Sono passati ormai dieci anni da quando ho scritto questa riflessione. Gli avvenimenti a cui fa riferimento erano accaduti pochi anni prima, in un periodo dal quale ancora adesso mi chiedo come abbia fatto a uscire viva. Lo pubblicai sul mio primo blog, una pagina sperduta del web visitata da nessuno. Forse fu proprio questa certezza praticamente assoluta dell'anonimato che mi convinse a farlo, a parlare di ciò di cui racconta, e cioè di quando ho sofferto di un disturbo alimentare in uno dei periodi peggiori della mia vita. Credo sia stata una delle prime volte in cui il mio problema si sia manifestato in maniera così evidente e pericolosa.
C'è da dire che adesso che chiamo il mio demone con il suo nome le cose sono in un certo senso più facili. Più definite. Quando attraversai questa avventura maledetta, invece, non avevo idea di avere un problema reale, e colpevolizzai me stessa per ogni cosa. Anche dopo aver superato questa fase mi ci vollero anni prima di rendermi conto di quale fosse effettivamente il problema con la mia mente. Persino quando lo scrissi ero ancora convinta che si fosse trattato di un episodio isolato, di un momento della mia vita in cui avevo commesso un errore e non ero riuscita a sostenerne le conseguenze.
Però lo scrissi perché ne avevo bisogno. Fu catartico in un certo senso. Lo scrissi perché avevo bisogno di non dimenticare quello che avevo vissuto, e allo stesso tempo di lasciarlo andare. Dopo averlo pubblicato non lo rilessi più per anni. Lo postai in più occasioni e in altri luoghi, ma sempre senza toccarlo. Lo lasciai intatto, errori compresi. Soltanto adesso ho trovato il coraggio di rileggerlo, quel rito di liberazione in cui offrii al mondo le mie ferite più profonde.
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Credo che, almeno una volta nella vita, capiti a tutti di attraversare momenti in cui la parola felicità suoni soltanto come un concetto astratto inventato da filosofi opportunisti e spacciatori di vane speranze. Anch'io, qualche anno fa, ho attraversato il mio inferno personale, il luogo in cui sono venuta a contatto con la parte peggiore del mio essere e da cui a stento sono riuscita a uscire. Il mio viaggio oscuro ha avuto il nome di una malattia perversa e, purtroppo, sottovalutata: bulimia. Non mi sono mai fermata, a dire il vero, a ricordare il tempo e il modo in cui questo tarlo diabolico ha preso possesso del mio cervello, forse per paura di ricaderci o per il dolore che causa il pensiero di aver fatto del male alle persone a me più care, me stessa inclusa. Del resto, forse qualcuno lo saprà, la bulimia è molto più difficile da diagnosticare (e quindi più facile da nascondere) rispetto all'anoressia, poiché non porta necessariamente ad uno stato di evidente magrezza. A volte persone perfettamente in carne possono soffrirne, e l'unico modo per poterla identificare è trovarsi insieme alla persona malata nel momento in cui ha uno dei suoi raptus. Ammesso, ovviamente, che a chi assiste a una "abbuffata" interessi qualcosa dell'altra persona.
Ora, comunque, so di esserne uscita e ho deciso di mettere questo racconto per iscritto, per chi se la sentirà di leggerlo tutto e, in questo modo, capire meglio cosa si prova nel non riuscire a controllare la propria mente. Il post è incredibilmente lungo, perché non è facile ridurre a poche parole quello che si prova. Ho, però, una richiesta. Vi chiedo di non essere superficiali, di non leggere frettolosamente e – soprattutto – di cercare di non dare giudizi.
Tutto era iniziato più o meno quattro anni fa in un periodo in cui, strano a dirsi, ero felice e la mia vita mi appariva ricca di prospettive interessanti. Ero finalmente venuta fuori da una relazione abusiva (mi chiedo ancora se di amore si trattasse) che mi aveva succhiato via anni di vita e, finalmente, grazie ad alcuni amici e al trasferimento in una nuova città (Roma) stavo ricominciando a vivere. Tutto mi sembrava nuovo ed entusiasmante, avevo in testa molti progetti di lavoro e iniziavo a conoscere persone interessanti sia a Roma che nel mio paese di origine quando rientravo. I primi tempi a Roma, però, mi portarono a ingrassare rapidamente poiché i nuovi amici mi invitavano spesso a cena e le pietanze che venivano servite erano tutte deliziose ed abbondanti. Urgeva mettersi ai ripari, cioè mettersi a dieta. I primi tempi fui molto rigida e severa con me stessa. In fondo, conoscendomi, sapevo che per me era più facile rinunciare del tutto a una cosa piuttosto che prenderne solo un assaggio e fermarmi. In breve tempo ritornai a essere quella di prima. A quel punto, però, presa dalla paura di poter ingrassare di nuovo, iniziai a consumare meno di quanto avrei dovuto. Non mi concedevo nessuno strappo. Mi piacevo, a dire il vero, ancora non rifiutavo il mio corpo, eppure la paura di tornare a ingrassare mi portava a preferirmi leggermente sottopeso piuttosto che in buona forma. Molti staranno pensando che probabilmente ero anoressica e non bulimica. Probabilmente in quella fase sì, ma non ero che alle porte del mio girone di dannazione. Tutto ciò che ne seguì mi portò ad abusare del mio corpo in maniera di gran lunga peggiore. Tornai a casa per Pasqua, soddisfatta di me e della mia forma smagliante, godevo nel sentirmi dire quanto fossi dimagrita e mi sentivo fiera di me stessa. Tuttavia, ricordo, in quei giorni non riuscii a trattenermi dal mangiare tutto e tanto, qualunque cosa. Tornata a Roma, pensavo, sarebbero bastate un paio di settimane al solito regime per rimettere tutto a posto. E poi un premio lo meritavo, no? Mangiai fino a sentirmi male, come se in quei giorni stessi consumando le mie ultime cene. A vomitare, ricordo, ci provai senza riuscirci. Credo sia stato meglio così. Come previsto, tornata a Roma ripresi il mio regime di sottoalimentazione. Dentro di me sapevo che stavo rischiando grosso, eppure cercavo di convincermi che non sarei mai caduta in errore perché conoscevo bene i rischi di anoressia e bulimia. E in effetti era vero. Mi ero già documentata in passato leggendo testi di medicina sull'argomento, ne conoscevo i sintomi e le cause, non potevo caderci.

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Dicotomie
Non-FictionSiamo fatti di luci e ombre. E di altre contraddizioni. Ho deciso di raccontare della mia battaglia con il disturbo bipolare NAS raccogliendo i pensieri e le riflessioni che ho buttato giù negli anni in cui ho imparato a relazionarmi con i demoni n...