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Mi dicesti che i tuoi erano particolarmente possessivi, tua madre aveva un negozio di scarpe in via Alba mentre tuo padre faceva l'avvocato in uno studio vicino casa mia.

«Magari così, quando andrai a trovare tuo padre a lavoro potresti passare da me...».

«Sì, magari!».

Magari.

Volevano che tu diventassi medico perché il figlio medico è un po' il desiderio di tutti i genitori.

Forse non il figlio felice ma il figlio medico per forza.

Tu mi dicesti che a te piaceva fare altro senza specificarmi cosa però, non volevi svelare troppo di te al primo appuntamento.

«Mi conoscerai col tempo, ne sono sicura».

«Ti aprirai?».

«Magari, col tempo».

Magari.

Ti facevano uscire liberamente ma ti davano orari che a me non sono mai piaciuti. Non posso dare del tempo massimo alle persone perché le persone vanno ascoltate, anche fino a notte fonda, quando nessuno le ascolterebbe perché troppo stanco. E poi durante le notti si dicono le cose più intime. Vero Alessandra?

Avevo un compagno di classe in quarto liceo che ogni mattina non riusciva a tenere gli occhi aperti per il sonno e sistematicamente veniva svegliato dalle urla del professore che esigeva la sua attenzione. Per un sacco di tempo mi sono interrogato sul perché di questa stanchezza senza chiederlo però, non avevamo tutto questo grande rapporto.

Una notte, mentre tornavo dalla discoteca, l'ho trovato seduto su una panchina, con un blocco notes bianco e rosso e gli auricolari a volume alto mentre scarabocchiava qualcosa.

«Ehi Giò, che ci fai qui?».

«Scrivo, la notte mi ispira».

«Fai questo tutti i giorni, vero?».

«È così evidente?». Ridemmo tutti e due, con lui che mi fece leggere qualcosa che aveva scritto quella sera.

Il giorno dopo a scuola incrociò il mio sguardo e mi sorrise, prima di riaddormentarsi.


I sabati sera, in seconda media, li passavo su MSN. L'alternativa di uscire con gli amici di mia mamma non mi persuadeva moltissimo ed essendo la prima volta che mi interfacciavo con il computer il mio pensiero era sempre lì. Assieme ad una bottiglia di Pepsi Cola al limone inviavo tante di quelle lettere sbrilluccicose o con il font dell'A-Team che tutt'ora penso di vergognarmene. Avevo anche una ragazza che frequentava la classe di fronte alla mia e con cui, giuro, non ho mai parlato di persona nei tre mesi in cui siamo stati assieme.

Solo il sabato, su MSN, con le lettere sbrilluccicose.

Eravamo troppo timidi e anche lo scambiarci uno sgurdo ci sembrava un qualcosa di troppo grande.

Un sabato mi chiese se avessi un nome preferito:

«Il tuo, Diletta».

«Lo dici solo perché siamo fidanzati».

«No, mi piace per davvero. Perché dovrei mentirti?».

«Perché vuoi un bacio da me».

Ah, l'innocenza.

Quanto è semplice l'amore quando si è piccoli e quanto lo si prende alla leggera! Se ti piaccio bene, se non ti piaccio stop, nessuna friendzone.

La bellezza delle cose elementari che non ti complicano la vita e non ti fanno girare la testa vorticosamente in cerca del meglio.

Perché il meglio è semplice, è lì, basta cercarlo.

D'improvviso | #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora