» from promises to paper-thin

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L'aveva fatto.
Aveva smesso di mangiare completamente.

Dio, polpette e purè di patate.
Come gli era saltato in mente?
Come?
Oh, ma in effetti lo sapeva, no? Quei magnifici occhi, gli zigomi pallidi e affilati, e quelle mani che lo avevano fatto sedere. Un po' goffe, nel tentativo di essere amorevoli.
E poi quella voce.

Era fuggito via quando aveva capito che Frank probabilmente lo stava odiando. 
Doveva aver avuto semplicemente compassione, anzi.
Peggio.
Magari si era avvicinato a lui solo perché lo aveva visto danzare così bene.
E sperava di trarne vantaggio.
Sperava di usarlo.
Usarlo.
Come Leroy.
Oh, dio, no, non doveva pensare a Leroy adesso vero?
No, non adesso, non Leroy. 
Non ne aveva mai parlato a nessuno, di Leroy. 
La testa aveva cominciato a fargli male mentre ripeteva tra sé e sé quel nome. 
Forse era proprio colpa di Leroy se era ridotto così. 
Peggio del peggio.
Tornato a casa aveva pianto. 
Si era graffiato la faccia e aveva emesso un urlo senza suono, poi aveva deciso di rimanere senza vita sul materasso aspettando che quell'orribile pancia si abbassasse per il digiuno totale.

Ma Frank come poteva essere Leroy?
Come potevano quegli occhi così trasparenti essere quelli di una persona che usa, sfrutta, logora, tira, sfrega?

Leroy.

Finito di pensare a Leroy si guardava allo specchio.

Oh, orribile.
Orribile, orribile.

Quale altro aggettivo avrebbe potuto associare a quello schifoso grasso che lo ricopriva?

Cosa ne aveva pensato Frank, cosa?

Sicuramente non avrebbe mai guardato lui ridotto in quel modo.
Ragazze alte e in forma, ragazzi muscolosi e atletici, piuttosto. Ma lui? 

Aveva provato, a dirgli "ciao" la mattina.
Con le guance ricoperte di rosso e le dita che si torturavano, nervose, fino a diventare bianche.
Lui aveva sempre risposto, un piccolo sorriso. 

Compassione, ma certo.

Non era nemmeno più andato a guardarlo danzare.
Probabilmente doveva essere brutto, il suo corpo tondo e paffuto, stretto nella tuta da danza nera e aderente.
Probabilmente non gli era piaciuto nemmeno un po' vederlo danzare.

Ma allora come avrebbe potuto avvicinarsi a lui solo per la danza?
Solo per sfruttare la sua bravura?
Bravura... era davvero così bravo?
La sua mente creava reticoli contorti e limbi nebbiosi, pozzi senza fondo da cui non riusciva più ad uscire. 

Schifo, si faceva solo schifo.
E a furia di ripeterselo ha cominciato a stare a casa da scuola.
Sabato.
Domenica.

Non è uscito di casa e non ha ascoltato la musica.
Ha buttato nella spazzatura tutti i pranzi e le cene che Mikey gli portava in camera.

Lunedì mattina lo trovano sdraiato sul letto con gli occhi chiusi e le labbra secche, ha un polso debolissimo.

Ospedale.
È lì che forse ricomincia un presente più vivido, quel bianco accecante ovunque.
Lo fanno rianimare iniettandogli il cibo nel sangue.
Si sveglia dopo 36 ore di incoscienza totale. 
Gli danno da mangiare, per davvero questa volta.

Vomita.
Il dottore sorride e dice "è normale".
Oh, vaffanculo, pensa lui.

Passa due settimane nel reparto psichiatria.
Non diventa amico di nessuno e nessuno diventa amico suo. 
Non parla, legge qualche libro e basta.
Sono le uniche cose che gli lasciano, perché uno dei primi giorni ha uno scatto di rabbia e comincia a urlare e così da quel momento lo ritengono abbastanza pericoloso. Tipo un pazzo suicida, o qualcosa del genere. 
Di notte guarda le stelle e piange.
Pensa a Frank, a volte. 
I giorni trascorrono lenti, non ha niente da fare.
Lo curano e lo forzano a mangiare, ma non prende peso e di questo è abbastanza soddisfatto.
I medici pensano di averlo convinto a mangiare e averlo fatto guarire facendogli vedere che se non mangia vomita e sta male.
Cazzate.
Un mare di cazzate.

