Aria pensò che lo sapeva molto bene. Che quelle stesse parole avrebbe potuto pronunciarle lei stessa. Del resto, se era lì quel giorno, era solo per avere una sorta di anticipazione su come sarebbe stato il suo, di funerale, che – ne era certa – si sarebbe celebrato di lì a non molto.

Don Paolo proseguì: «Mi ha salvato la fede, una possibilità che non avevo mai preso in considerazione, a dimostrazione che la vita può sorprenderci anche quando è la morte a gridare più forte in noi».

Aria si chiese se sarebbe capitato qualcosa del genere anche a lei. Più che gridare, le sembrava si trattasse di correre: le sembrava che la morte le corresse incontro come un'auto lanciata alla massima velocità, mentre la vita, come una lepre troppo sicura di sé, pisolava all'ombra. Escludeva comunque la possibilità di una conversione. Dio non aveva mai avuto alcun ruolo nella sua vita, dubitava che dopo averla ignorata per diciott'anni potesse di punto in bianco farsi vivo e trovare una giustificazione abbastanza convincente per tutto il tempo passato lontano da lei. Cosa le avrebbe detto? "Ehilà, Aria, come te la passi? Non sei molto brava a giocare a nascondino. Sono stato qui tutto il tempo e tu non mi hai neanche visto!".

Don Paolo affondò: «Tutti noi ricordiamo un Massimiliano sorridente. Sembra impossibile anche a me che una persona in apparenza così serena covasse dentro tale e tanto dolore. Eppure, so anche quanto quel dolore sembri talmente corrosivo da poter danneggiare chiunque lo avvicini. È per questo che probabilmente non ha rivelato a nessuno questi suoi sentimenti, impedendo a chiunque di avvicinarlo davvero».

Più don Paolo proseguiva nella sua omelia, più Aria avrebbe voluto alzarsi in piedi e applaudirlo. Non si sarebbe mai aspettata di sentire parole tanto toccanti, oneste. Parole che probabilmente,pensava, gli sarebbero costate una scomunica. Se quella fosse statala sua parrocchia, non avrebbe mai smesso di frequentarla. Il vecchio sacerdote che celebrava da lei non faceva altro che parlare di peccati, e punizioni, e colpe. Era cresciuta con la terribile angoscia di essere sempre sul punto di fare qualcosa che l'avrebbe mandata all'inferno senza passare dal via. Forse, a ben pensarci, don Lino non lo celebrerebbe nemmeno, il suo funerale.

«L'ultima cosa che vorrei dire, che avrei voluto dire a Massimiliano, è che passa. Quel dolore che sembra assorbire ogni cosa, quella mancanza di senso, quella voragine che sembra inghiottire tutto, non è tutto, non è per sempre, anche se lo sembra, passa, deve passare. E quando alla fine se ne va, rende ogni cosa molto più preziosa e significativa di prima».

Fece una pausa. Poi aggiunse: «Se qualcuno di voi desidera dire qualcosa, a Massimiliano, o condividere un ricordo può avvicinarsi al microfono».

Aria si aspettava un lungo momento di silenzio, in cui nessuno si sarebbe azzardato a muoversi, invece qualcuno – dalla sua posizione defilata non riusciva a vedere chi fosse – doveva essersi mosso,perché tutti stavano guardando nella stessa direzione.

Una ragazza minuta, resa ancora più piccola dal confronto con l'imponente don Paolo, gli prese il microfono dalle mani e disse: «Ho conosciuto Max all'asilo. Ci siamo sempre detestati, fino a sei mesi fa, quando abbiamo capito che invece ci piacevamo un sacco». Prese fiato. Si capiva che stava lottando per non scoppiare a piangere davanti a tutti, per tenere la voce abbastanza ferma. «Max è stato il mio primo bacio, il mio primo amore, il mio primo tutto. Se c'era una persona che avrebbe potuto, e dovuto, capire quello che gli passava per la testa, ero io. Avevo la presunzione di conoscerlo più intimamente di chiunque altro, invece non mi ha rivelato la parte più» fece una pausa, un respiro durante il quale Aria si accorse che stava piangendo.

