I mostri di Gunkanjima

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Quando ero piccino, neanche io ero pienamente consapevole di cosa fosse Horn Blu Island. Lo credevo un posto magico, glorioso, misterioso, ma nella mia testa questi termini, magico, glorioso, misterioso erano più piccoli, più domabili e di gran lunga meno pericolosi di com'erano nella realtà: significavano incontrare di quando in quando un esperimento magico pronto ad uccidermi, di poter combattere con il fuoco, di vedere immensi castelli. Mi sbagliavo, ovviamente: volevano dire piuttosto che la realtà era instabile, che niente era ciò che sembrava, che il confine fra il possibile e l'impossibile era labile, capriccioso.

Scoprii insieme alla realizzazione del mio primo compito ufficiale che cosa significava abitare sull'Isola dei Prodigi, come gli umani la chiamavano, e cosa comportava essere un messaggero per l'Antica Dragoneria.

Credo che non mi furono date istruzioni e avvertimenti precisi proprio per questo, perché potessi conoscere e capire ciò che era incredibile, vedendolo con i miei occhi senza evitarlo in alcun modo.

Il mio primo compito, affidatomi due giorni dopo, fu quello di portare un quaderno dal cuore della capitale a un piccolo centro abitato vicino. Esatto! Un quaderno apparentemente comune, cucito con un filo grezzo e spesso, con la copertina di pelle nera rinforzata ai bordi da sottili lamine di metallo.

Non mi fu chiesta alcuna segretezza, né mi venne intimato di non guardare le pagine dell'oggetto, che erano completamente bianche.

Ovviamente non riuscivo a capire che utilità avesse la consegna di un oggetto così semplice, ma non ribattei e mi misi immediatamente in viaggio. Dopo aver volato da quasi sulla costa alla capitale fatto a tempo record, non sarebbe stato niente di difficile trovare un piccolo paese... o almeno era quello che pensavo.

In realtà la capitale, e le sue mura, erano così immense che era impossibile sbagliare purché si seguisse una direzione approssimativamente corretta, mentre quello che cercavo era un agglomerato di case minuscolo, nascosto in mezzo alla vegetazione.

Snervato, volai avanti e indietro sulla foresta incrociando un altro paio di giovani draghi che mi salutarono con grande entusiasmo: uno era un draghetto bianco che portava sulla fronte una fascia di cuoio con impresso un kanji, l'altro un drago blu costiero minuscolo che sembrava piuttosto smarrito e mi chiese indicazioni per un posto che non avevo mai sentito nominare, il "Ciollocakao".

Salutai entrambi con discrezione, ma non mi fermai ovviamente a parlare con nessuno.

Quando iniziai a stancarmi di vedere alberi tutti uguali dall'alto, capendo che probabilmente le case erano troppo basse per spuntare sopra le chiome, scesi a terra. Mi ritrovai in un sottobosco stranamente pallido, con pianticelle di un verde chiarissimo che si attorcigliavano sopra mucchi di foglie secche dal colore paglierino. Un centopiedi rosso e nero, che sarà stato lungo almeno un metro, mi strisciò in mezzo alla zampe prima di tuffarsi, rapido come una scheggia, in un mucchio di foglie.

Cercai di orientarmi con l'olfatto, di riconoscere l'odore degli esseri umani, ma il profumo del bosco era forte e quasi inebriante. Mi infilai in un macchione di spinose felci azzurrognole e camminai fino ad attraversarlo tutto, sperando che dall'altro lato gli odori si sarebbero affievoliti abbastanza da lasciarmi riconoscere una qualche traccia.

Quando finalmente sbucai, mi ritrovai di fronte ad un ponte che si stendeva sopra un fiumiciattolo basso e lento. Il ponte era viola, dall'architettura pesante, e sembrava fatto di un qualche tipo di pietra che non conoscevo. Mi avvicinai cautamente ad esso e presi ad annusarne la base, poi toccai con un artiglio il corrimano e non accadde nulla, così salii sul ponte e presi ad attraversarlo. Odorava di fringuelli, il che era parecchio strano... che cosa ci facevano, abitualmente, dei fringuelli su un ponte?

Io sono il Drago [Vincitore Wattys 2019]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora