Capitolo 53

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Krystal's pov
"Che succede?". Mi guardai intorno ma si vedeva ben poco, se non una fioca luce che proveniva dalla finestra che dava sulla strada.
"Ma che ore sono?". Disse Damon, facendo alzare entrambi.
Afferrai il mio cellulare, notando che fossero le nove passate di sera.
"Non è che...", ci guardammo e in un secondo schizzammo via, per raggiungere la porta. Chiusa.
"Non può essere", piagnucolai, passandomi le mani fra i capelli.
"Chiamiamo Jared", disse, sfilando il telefono dalle mie mani, solo in quel momento ricordai che probabilmente il suo, giacesse ancora sul letto, dopo la nostra discussione di non molte ore prima.
"Non c'è campo", dissi notando l'assenza del segnale sul display. "Questa non ci voleva".
"Hey sei bloccata in una biblioteca con Damon Cooper, di cosa ti lamenti?".
"Del buio", sbuffai. "Non riesco neanche a vederti".
"Paura del buio?". Mi sentì affettare per la vita, come a farmi sentire che lui fosse proprio qui, al mio fianco.
"Abbastanza", mormorai, cercando di vedere i lineamenti del suo volto. "Se ci mettiamo ad urlare?".
"Non faccio queste cose", ridacchiò. "Sono sicuro che tu sei molto...".
"Smettila, non è il momento", borbottai.
"Ma hai davvero paura del buio?". Ridacchiò.
"Un po'", scrollai le spalle. "Se non ci fossi stato tu, mi sarei messa a piangere".
"Allora ritieniti fortunata", sussurrò, dandomi un colpetto sul naso che poi il naso non era.
"Ahi, mi hai fatto male", bofonchiai, mettendomi una mano sulle labbra.
Lui continuò a ridere. "Dove ti ho colpito?".
"Bocca", borbottai, guardandolo di sottecchi, ma alla fine neppure l'avrebbe notato.
"Mhhh". Circondò la mia vita, da dietro, spingendomi in avanti.
"Damon non vedo nulla, potrebbe anche esserci uno scaffale davanti a me". Mi lamentai, aggrappandomi con le mani alle sue braccia posate sul mio bacino.
"Vedo io, tranquilla", camminammo in quel modo per qualche altro secondo, fin quando non ci avvicinammo alla finestra.
"Oh finalmente", sospirai di sollievo, quando riuscì a vedere qualcosa con chiarezza.
"E ora che facciamo? Non possiamo restare qui tutta la notte". Mi girai verso di lui, poggiandomi al muro alle mie spalle.
"Perché no?". Aggrottò le sopracciglia.
"Perché tua sorella e Jared sono soli, in una camera da letto", ridacchiai, dinanzi alla sua espressione.
"Cazzo", sbottò, spalancando gli occhi.
Si allontanò da me, iniziando a prendere a pugni quella povera porta, che non accennava ad aprirsi.
"Guarda che stavo scherzando", cercai di trattenermi dal ridere, sembrava davvero impazzito. "Dai Damon, tua sorella ha diciotto anni".
"E quindi?". Si girò, guadandomi male.
"Nulla", scrollai le spalle. "Solo...sono adulti e vaccinati".
"Non è adulta". Si poggiò contro la porta, incrociando le braccia al petto.
"Ha la tua età", sorrisi, imitando le sue mosse.
"Non vuol dire nulla, non è pronta per certe cose".
"Se lo dici tu". Pressai le labbra fra loro.
"Ovvio che lo dico io, e ora troviamo un modo per uscire di qui".
"E come?". Mi avvicinai al suo fianco, cercando di capire come funzionasse la serratura. "Sei tu il ladro, dovrebbe essere un gioco da ragazzi per te"
Sospirò, ma era più che evidente che stesse cercando di mascherare un sorriso.
"Hai una di quelle strane cose che voi ragazze avete in testa?".
"No", scossi il capo.
"Come no?". Sbuffò.
"Li porto sciolti".
"Giusto", sussurrò, guardandomi per qualche secondo, prima di riportare lo sguardo su quella porta. "Potrei buttarla giù".
"No, sei impazzito. Dovremmo ripagarla".
"Hai un'altra soluzione?". Spalancò le braccia.
"Restiamo qui, verranno ad aprirci domattina".
"Pensavo avessi un aereo da prendere", inarcò un sopracciglio.
"Riuscirò ad arrivare in tempo".
