6. Sapere selvaggio

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SAPERE SELVAGGIO

Ero alla ricerca della conoscenza, avevo sete di sapere. Esso si nascondeva tra le righe, in una foresta di lettere, parole, pensieri e sensazioni. Cacciava le sue prede, la sua bestialità le aggrediva d'un immensità insostenibile, cadevano sulle ginocchia i sapienti, si ricoprivano d'umiltà i saggi, segno che la bestia era passata di lì. Tutti gli altri, gregge incosciente, superficiali e sereni, proseguivano una non vita di luce nelle ombre, nella cecità. Nella beatitudine.

Ma no, per me la beatitudine non era abbastanza. Mi sarei condotto all'inferno o al paradiso, forse avrei anche combattuto, io mi sarei mosso.

Avevo anche bisogno di più prove. Costruii una trappola intorno al mio letto, mi ci sistemai per dormire, aspettandomi che prima o poi sarebbe scattata, avvisandomi che il mio sogno era davvero più reale di quanto non sembrasse, sogni di angeli che venivano dalle stelle, di notte, per annunciarmi verità che non mi sarebbero mai state dette.

Avevo collegato con dei fili vari oggetti leggeri nella stanza, in modo che qualsiasi cosa sarebbe passata, avrebbe lasciato il segno.

Il mattino dopo non trovai né fili né oggetti, eccetto uno.

Rimasi sconvolto, perplesso, spaventato. Io avevo colto la bestia alle spalle, avevo messo la verità all'angolo, non mi restava che affrontare il suo volto di là dalle sue sembianze ingannevoli.

Giunto a scuola ero impaziente di parlarne con qualcuno, avrei condiviso la notizia con Alberto. Attesi di rivederlo ma giunto il momento mi sentii disorientato, proprio al debole Ranocchio avrei detto tutto questo?

Tornai a casa, in preda ai misteri, alle indecisioni, ma Sport mi accolse con uno degli oggetti scomparsi, deformato dalla violenza giocosa dei suoi denti. Guardai il filo attaccato ad esso che correva lungo la stanza e si nascondeva dietro ad una porta. Andai, se ne stavano lì, nell'altra stanza, il resto degli oggetti ancora legati.

«Cosa sono tutte queste cose in giro per casa?», tuonò mia madre.

«Esperimenti...», farfugliai, trafitto dalla delusione. Lo trascinai via con me fino al cestino dove buttai le cose e tirai un calcio alla ciotola vuota del cane, che stava lì accanto. La rabbia vinse la delusione, uscii a sedermi fuori e fissai il vuoto, profondamente scosso. Ero solo stato un idiota a credere, avevo calpestato tutto il mio valore intellettivo. Mi ero umiliato da solo, ma come era successo? Ed avevo anche creduto! Almeno non ne avevo parlato con altri, ma per così poco!

Tornai in camera mia, Sport s'intrufolava zitto zitto, afferrò l'ultimo filo e mi corse attorno per farsi notare, colpevole.

«Inseguimi!», dicevano i suoi occhi. La sua coda si mosse allegramente e dei suoni lamentosi uscirono dalla sua gola. Poi lasciò il filo e abbaiò.

Soffiai, «Ma esci! Via! Sei stato tu! Canaglia...», lo scacciai delicatamente col piede e chiusi la porta. «Ma che storie! Dannazione!». Lasciai cadere a terra i libri dalla mia scrivania e fissai la finestra.

Dove portava la via?


"Impercettibile, quasi senza forma; misterioso, quasi senza rumore: così sei padrone del destino del nemico", Sun Tzu, L'arte della guerra, capitolo sesto.

Avevo bisogno di misteriosa rapidità e impercettibilità. Ma come l'avrei trovata?

Per una strada di sera, qualche giorno dopo, rimasi intontito a fissare una luce brillare, venire, brillare, immensa e poi andarsene, nel cielo e solo dopo guardai il cellulare che tenevo in mano, ammaliato ed abbagliato dalla bellezza dell'evento non avevo nemmeno scattato una foto! Imprecai! tirando un sasso in direzione della luce misteriosa, avevo fallito. Non avevo documentato niente di niente!

IL PIANETA DELL'INGANNO voi non siete soliWhere stories live. Discover now