Tornato a casa non sa come sentirsi.
Non sa come farà ad affrontare gli sguardi dei suoi compagni - perché sicuramente qualcuno ha saputo tutto, e non ha tardato a comunicarlo all'intera scuola.

Non sa come affrontare lo sguardo di Frank. 
Perché sicuramente lui ha saputo tutto e gli deve fare ancora più ribrezzo. 

Non sa se è guarito davvero o no - gli hanno detto che è malato, ma lui voleva solo dimagrire e piacere agli altri.
Malato?
Non c'è niente di malato nel voler essere belli.
Non c'è niente di malato nel volersi migliorare perché non si piace a nessuno.
Giusto?

Passa molti giorni a uscire per ballare.
Continua a sfinirsi di allenamenti in cerca di una distrazione.
Quando sente la musica chiude gli occhi e deve solo concentrarsi sul suo corpo come insieme di muscoli, tendini, ossa, che deve articolare in una coreografia impeccabile. 

L'aria in famiglia e strana - Mikey è preoccupato, sua madre è tornata a farsi gli affari suoi, l'unica cosa che fa è controllre saltuariamente che scenda per i pasti, suo padre non è nemmeno venuto a trovarlo all'ospedale, era troppo impegnato con il lavoro, lo ha solamente riaccompagnato a casa in silenzio dicendogli che da adesso in poi avrebbe dovuto mangiare di più se voleva diventare un bravo ballerino e Gerard avrebbe voluto sbattere la testa contro il finestrino fino a farla sanguinare e spappolarsi il cervello e avrebbe voluto gridare che lui non voleva diventare un bravo ballerino ma voleva diventare bello, solo questo. 
Ma non lo ha fatto.
Ha guardato il finestrino, ha detto "sì" e basta. 

Per qualche giorno prova l'impulso di telefonare a Bert e chiedere ai suoi genitori se può andare a trovarlo, ma poi capisce che ormai non può più contare su di lui. Non vuole andare a New York e trovarlo con la sua nuova compagnia di amici.
Non vuole telefonargli.
Sentirlo distante.
Di nuovo. 

Gerard sente un vuoto.

Si sente sprofondare.

Giù.

Giù.

Giù.

Vorrebbe vedere Frank, ma quando torna a scuola è lui a mancare.
Il banco accanto al suo è vuoto. Non sa a chi dire "ciao" la mattina.  
Il preside lo convoca nel suo ufficio il primo giorno in cui rientra, gli dice che gli dispiace per tutto quello che è successo e che spera si rimetterà presto.
Gerard non risponde.
Così il preside gli dà un foglietto.

- E' il Programma di Recupero - dice, con un'occhiata eloquente.

Gerard riesce solo a mormorare:

- Non ne ho bisogno.

Sta per mettersi a piangere.
Ecco la sua vita.
La stella del balletto con ottimi a voti a scuola e una forma depressiva di anoressia, con quel nome, Leroy, marchiato a fuoco sulla sua pelle, confinato in un Programma di Recupero e in lacrime dietro il sipario, mentre sul palco è osannato e ammirato da tutti, con quei faretti abbaglianti che lo accecano e lo rendono una perfetta creatura angelica.

- Invece sì - ribatte il preside - E' per i ragazzini problematici.

- Io non...

I ragazzini problematici.

- Ti aiuterà a riprenderti. Se non ci vai, rischi la sospensione. A te la scelta. La scuola non vuole la responsabilità se ti accade qualcosa, e nemmeno io. Noi abbiamo fatto il possibile per te e lo faremo. 

Poi lo spinge fuori dall'ufficio senza una parola di più.
Non vuole grane, evidentemente.
Almeno quando morirà in corridoio potrà dire di averlo fatto partecipare a un Programma di Recupero.
Il possibile.
Gerard legge il foglietto e sospira.

Chissà chi ci sarà.
Ma guardali, pensa, visualizzando i corpi cenciosi nella sua testa.
Il branco di malati mentali della scuola.

E' questo che è diventato?

Si siede in cortile e piange, finalmente, poi si costringe ad andare a lezione.
Arte.

Guarda il banco vuoto di fianco al suo.

Frank.

Gli manca, quelle mani che si sono prese cura di lui senza pretendere nulla. 

𝖆𝖑𝖑 𝖙𝖍𝖊 𝖆𝖓𝖌𝖊𝖑𝖘  ❥   𝖋𝖗𝖊𝖗𝖆𝖗𝖉Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora