scansò in malo modo, tornando nella sala principale.
Skyler gli andò dietro, per l'ennesima volta, in un inseguimento scostante e compulsivo.
"Posso buttare giù l'intero appartamento, se voglio!" urlò lui, battendo una mano sul petto e rovesciando qualche piatto dalla mensola della cucina.
"Allora fa pure!" infiammò lei, allargando le braccia.

OSMIUM - Il pianeta senza amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora