La Polvere (Capitolo 7: La complicata arte dei coltelli)

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Capitolo 7: La complicata arte dei coltelli

Uscire dalle mura della città fu come tuffarsi in un oceano bianco. La polvere aveva ammantato i prati e le strade che si stendevano al di fuori della cerchia abitata, uniformando il paesaggio e addolcendo ogni asperità con un velo morbido e sfumato che conferiva un alone di sogno ad ogni cosa. E come se si materializzasse proprio da un sogno, campeggiava lì, in una radura poco discosta dalla strada maestra, il tendone di un circo. I manifesti colorati ne avevano annunciato l'arrivo nei giorni precedenti; Jori aveva desiderato andarci come tutti i ragazzini, ma la sorpresa della polvere ed il viaggio verso la torre glielo avevano fatto dimenticare. Ora però, alla vista del grande tendone un poco sbiadito, ma ancora ricco del suo allegro fascino, si riaccese il suo desiderio e partì di corsa per raggiungerlo.

Ayl lo lasciò andare avanti, seguendone i passi mentre si stringeva le braccia per scaldarsi. Il giorno precedente, mentre giocava, aveva avuto caldo e si era tolto uno dei suoi maglioni; poi però pian piano il freddo era tornato a farsi sentire ed ora pensava con rimpianto al maglione che aveva abbandonato. Era abituato a portarlo, rifletteva, e questo aumentava i suoi brividi: se non lo avesse mai posseduto, forse avrebbe avvertito meno intensa la sua mancanza e magari anche il freddo. Rifletteva anche che se non avesse mai visto un cielo così bello dalla sua piccola finestra nel tetto, forse si sarebbe accontentato dei colori che avevano i maglioni del vecchio venditore e ne avrebbe comperato uno, che ora gli avrebbe fatto molto comodo. Ma poi pensò alla donna che giocava le sue monete sperando di non vincerne più e al fornaio che conosceva solo la piccola striscia di cielo visibile dalla sua strada, e si disse che in fondo lui era più fortunato. Sentiva freddo, ma almeno le sue partite le aveva sempre giocate per vincere ed aveva anche visto il cielo più bello che si potesse immaginare.

Alcuni animali, liberi dallo spettacolo e dagli addestramenti, vagavano tranquilli per il prato: c'era una coppia di cammelli, quattro cavalli e un vecchio asino tormentato dalle mosche anche in inverno. Jori li osservava, sorridendo dei loro musi simpatici, mentre un uomo sedeva lì accanto e sorvegliava le bestie. Indossava una camicia aperta sul petto, totalmente fuori luogo rispetto alla stagione, ma non sembrava affatto infreddolito. "Ciao ragazzino", salutò gentile in direzione di Jori; "ti piacciono gli animali?" "Mi piace tutto il circo!", rispose lui entusiasta. "Tu che numero sai fare?" "Io sono il mangiatore di spade", annunciò quello con magniloquenza; "posso infilarmi una lama nella gola fin giù nello stomaco senza ferirmi; posso far volteggiare fino a cento coltelli sopra il mio capo senza che ne cada neppure uno; oppure posso roteare le mie spade così velocemente che non saresti più in grado nemmeno di vederle" Jori lo ascoltava con gli occhi grandi e sognanti, ingordo delle meraviglie che l'artista gli raccontava. Ayl nel frattempo li aveva raggiunti ed osservava l'uomo con curiosità: infreddolito com'era, lo trovava quantomeno bizzarro, con una sola camicia eppure perfettamente a suo agio nel freddo di Novembre. Dai lembi socchiusi sul petto si intravedeva una grossa cicatrice, che lo attraversava tutto: Jori non osava domandarlo, ma si struggeva dalla voglia di sapere come se la fosse procurata. L'uomo intuì la sua curiosità, del resto pessimamente celata nonostante i sinceri sforzi del bambino, e gli sorrise bonario.