"Mh", borbottò. "E lasciare quei due da soli", serrò la mascella. "Non mi sembra affatto una buona idea".
"Dovresti fidarti di tua sorella, magari non fanno nulla".
"Magari un corno, lo ammazzo", sbottò.
"Non ti facevo così possessivo....e geloso". Ridacchiai, scivolando contro la porta.
"Non sono geloso", mi guardò dall'alto, inarcando un sopracciglio.
"Rilassati, la notte è lunga".
"Non sei simpatica", borbottò, sedendosi al mio fianco.
"Con i suoi ex andavi d'accordo?". Si girò nella mia direzione, con gli occhi spalancati.
"No".
"Vuoi parlarne?".
"No", ancora, serrando la mascella.
"Va bene", sospirai. "Ho afferrato il messaggio".
"È una lunga storia", sospirò. "Che preferisco non ricordare".
"Non preoccuparti". Accennai un sorriso.
"E invece, il tuo ex?". Fece una smorfia.
"Cosa?". Lo guardai di sottecchi.
"Non ho mai capito perché lo hai lasciato".
"Oh", non mi aspettavo questa domanda, non ne avevamo mai parlato, consideravo Jacob un capitolo chiuso della mia vita. "Non mi piaceva".
"Evviva la sincerità", ridacchiò. "Allora perché ci sei stata insieme?". Si girò, poggiando i gomiti sulle sue ginocchia.
"Non ne ho idea", ridacchiai. "Credo che Tate, abbia influito molto sulle mie scelte, ma non appena mi sono resa conto di non riuscire neppure a baciarlo, ho chiuso".
"In che senso?". Corrucciò la fronte.
"Dobbiamo proprio parlarne?".
"Si", annuì, poggiando entrambe le mani sulle mie ginocchia.
"E perché mai? Non parliamo mai di te".
"Non ho nulla di interessante da dire", inclinò di poco il capo.
"Sono sicura che la tua vita sia molto più interessante della mia".
"Allora? Dicevi", alzai gli occhi al cielo.
"Io nulla".
"Da me ti facevi baciare però". Ammiccò, stringendo le mie ginocchia con le sue mani.
"Non dovevamo parlare di Jacob?", distolsi lo sguardo.
"Non l'ho mai detto".
"Certo che lo hai detto, è lui il mio ex".
"Appunto ex, non esiste più", tirò le mie gambe, verso di se, in modo che fossero ai lati del suo corpo.
"Sei strano lo sai?".
"Lo so, per questo ti piaccio".
"Non l'ho mai detto", feci un ghigno, ma lui era molto più bravo di me in questo.
"E allora perché mi baci?". Fece scivolare le sue mani dietro la mia schiena.
"Non rigirare la frittata Damon".
"Potrò farti qualche domanda anch'io o no?", scossi il capo.
"Risponderò se lo farai per prima tu", dissi, poggiando le braccia sulle sue spalla.
"Mi stai ricattando piccoletta?".
"È solo un compromesso", scrollai le spalle.
"Non equo". Le sue mani presero a muoversi dal basso verso l'alto.
"Lo è invece, te l'ho chiesto per prima io".
"Non seguo mai le regole".
"Mi dispiace, ma dovresti seguirle stavolta". Sussurrai.
"E perché?". Poggiò la sua fronte contro la mia.
"Non sei curioso?".
"Ma io so perché tu mi baci", fece sfiorare i nostri nasi, regalandomi uno di quei sorrisi, che avrebbe steso un esercito intero.
"Davvero?". Il mio cuore prese a battere all'impazzata, speravo solo che non se ne sarebbe uscito con qualcosa di sconveniente, per me.
"Davvero".
"Non ci credo, non sai nulla", una risata nervosa lasciò le mie labbra.
"Tu credi?". Alzò un angolo delle sue labbra, senza mia distogliere lo sguardo dal mio.
"Allora dimmelo", mordicchiai il mio labbro.
"No", scosse il capo.
"Perché non lo sai neanche tu", sorrisi, cercando di calmarmi e non far trapelare l'ansia che mi stava mangiando viva.
"E tu lo sai?".
"Perché mi baci?". Domandai titubantemente.
Lui annuì.
"Si, lo sai?". Attirò il mio corpo più vicino al suo, facendomi mancare il respiro.
"Non te lo avrei chiesto altrimenti".
"E perché vuoi saperlo?".
