Capitolo I

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«Francesca, sono le sette, tirati su da quel letto!».
Mi scopro una parte del corpo alla volta, partendo da un braccio. Le sette di mattina, a dicembre, in questa casa sembrano le sette di mattina che affrontano i Siberiani. L'azione di ''scoprimento'', come la definiamo io e la mia migliore amica Marta, ha una durata fissa di dieci minuti, che nel mondo di mia madre devono essere circa quarantacinque, visto che la sento inveire contro di me come una pazza.
La mamma è così, a volte le capita di svegliarsi con il piede sbagliato e allora non c'è Santo che tenga. Ecco perché metto il turbo ed in un batter d'occhio mi ritrovo seduta al tavolo in cucina, con mamma al lavello che pulisce la sua tazza e la caffettiera ad un ritmo che farebbe imbarazzare il Pit Stop della Ferrari.
«Lì ci sono le fette biscottate, il miele e la Nutella, vedi tu cosa preferisci. Ti ho fatto anche un tè perché mi sono accorta che bevi poco», si gira a guardarmi con il guanto in gomma ancora immerso nella tazza ed aggiunge: «te lo dico sempre, dovresti bere almeno un litro e mezzo d'acqua». È vero, me lo dice sempre, ma a me bere per forza fa schifo. Però i tè che mi prepara la mamma sono buonissimi e mi riscaldano tutto il corpo e io spero che d'ora in poi me li prepari tutte le mattine.
Finita la colazione sparecchio, sistemo la tovaglia e mi fiondo a prepararmi nel bagno riscaldato dalla stufetta. (La mamma la chiama stufetta, Marta la chiama stufina ed io vorrei solo che loro due si mettessero d'accordo perché mi fanno diventare un po' matta a volte.) Come sempre, trovo i miei vestiti già pronti e profumati sulla cesta verde di fianco alla doccia e penso che la mamma a volte riesce a leggere nella mia testa. I vestiti sono proprio quelli che volevo io: un pantalone cargo di colore beige ed una maglietta nera di cotone a maniche lunghe con una moto ricoperta di fiamme sulla schiena.
Mi vesto, mi guardo allo specchio e sono proprio contenta: questi vestiti si abbinano perfettamente alla mia testina quasi pelata.

La scuola non è come me la immaginavo. Mi aspettavo un palazzo grigio e buio come quello che avevo visto in alcuni film, invece già dal finestrino della macchina si intravedeva lontana una struttura con mattoni a vista circondata da un immenso e verdissimo giardino. Quando scendo, la mamma mi prende per mano e mi guarda intensamente, pensando che io non me ne accorga. «Cosa c'è, mamma?», le chiedo. Subito si volta a fissare un punto avanti a sé e dice: «Niente, niente». Però sorride felice e quindi io so che è una bugia.

Dopo averla salutata con due grossi baci sulle guance, entro in classe insieme alla mia migliore amica Marta, che ovviamente scalpita all'idea di essere alle elementari insieme a me. Prendiamo due banchi vicini in seconda fila, perché io non voglio stare troppo vicina alla maestra ma non voglio neanche sembrare una che "se la fa sotto'', come ho sentito dire una volta da uno dei miei zii. Quest'espressione mi faceva molto ridere perché mi immaginavo lo zio grande che faceva la pipì a letto come i piccoli, poi lui mi ha spiegato che questo si dice quando qualcosa ti fa paura e allora non mi ha fatto più molto ridere, però mi piace.
Un po' me la faccio sotto davvero quando arriva la maestra, che mi sembra altissima ed ha tantissimi capelli ricci e rossi da sembrarmi un albero in autunno. Si siede dietro la cattedra, poi si alza subito e viene verso di noi.
«Bambini, bambine, io mi chiamo Clarissa e sarò la vostra maestra in tutte le materie, fatta eccezione per matematica ed inglese. Come immaginerete, ci vedremo molto spesso, quindi vorrei conoscervi un po' fin da ora, perciò che ne dite se cominciamo dall'appello e quando arriva il vostro nome mi raccontate qualcosa di voi?» Nessuno dice di sì, ma lei prende il registro e chiama il primo bambino della lista.
Non so bene cosa dirò quando toccherà a me perché non so cosa possa interessare alla maestra. Mi piacciono i gatti, però magari a lei stanno antipatici; poi mi piace tanto mangiare la cioccolata ma una volta ho visto una bambina diventare tutta rossa e gonfia in faccia dopo aver mangiato una merendina e la mamma mi ha detto che questa si chiama "allergia''. E se dico alla maestra della cioccolata e lei si gonfia tutta? Ce ne mandano un'altra?
È mentre penso a cosa dire che sento il mio nome. «Cicconetti Francesca?», io alzo la mano come hanno fatto gli altri e mi rendo conto che si sono girati tutti e che mi guardano. E non è come quando vedi qualcuno per la prima volta e sei curioso, è più come quando vai al Toys Center e vedi un giocattolo molto strano. Anche la maestra all'inizio è un po' stupita, ma si riprende subito e dice: «Ciao Francesca, cosa ci dici di te?»
Io divento tutta rossa e allora penso che sono un po' allergica ai bambini che mi guardano in quel modo.

«Dimmi Bebe, com'è andato il tuo primo giorno di scuola?». La mamma, quando non è arrabbiata, mi chiama Bebe, perché quando ero più piccola e sapevo parlare poco guardavo i film del maialino Babe e lo chiamavo Bebe.
Le dico che è andata bene e che mi sono divertita molto, che i miei compagni sono simpatici e che la maestra sembra un albero. Non le dico che mi hanno guardata in quel modo strano perché so che si preoccuperebbe.
Mentre siamo a cena dice: «Pensavo che stasera potremmo andare al cinema, fanno vedere un film che si chiama Alla ricerca della felicità. Racconta la storia di padre e figlio che stanno insieme e sono felici anche se tutto è molto difficile». Sembra proprio un bel film, allora le dico di sì con un sorrisone, che mi si spegne subito quando mi chiedo perché il mio papà non sia rimasto con noi quando tutto era difficile.

Diario di un transessualeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora