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Una falla.
Solo una piccola falla e l'intero sistema era crollato.
La mattina del 15 maggio 2014 quando giunse quella notizia erano tutti in sala prove. Tao spinse la porta ed entrò, trovando i ragazzi intenti a esercitarsi, come se nulla fosse accaduto.... Baekhyun prendeva in giro il suo compagno di stanza Chan in uno dei suoi soliti scherzi dementi, Jongin duettava con Lay di fronte allo specchio dando ritmo all'intera stanza avvolta dalla musica, mentre Sehun andava loro dietro aggiungendosi agli ultimi movimenti del suo repertorio ancora tentennato, Suho immerso in un sommesso scambio con Kyungsoo, e Luhan, che si esercitava per conto proprio, era particolarmente silenzioso.
Sorridevano. Almeno questo gli diceva la sua mente di fronte ai volti dei compagni, dopo che la sera prima era scappato in preda a lacrime irrefrenabili e singhiozzi afoni e aveva preso a vagare per le strade buie di Seoul con mascherina e occhiali da sole in piena notte, finché, all'alba, non aveva sentito nuovamente l'istinto di casa solleticargli lo stomaco e la necessità di ritornare sui propri passi. Da loro... 11, anzi, 10.
Non era mai stato particolarmente arguto in matematica.
«Sei in ri-»
«Dove sei stato?» Suho intercettò subito la voce di Baek, superandolo di un passo davanti alla sagoma infagottata di Zitao appena apparso alla porta e impedendogli di irrompere nell'ennesima scenata insensata che in quel momento pensava essere del tutto fuori luogo. «In giro...» elusivo, biascicò il piccolo slacciandosi dai strati di abbigliamento mimetico che occultavano il suo colorito fuligginoso e lo superò con una leggera spallata entrando. Aveva pianto per tutta la sera, si sentì assalire dalla vergogna, perché sembrava essere l'unico lì dentro scosso da quella valanga di emozioni inopportune, e avrebbe tanto voluto scoppiare a piangere ancora una volta e correre via da tutti loro, eppure... non riusciva a spiegarsi come potessero rimanere tutti così indifferenti e scanzonati di fronte a una diga, a un intero universo che collassava su sé stesso.
Tao si tolse gli occhiali esponendo le sue pupille in fiamme.
Kris se ne era andato.




La sera prima il maggiore era venuto nella sua stanza e si era seduto, con fare incerto, sul bordo del suo letto. Glielo spiegò con calma, con naturalezza, lentamente, come avrebbe fatto una mamma, intrecciando le parole sul momento, senza premeditazione, frase dopo frase, virgola dopo virgola, sperando così di comunicargli un minimo di fiducia che in quel momento tradiva la sua voce o che almeno non la prendesse troppo male...
«......Tu sapevi tutto!!» Mai che l'avesse detto.
Zitao si alzò con furia dalle coperte buttando a terra le cuffie dell'ipod che aveva fintamente tenuto alle orecchie mentre ascoltava tutto il discorso, e si allontanò dal letto, da Suho, dalle sue parole, come se quel semplice distanziarsi potesse preservarlo da una realtà ormai certa e irreparabile. «Calmati, Tao! Non eravamo sicuri fino all'ultimo!» e quell'ultimo era l'ultima sera, come una condanna senza appello e senza ritorno. «Anch'io ho saputo della sua decisione finale dal manager solo stamattina...» il maggiore abbassò involontariamente lo sguardo, lasciando le ciglia ad ombreggiare il volto di un'espressione indefinibile. «Ma- ma non può essere! Certo, Yifan potrebbe ripensarci! Non è detto che... cazzo dov'è il cellulare?!» lo vide con la coda dell'occhio lanciarsi in cerca del proprio iphone in mezzo alla catasta di oggetti che affollavano la piccola scrivania. Magari poteva chiamarlo, gli avrebbe parlato e si sarebbero chiariti! Yifan poteva essere un vanitoso pieno di sé e una testa di cazzo che non ne fa mai una giusta, ma erano...amici, e di certo a lui darebbe ascolto! Rovistava furiosamente tra i vestiti sparpagliati sul pavimento poi passò al letto, gettandosi sul cuscino, sotto le coperte, tra le pieghe della biancheria tastandole palmo a palmo, come se agognasse un antidoto per i veleni e pensando ciecamente che ritrovare il cellulare avrebbe potuto porre fine a tutta questa sciagura inattesa, perché non era ancora troppo tardi, di certo c'era ancora una speranza, ancora... «Stamattina Kris ha presentato un'istanza ufficiale al Tribunale Centrale di Seoul, non è più possibile tornare indietro, Zitao.» Freddo, senza alcuna flessione nella voce. Come se quelle parole non avessero altro che sé stesse su cui reggersi. Come se l'intera stanza si fosse congelata di colpo e l'orologio alla parete cessato di battere il tempo. Già, il tempo... Tao si voltò, col cellulare in mano. Sollevò un angolo delle labbra in una smorfia stentata.
La prossima volta avrebbe fatto meglio a rimettere in ordine prima la stanza.










