Mèstica

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Cap. 01

Viktor chiuse la telefonata con un lieve sbuffo, sistemandosi sul divano in pelle nera del suo appartamento.

Non appena trovò una posizione abbastanza comoda, Maccachin con un balzo gli salì addosso, stendendosi sul suo petto e leccandogli docilmente la mano che si era affrettata ad accarezzargli la testa.

Il barbone aveva sentito chiaramente che qualcosa non andava e adesso cercava di distrarlo coccolandolo come meglio poteva.

Viktor continuò ad accarezzare distrattamente il pelo colore caramello del suo compagno di viaggio. Aveva appena ricevuto una chiamata dal suo agente, Yakov, che gli intimava di ritornare immediatamente a S. Pietroburgo.

Non che lui ne avesse l' intenzione; aveva disdetto tutti i suoi impegni per godersi un piccolo momento di libertà lì a Sochi e nessuno avrebbe potuto interrompere questa sua breve fuga.

Non era per nulla raro che lui lasciasse tutto e andasse da qualche parte così, senza aver prima un programma, di questo aveva dato ragione all' agente, ma lui era un artista e spesso faceva le cose di testa sua, di getto. Non era di certo la prima volta che aveva fatto infuriare quell' uomo, né sarebbe stata l' ultima.

Yakov non capiva e mai avrebbe potuto farlo.

Era stato abbastanza difficile sentirsi dire dalla critica che il suo talento stava scemando. Velatamente, certo; visto che non avevano ancora avuto il coraggio di stroncarlo apertamente, attraverso gli articoli che pubblicavano di lui.

Viktor era nato per meravigliare, senza questo sarebbe stato solo un artista qualsiasi.
Ma per quanto mettesse l' anima in ogni singola cosa che faceva, non c'era più niente che scuotesse il pubblico.

Era tutto tremendamente sbagliato.

Si era fermato. No, sarebbe meglio dire che si era dovuto fermare.

Aveva lasciato alcune tele a metà, altre le aveva distrutte e poi era scappato come un codardo; nell' unico posto che abbia mai sentito suo, lì a Sochi, dove tutto era iniziato.

Il naso umido del cane gli sfiorò la guancia e lui rispose con una generosa dose di grattini dietro le orecchie.
Osservò gli occhioni vivaci del barbone per qualche secondo, dopo avergli sollevato il muso.
- Maccachin - premette i palmi sulle guanciotte pelose - usciamo -

Il cane scodinzolò in risposta e si lanciò dal divano, correndo in direzione dell' ingresso.
Viktor ridacchiò e si alzò anche lui dal sofà.

Si chinò verso il tavolino in vetro, tendendo il braccio con l'unico scopo di afferrare il suo smartphone di ultima generazione tuttavia a pochi millimetri dall' apparecchio telefonico, si fermò.

Se avesse allungato le dita ne avrebbe​ sfiorato il vetro; avrebbe potuto prenderlo e infilarlo nei jeans, sentendone il peso familiare nella tasca.
Avrebbe potuto, ma non lo fece; si risollevò e si avviò all' entrata, lasciandolo lì dove l' aveva poggiato.

Era sicuro che Yakov avrebbe richiamato e tutto voleva tranne sentirlo.
Per una volta ne avrebbe fatto a meno.

Raggiunse l' ingresso dell' attico, infilandosi velocemente il cappotto prima di aprire la porta a Maccachin che corse fuori in un battito di ciglia.
Viktor ridacchiò per l'irruenza del barbone e lo richiamò con un sorriso, affrettandosi però a raggiungerlo.
 
Si strinse la sciarpa scura intorno al collo mentre attendeva il dling familiare delle porte dell' ascensore.
Maccachin aspettò seduto accanto a lui, come sempre.

Era solo un cucciolo quando i suoi genitori l' avevano portato a casa e lui stesso, un bambino di una decina d'anni; erano cresciuti insieme, diventando compagni di avventura, avevano passato giorni felici e periodi neri, sempre insieme, sempre uniti.
Il suo cane c'era quando suo padre e sua madre avevano divorziato. C'era quando aveva scoperto  che provava attrazione per gli uomini e c'era quando aveva trovato il fidanzato con un altro.

Pigmenti [Viktuuri] [AU] [Ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora