•Capitolo XXVII

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— Andrà tutto bene. Non aver paura, tesoro.

— Non ne ho, madre — bisbiglio. — Io non ho mai paura.

Lei si apre in un debole sorriso. — Lo so — Mamma mi scocca un bacio sulla fronte e il suo sorriso si screzia di tristezza. — Mi mancherai, fragolina. E mi mancherà anche papà — Esita prima di proseguire: — D-Digli che non è dipeso da me. Spero lo capisca e che non mi venga a cercare... vieni qui — Mi stringe tra le sue braccia con così tanta forza da farmi mancare il respiro, e quando inizia a tremare alzo il viso, accorgendomi che sta singhiozzando. Un istante dopo mi sorride e si scosta da me, asciugandosi le guance come se nulla fosse. — Fa' la brava — sussurra, prima di uscire da palazzo.

La fisso imbronciata.

Io gli adulti non li capisco proprio.

*  *  *

Sento ricadere la testa pesantemente, come se fosse un macigno, fino a quando non si scontra contro una superficie rigida. Socchiudo le palpebre e appoggio le mani sul ripiano del tavolo. Osservo l'orologio di fronte a me e noto che indica mezzogiorno.

Accidenti, adesso mi addormento perfino in pieno giorno... inizio a dubitare di soffrire di narcolessia. E comunque, anche se fosse, non sarebbe la cosa peggiore: Alya mi fissa dall'alto della sua statura – solitamente è più bassa di me, ma deve essere perché adesso sono seduta – e i suoi occhi sono di ghiaccio.

Sussulto. — Cosa c'è?

— Cosa c'è? — ripete, esasperata. — Cosa c'è. È più o meno mezz'ora che continuo a parlarti ed è più o meno mezz'ora che tu fingi di ascoltarmi, mentre in realtà stai dormendo! Ancora!

Nonostante ci provi davvero, non riesco a trattenere uno sbadiglio, anche piuttosto rumoroso. Il suo sopracciglio scatta in alto in un tic nervoso e io raddrizzo la schiena. — Scusa. Non è che puoi sintetizzarmi quello che hai appena detto, magari in poche parole?

Rotea gli occhi e si siede di fronte a me. — Oggi sai che giorno è?

— Non ne ho la minima idea.

— È il primo novembre! Buon anniversario e buon compleanno, ma questo te l'avevo già detto quando pensavo mi stessi ascoltando, perciò — Alza le spalle, — Quella roba, il ballo, non so, è questa sera, giusto? Sai almeno dove si terrà?

— No. Posso sempre andare a Relicanth e chiedere...

— A tuo padre? Impossibile. Non avevi forse detto che non voleva che tu partecipassi? Credi davvero che allora ti dica dove si terrà? E poi non abbiamo neanche i vestiti... accidenti! — scatta.

— Rilassati, posso sempre chiedere all'assistente che stava parlando per mio padre. Per i vestiti non ti devi preoccupare, posso far confezionare splendidi abiti dalle mie cameriere in un pomeriggio. Bene, sarà meglio che mi sbrighi! Prima vado, prima torno, no?

Alya storce il labbro e si apre in un sorriso di assenso che io scorgo a malapena, poiché mi sono già smaterializzata. Il mio corpo trapassa le barriere dello spazio e in un secondo sono a Relicanth, di fronte a palazzo reale. Avanzo, salendo la scalinata che conduce all'entrata principale e il portone si spalanca. Anche qui è pomeriggio, sebbene inoltrato – credo siano più o meno le cinque – e l'atmosfera è ben diversa rispetto a quando sono venuta con Derek: la servitù non è agitata come al solito, ma sembra triplicata. Al mio passaggio tutti si piegano in una riverenza più profonda e lunga del solito.

Non mi ricordo mai il nome dell'assistente di mio padre, ma so dove trovarlo. Svolto l'angolo e lo trovo accanto allo studio di mio padre. Appena mi vede si affretta a inchinarsi. — Maestà... non aspettavamo una vostra visita a palazzo — mormora.

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