"Non funziona così Dam", abbassai il capo. "Già so che non mi dirai nulla, possiamo anche smettere di parlarne".
"Ti arrendi così?". Sussurrò, poggiando il suo naso contro la mia guancia.
"Non si tratta di questo...", chiusi gli occhi.
"E di cosa si tratta?". La sua mano finì dietro la mia nuca, portando il mio viso davanti al suo.
"Di nulla", scossi il capo. "Davvero, non parliamone più".
"Non vuoi saperlo?". Soffiò sulle mie labbra.
"Non giocare Damon". Il tono serio, avevo un groppo in gola, non aveva idea di come una sua eventuale risposta avrebbe potuto cambiar tutto.
"Non lo sto facendo", si accigliò, quando mi allontanai. "Che ti prende?".
"Ho sonno". Mi alzai.
"Sei sempre più strana", sembrava quasi infastidito.
"Non sono strana, semplicemente credo sia unutile parlarne. Non ti sei mai voluto aprire su nulla con me, non succederà neppure questa volta".
"Mi pare di essermi aperto anche abbastanza", sbottò. "Solitamente tengo lontano mia sorella da tutti".
"Non parlavo di questo", sussurrai.
"E di cosa allora?". Spalancò le braccia. "Di Cosa stiamo parlando krystal?".
"Di nulla", distolsi lo sguardo, non sopportavo quando alzava la voce.
"Ci tieni così tanto? Se vuoi te lo dico?".
"Ho detto che non voglio più parlarne, basta", mi andai a sedere su quella poltrona.
"Bene, come vuoi", sbottò poggiandosi contro la porta. Non risposi, appoggiandomi al bracciolo di quella poltrona, sperando che quelle ore passassero il prima possibile. Ma quella volta, i ruoli si erano nettamente invertiti e non ero io, quella ad aver voglia di continuare a parlare.
"Io non ti capisco", sbottò, sbuffando sonoramente. "Cambi umore all'improvviso".
Inarcai un sopracciglio, sperando che potesse ugualmente vedermi.
"Non cambio umore all'improvviso, io", specificai, richiudendo gli occhi.
"Vorresti dire che lo faccio io?". Una risata amara lasciò le sue labbra.
"Credo che tu lo sappia anche da solo", in un'altra occasione avrei anche riso per questo stupido battibecco, ma quello di cui stavamo parlando era troppo importate per me, e non volevo sminuire tutto.
Si girò nella mia direzione, corrucciando lo sguardo.
"Sai cosa? Non parliamone, è meglio", si era offeso e poi definiva me, permalosa. In ogni caso, per me era meglio così.
Tentai ancora una volta di farmi rapire dal sonno e ci stavo quasi riuscendo.
"E dimmi", prese un colpo di tosse. "Ti sei mai chiesta perchè Jacob ti baciasse, che poi non ti baciava realmente, ma dettagli".
Sbruffone, avrei voluto dirgli, ma la mia mente escogitò qualcosa di molto più forte, che forse avrebbe colpito nel segno, o forse no. Tutto dipendeva da lui, si riduceva tutto a questo.
"Non serviva che io glielo chiedessi, me lo diceva spesso", accennai un sorriso e la sua reazione fu immediata. La sua mascella si serrò, i pugni stretti lungo il corpo ed a qual punto, arrivai addirittura a pensare che forse, un po', Damon fosse geloso di me.
"Gli piacevo", continuai.
"Beh, mi sembra ovvio, altrimenti non avrebbe insistito tanto per infilarti la lingua in bocca". Fece una smorfia.
"Ma bisogna sempre vedere il senso", incrociai le braccia al petto.
Avevo deciso di non rivolgergli più la parola per tutta la notte e invece, eccoci qui a parlare di ex.
Avevo mille domande in serbo per lui, che appena possibile avrei sganciato.
"Piacere è una grossa parola".
"Lo so", ammiccò.
"Non fare lo stupido".
"Su, sentiamo", sollevò le sopracciglia. "Sono curioso di sentire cosa la tua mente elabora".
"Bene", mi posizionai meglio, in modo che potessi guardalo, ma ad una debita distanza. "Una ragazza, o un ragazzo, ti può piacere fisicamente, o mentalmente o entrambe le cose".
"Tutto qui?".
"È la verità, se ci pensi".
"Mh", mugugnò. "E io come ti piaccio?". Puntò i suoi occhi nei miei.
"Sei così sicuro di te", scossi il capo, accennando un sorriso.