"Detesto quando mi chiami così!"
"Così come?"
"......Yifan."
"Pff, ma è il tuo nome!"
Si era messo a ridere come un matto mentre gli pizzicava le guance con fare bonario. Quel ragazzino sapeva essere davvero molesto quando gli girava, eppure era un tale fifone di solito... Solo con lui. Solo lui lo chiamava in quel modo, con il suo vero nome. E lui, odiava quel nome.

Quando a 10 anni si era trasferito a Vancouver con la madre, si era sentito improvvisamente strappato via dalla sua vita. Pensava che sarebbe stata una cosa figa, andare a vivere all'estero e lasciare finalmente alle spalle la mediocrità dei suoi compagni di scuola che ancora alla loro età non sapevano bere senza la cannuccia.
L'impatto culturale fu terribile all'inizio. Non parlava l'inglese se non con un ridicolo accento di cui poco dopo cominciò a vergognarsi, non aveva amici, detestava il cibo della mensa, detestava il perennemente mite clima canadese, così inconciliabile con il caldo afoso e gli inverni umidi di Guanzhou. Tutto ciò che fece, allora, fu di aggrapparsi a un pallone da basket. Recandosi ogni giorno al playground, dove per giocare non aveva bisogno di parlare: un passaggio ricevuto e donato, un cinque scambiato con il sorriso lo riempivano di soddisfazione più di mille parole.
Kris Wu.
Ancora adesso non riusciva ad abituarsi al suono di questo nome, non lo sentiva suo. Ma ancora di più, detestava ricordarsi di quello vecchio che aveva deciso di rinnegare un giorno, in nome di un sogno vago e lontano che riponeva nei suoi occhi tesi verso la linea d'orizzonte sul Pacifico.
Chi era Kris Wu?
Lui non lo sapeva. Dopo tutto questo tempo, non ne era più tanto sicuro.
Da allora cercò in ogni modo di nascondere le proprie origini dietro una facciata di freddo narcisismo, in ogni modo di apparire un'altra persona, americano, cinese, canadese, chiunque, fuorché sé stesso, per non dover mai più rivivere quella sensazione umiliante di non sapere quale fosse il proprio posto nel mondo. Ma quando arrivò questo ragazzino...... Questa piccola peste dai tratti inquietantemente cinesi, con quegli occhi a mandorla cerchiati di nero che subito gli fecero pensare a un certo paffuto animale in via d'estinzione, strappandogli una risata poco educata in faccia al ragazzo quando questi gli fu presentato; la sua paura insensata dei fantasmi per cui non aveva coraggio di fare la doccia da solo, ma che non lo sconfessava dall'idea di guardarsi un horror a notte fonda, in compagnia; il suo coreano stentato, quella sua voce da bimbo innocente che sfoggiava ogni volta per giustificare un torto subito; e quel suo continuo, morboso bisogno di contatto fisico......
Non aveva pensato a nulla del genere, quando firmò il contratto con la casa di produzione coreana, salendo sul primo volo diretto a Seoul senza pensarci due volte, come aveva fatto la prima volta lasciando la terra natia per il Canada.
Non si aspettava di invischiarsi in qualcosa di così... intenso, e al tempo stesso complicato e pieno di calore.
Lo detestava profondamente quel ragazzino, perché ogni volta che lo guardava in faccia, gli ricordava qualcuno che credeva ormai aver dimenticato da tempo. Rivedeva sé stesso.
Il volto di colui che aveva lasciato anni fa in Cina, riposto in fondo al baule nella soffitta di una casa ormai demolita. Come un incubo senza fine, un fantasma che tornava a tormentarlo.
"Ti chiamerò sempre Yifan, in cinese c'è un detto: vivere ogni momento con un cuore ordinario, ed è un nome bellissimo."
Già....
Ma la verità era che questo non era il suo nome. Lo scelse quando fu in procinto a spiccare il volo, sperando così di mettere il punto al proprio passato e cominciare una nuova vita. E il suo vero nome, insieme a tutto il resto di questa sua strana vita, ormai lo aveva scordato del tutto.
Perché la fedeltà non era mai stato un emblema di Kris Wu.

Allora... per quale ragione, ora si ritrovava ad amarlo, questo nome?


words that we couldn't sayWhere stories live. Discover now