La tenerezza del cuore

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-Da dove si parte violatore della mia privacy?- gli nascosi la mia angoscia e il mio disappunto su tutta quella faccenda. Lui si scompigliò i capelli, prima di prendermi per mano di nuovo.

-Andiamo- rispose, incoraggiandomi. Sembrava così tranquillo, mentre io dubitavo di poter provare lo stesso desiderio che sentiva lui in poche ore. Ma cercai a tutti i costi di non aver paura. Mi posò la sua giacca troppo grande sulle spalle e ne fece comparire dall'aria una per sé, prima di confonderci con la folla mascherata che girava per le vie, i ponti ed i canali di acqua verde salmastra. Venezia era indubbiamente romantica. Due bambini mi urtarono correndo, per lanciarsi dei coriandoli. Lui ne approfittò per stringermi al suo fianco, ma ora quel contatto mi disturbava. Mi sentivo costretta a farmelo andare a genio. Camminammo per un po' tra gli enormi palazzi e chiese, mentre lui mi parlava della sua vita. Cresceva in me la consapevolezza di avere il peso anche della sua esistenza sul cuore. Era una tragedia: io ero cresciuta evitando l'amore e non avevo idea di come innamorarmi. Avevo paura anche se ero nata per questo.

Nathan si fermò un attimo, dicendomi di aspettarlo, mentre si infilava dentro una bottega, con una scritta che non sapevo decifrare sull'insegna. Il vento sembrava più freddo ora che si era allontanato. Tornò poco dopo, con in mano un sacchetto bianco. -Sono per te- mi disse, porgendomelo. Con curiosità ci guardai dentro, notando dei dolcetti fritti tondi, ricoperti da una spolverata di zucchero a velo. -Sono ottime, assaggiale-. In effetti stavo morendo di fame. Aveva ragione, dentro erano dolci, ripieni di crema soffice. Lo ringraziai mentre mi conduceva sopra un ponte, al cui di sotto stava galleggiando una sorta di barca lunga e nera, con due innamorati che si baciavano. Provai un moto di invidia, mentre addentavo l'ultimo dolcetto. Lui era così gentile con me. Ma questo bastava?

Mi guardava attentamente. Sollevò un dito verso il mio viso e mi accarezzò l'angolo della bocca con dolcezza. -Avevi un po' di crema- si leccò il polpastrello per poi tornare serio -Sta funzionando?-. Capii subito cosa intendesse. Mi portai una mano al petto. Tum. Tum. -No, ma mi sto divertendo- ammisi, con un sospiro di frustrazione che faceva risultare le mie parole quasi una bugia. Pensai alla nonna, era così tenace, ed aveva accettato ciò che ora toccava a me. 

Dei turisti giapponesi, credo, si fermarono a scattarci delle foto ed una ragazza con la borsa trapuntata di fenicotteri rosa ci disse che eravamo proprio carini. Forse aveva ragione. Lo trovavo carino, ma non glielo avrei mai detto.

-A volte bisogna saper rischiare- sussurrò solleticandomi l'orecchio con il suo respiro -Ma non ti succederà mai nulla di brutto con me-.

-Promesso?- mi assicurai. Lui scosse la testa, ma era felice. Mi tolse la maschera di pizzo, e poi si inginocchiò per terra. La folla sembrò non notarlo, ma io mi stavo imbarazzando lo stesso. Infilò le mani sotto il bordo della gonna, per poi armeggiare con il nastrino che teneva i tacchi saldi ai miei piedi.

-Ti mostrerò che nessuno è come me- era sfrontatezza ciò che sentivo nel suo tono.

-Ah si?- lo sfidai. Fece un gesto plateale e mi porse la mano, che afferrai. Dal ponte ci trovammo in un attimo sopra la superficie dell'acqua, fresca sotto la pianta dei miei piedi nudi. Ero piacevolmente meravigliata -E' magnifico, Nathan-. Visitammo tantissimi canali, volteggiando invisibili, mentre la gente festeggiava tra artisti di strada, travestimenti e venditori di souvenir. Finché tornammo al punto dove erano rimaste abbandonate le mie scarpe.

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