Che cosa stupida piangere al funerale di uno che non hai nemmeno mai visto. Eppure, come a teatro, come leggendo un libro, come davanti a un film, non poteva fare a meno di vivere quella narrazione sulla sua pelle, come se le appartenesse, come se ne facesse parte.

La ragazza riprese: «La parte più importante di sé. Quella che l'ha spinto a compiere quel gesto violentissimo. Adesso l'unica cosa che sento, oltre al soffocante dolore per la perdita, è un senso di colpa insostenibile. La certezza che avrei potuto e dovuto salvarlo e non ne sono stata capace».

Don Paolo le cinse una spalla per confortarla, la veste viola si aprì come un'ala, quasi a proteggerla, prima che lei sgusciasse via.

Dopo fu il turno di uno scout che raccontò: «Ci siamo visti poche ore prima che si togliesse la vita. Abbiamo suonato insieme, fatto un giro in bici. Abbiamo riso. Ha riso. Quando mi hanno detto che Massimiliano si era ucciso non ho capito di chi parlassero. Il mio amico Massimiliano non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non riesco a capire, non riesco a credere. Io-io...»

Anche lui si affrettò a tornare al proprio posto. Sembrava che nessuno riuscisse a dire più di qualche frase senza andare in pezzi. Eppure si era creata una piccola fila di persone che aspettavano di parlare. Come se ognuno si sentisse in qualche modo responsabile e allo stesso tempo in diritto di soffrire più degli altri per quella perdita.

«Stavamo ripassando insieme per l'esame di letteratura italiana. A un certo punto Max mi ha chiesto 'ma tu, ci pensi mai alla morte?'. Gli avevo risposto che certo, ci pensiamo tutti. Muore un sacco di gente tutto il tempo, è il nostro destino, in fondo. Allora lui aveva specificato 'no, intendo, a ucciderti. Tipo annegarti, o soffocarti, o buttarti da una finestra, di proposito'. E a quel punto avevo scherzato. Gli avevo risposto che il pensiero di dover studiare per l'esame di filologia romanza mi metteva addosso una gran voglia di suicidarmi. E avevo mimato il gesto di una pistola alla tempia. Poi avevamo ripreso a ripetere Dante come se nulla fosse. E ora non posso fare a meno di chiedermi cosa sarebbe successo se l'avessi preso sul serio, se gli avessi consigliato di parlarne con qualcuno, tipo uno psicologo, non so. Facciamo e diciamo un sacco di cose senza pensare, eppure tutto ha delle conseguenze. Che spesso non sapremo mai».

Poi era stato il turno del compagno delle elementari che ricordava Massimiliano per aver diviso con lui la merenda, il compagno di basket per il quale Massimiliano era stato esempio di passione, costanza, determinazione, e infine la professoressa di italiano del liceo.

«Insegno da quarant'anni, ho avuto migliaia di studenti, non penso di ricordarli tutti. Ma di Massimiliano mi resta un ricordo vivido. Dai suoi temi traspariva una sensibilità e uno sguardo talmente profondo e originale che era impossibile non rimanerne colpiti».

Poi la messa finì, gli scout cantarono "è l'ora dell'addio" e tutti si riversarono fuori dalla chiesa. Il sagrato era spazzato da un vento gelato. Forse sarebbe nevicato. Aria alzò il cappuccio del giaccone, avvolse ancora più strettamente la sciarpa attorno al collo, ficcò le mani in tasca e iniziò ad aprire e chiudere i pugni per tenerle calde. Quasi nessuno seguì il feretro a piedi, fino al cimitero. Quando la bara fu calata in fretta nella buca c'erano solo una manciata di persone, qualcuno gettò un fiore. Don Paolo recitò l'eterno riposo e di Massimiliano non restava più nulla. Solo un'assenza, un buco che gradualmente si sarebbe fatto per tutti sempre più piccolo. La vita sarebbe continuata.

Aria non sapeva dire se quel pensiero la rassicurava o la faceva arrabbiare. Possibile che ognuno contasse così poco? La fidanzata di Massimiliano avrebbe trovato un altro ragazzo, quell'altro avrebbe studiato da solo o con un compagno diverso e il dolore incontenibile che tutti a quel funerale sembravano provare sarebbe stato solo un lontano ricordo.


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