"Quindi?".
"Non si chiedono certe cose", spalancai le braccia.
"Quindi ti piaccio".
"Devi capire come". Poggiai il mento sulle ginocchia. "E io, come ti piaccio?".
"Dai per scontato che tu mi piaccia?". Sussurrò, assottigliando lo sguardo.
"Anche solo un po', altrimenti non mi baceresti. Hai target troppo alti".
"Target troppo alti", scoppiò a ridere. "A che ti riferisci?".
"A scuola ho imparato tante cose, anche il fatto che quelle che porti in bagno sono prevalentemente alte, bionde, magre... e con tutte le cose al posto giusto".
"Beh, ti sbagli, l'ultima volta, nel bagno di uno spogliatoio, ero con una ragazza, bassa, mora e con tutte le cose al posto giusto".
"Mh", distolsi lo sguardo.
"Quindi...dicevamo", prese un colpo di tosse. "Fisicamente, mentalmente o entrambe le cose".
Annuì soltanto, cercando di non far trapelare l'agitazione per una sua eventuale risposta che probabilmente non sarebbe neppure arrivata.
"Allora", portò due dita sotto al mento con fare pensiero. "Beh, non si può negare che tu sia una bella ragazza".
"Oh, grazie", assottigliai lo sguardo, attenta ad ogni sua minima mossa ad ogni sua parola, a tutto ciò che avrebbe potuto dare un senso a quello che avevo dentro.
"Prego", ammiccò. "Ma sarebbe troppo banale tutto questo". Fece pressione sulle gambe alzandosi.
L'agitazione riprese vita in me, volevo baciarlo, ma allo stesso tempo ne avevo paura. Sapevo bene cosa sarebbe accaduto dopo, e la mia imminente partenza mi suggeriva ancor di più che era meglio calmarsi.
"Cosa sarebbe banale?". Sussurrai, portando le ginocchia al petto.
Sospirò, mordicchiandosi l'interno guancia. Mi sembrava di aspettare da ore ed ore quello che avrebbe potuto dirmi, una qualunque spiegazione, invece passarono solo pochi secondi, i più lunghi della mia vita.
"Non si riduce tutto al fatto che tu abbia un bel culo".
"Damon", repressi un urlo, portandomi le mani in viso. "Ma che dici?".
"Spiegavo il mio punto di vista", scrollò le spalle con una finta innocenza che non gli apparteneva affatto.
"Certo", borbottai, distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
"Qualcosa non ti è chiaro piccola Krystal?". Avanzò di qualche passo, fermandosi al mio fianco.
"Parli in codice Damon", dissi, guardandolo dal basso.
Si piegò sulle ginocchia, spostando una ciocca di capelli dal mio viso.
"Dovrai capirlo da sola, allora".
"Sai che questo non è corretto?".
"Ringrazia che non ti stia chiedendo nulla io". Ammiccò.
"Sei troppo sicuro di te", alzai un angolo delle mie labbra.
"Forse", scosse il capo per nulla convinto. "Intanto, hai baciato solo me".
"Non puoi saperlo". Incrociai le braccia al petto.
"Ne sono sicuro", replicò, poggiandosi sul bracciolo di quella poltrona.
"E come?". Mi accigliai, ma poi la mia boccaccia, sparlò troppo. "Oddio non so baciare?". Spalancai gli occhi, quando mi resi conto, dopo qualche secondo, di quello che avevo appena detto.
Avrei tanto voluto che la terra mi inghiottisse in quel momento, ma non avvenne.
Mi guardò, dapprima serio, per poi accennare un sorrisino alla Damon, uno di quelli che non lasciava presagire nulla di buono e che prevedevano una delle sue solite risposte da bollino rosso, ma mi sbagliavo e una strana sensazione di calore si espanse in tutto il mio petto.
"Magari, sarebbe più facile per me se le tue labbra non mi facessero quell'effetto".
Non riuscì a non sorridere e neppure lui, quando i nostri sguardi si incrociarono, ma per pochi secondi, dato che lui, ad un certo punto, sembrò davvero essere in difficoltà.
"Ehm, quindi che facciamo?". Domandai, puntando lo sguardo ovunque, tranne che su di lui. "Restiamo qui?".
"Non c'è altra soluzione", rispose, alzandosi. "Dormi tu qui, io mi metto a terra", e lo fece, senza dir più nulla per tutta la notte.

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