"E' un mestiere pericoloso il mio: sai?", incominciò a narrare. "I coltelli sono capricciosi, spesso si ribellano per niente, o per così poco che diresti sia quasi niente. Devi trattarli bene, devi lucidarli e oliarli, ma anche così non potrai mai essere certo che non ti feriranno. Guarda qui", disse mentre si alzava la manica e metteva in mostra una fitta rete di cicatrici sottili e bianche, "non so quante volte i coltelli mi hanno fatto male. Ma fare male è il loro modo di baciarmi a volte, bisogna saper apprezzare anche quello" Trasse una boccata d'aria fresca e proseguì: "Soprattutto all'inizio, quando non ero pratico del mestiere e non sapevo ancora nulla dell'arte complessa e magnifica dei maestri di spade, ogni volta che pensavo di aver carpito un importante segreto di quest'arte, ecco che qualcosa andava male e mi ritrovavo dolorante, con un nuovo taglio sulla pelle" "E come hai fatto a diventare bravo e non farti più male?", chiese con ammirazione Jori.
"Vedi, è strano", disse quello. "All'inizio pensavo che la pratica avrebbe portato alla perfezione. Credevo che con ore ed ore di esercizi, pian piano sarei giunto ad essere bravo come i miei maestri. Passavo quasi tutte le mie giornate chiuso nel tendone, a provare e riprovare i miei numeri, ma non facevo grandi progressi: comprendevo ogni cosa nella teoria, ma al momento di afferrare le lame, di lanciarle o di ingoiarle, qualcosa andava sempre in modo diverso da come avrebbe dovuto. La pratica non era mai pulita e perfetta come la teoria, così mi confondevo, avevo paura di ferirmi di nuovo, mi tremavano le mani e sbagliavo tutto. Avevo quasi deciso di abbandonare la mia strada di artista, quando un giorno mi capitò una cosa: mentre provavo il numero dei coltelli, lanciandoli in alto e facendoli roteare sopra la mia testa, uno mi sfuggì in malo modo e mi aprì il taglio di cui vedi il segno sul mio petto ancora oggi. Dovetti rimanere molti giorni lontano dai miei esercizi, a riposo per guarire. Il tempo allora divenne lunghissimo. Mi annoiavo a morte: non sapevo cosa fare perchè il mio mondo si era via via ristretto solo al circo e ai coltelli e neppure ricordavo come fosse il resto, cosa facessero gli altri, che divertimenti ci fossero nella vita. Avevo così a lungo inseguito il mio scopo, che vi avevo sacrificato ogni cosa, ogni pensiero, ogni altra passione: senza rendermene conto, avevo svuotato la mia vita, privandomi di tutto: amici, amore, pensieri. Mi ero fatto molto più male di quanto qualsiasi coltello avrebbe mai potuto farmene" Trasse un lungo sospiro placido, con l'aria indulgente di chi considera in vecchiaia gli errori della gioventù. Poi disse: "Allora compresi che non c'era male, nel mondo. Compresi che ogni dolore poteva venire solo da me, perchè nessun altro avrebbe saputo ferirmi, se io non lo avessi permesso: i coltelli mi avevano tagliato perchè li avevo maneggiati con paura, desideroso di conservarmi, di proteggermi. Non mi ero esposto abbastanza e le mie mani avevano mancato la presa perchè stavo rannicchiato e tremante, nella posizione sbagliata, che rendeva il numero impossibile. Per paura di soffrire, per poco non ero addirittura morto." "E' stato allora", chiese Jori curioso "che sei diventato bravo?" "Si, fu allora", disse l'uomo; "tornai al circo e riprovai i miei numeri, consapevole che se fossi morto eseguendoli sarebbe stato solo per mia scelta o per la mia paura. Mi allenai per ore, bene come mai avevo fatto prima. I miei maestri, quando mi videro sorrisero felici, perchè sapevano che finalmente avevo compreso i miei errori ed avevo trovato la strada per praticare la complicata arte dei coltelli"

Per qualche attimo nessuno disse nulla: anche Ayl era rimasto affascinato dal racconto dell'uomo e lo fissava rapito. "E allora, tutti i tuoi esercizi? Avresti anche potuto non farli?", chiese Jori rompendo il silenzio. Ma il maestro di coltelli rispose serio, con aria grave: "Nessun esercizio è stato vano e nessuna delle ore spese ad allenarmi è stata inutile. Ogni ferita che i coltelli mi hanno fatto è stata un passo sulla mia via, ogni errore, ogni goccia di sudore, mi ha portato più vicino alla meta. Ogni respiro, dalla nascita ad oggi, è stato parte fondamentale del mio percorso e se non ci fosse stato, non mi troverei dove mi trovo ora. Per tutti noi è così, non dimenticarlo mai ragazzino" Detto questo, salutò i due visitatori e fece per andare a riportare gli animali nel loro steccato. 
"Dimmi solo una cosa", chiese allora Ayl prima che si allontanasse; "è per questa tua consapevolezza che non senti freddo, anche se non porti che una camicia leggera?" L'uomo sorrise, ed il sorriso gli fece arricciare lunghe rughe sottili intorno agli occhi e agli angoli della bocca. Rispose: "Ma io lo sento il freddo: solamente, non ho bisogno di tremare come fai tu!", e se ne andò fischiettando. Ayl rimase perplesso per qualche istante, ma poi pensò ai coltelli del maestro, che non potevano certo essere lanciati bene da mani tremanti e corpi in posizioni difensive, e si chiese se tutto il male che veniva dal freddo non fosse dato dai suoi sforzi per scaldarsi e non sentirlo, invece che dal freddo stesso. Allora allentò la presa delle mani sulle braccia e smise di strofinarsi il corpo per scaldarlo, con i muscoli indolenziti per tutto quello sfregare. Ebbe tre o quattro brividi; avvertì che il corpo si rattrappiva e lo lasciò fare, abbandonandosi senza reagire. - Se c'è freddo - pensò, - bene: posso anche sentirlo. Non è forse una cosa naturale, che d'inverno ci sia freddo?- Fu mosso da qualche altro fremito e poi sentì i muscoli rilassarsi: il freddo lo avvertiva ancora, ma il suo corpo non si ribellava più come prima, iniziava ad accettarlo, ad adattarvisi. Qualche leggero brivido correva ancora per la schiena e lungo le braccia, ma lui non vi si opponeva, lasciando che facesse il suo corso, quasi assaporandolo. "Non ti fa più stare male il freddo?", chiese Jori che osservava stupito quel cambiamento. "No. Ho appena capito che non era il freddo a farmi male: ero io che me ne facevo, combattendo i brividi e sforzandomi di non sentirlo mai. Ne avevo paura, per questo soffrivo: era la paura a ferirmi." "Ed ora non hai più paura?" Riprendendo il cammino, Ayl rispose: "Si, ne ho ancora un po', ma non mi fa più male come prima" Jori allora sorrise e corse di nuovo avanti, ad esplorare la strada bianca. Correndo, sollevava grossi batuffoli di polvere che svolazzavano pigri, nel sole alto di mezzogiorno.

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