Capitolo 1

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Capitolo 1

Si sentì lo stridio delle rotaie in lontananza.

La metropolitana era arrivata, puntuale come l'orologio svizzero che il suo capo lo aveva costretto ad indossare, per fare in modo che arrivasse puntuale in ufficio, senza poter usufruire delle sue scuse giornaliere.

Le porte di vetro si spalancarono davanti ai suoi occhi ancora spenti. Fu costretto a salire in fretta, strattonato dalla massa di persone impazienti di arrivare ognuno al proprio ufficio. Perché, sì, quello era il quartiere 'degli uffici' per eccellenza, dove gli uomini d'affari si riunivano per svolgere i propri doveri, strettamente legati al denaro.

E avrebbe voluto avere anche lui tutta quella frenesia, senza il bisogno di sentirsi oppresso dallo scorrere del tempo, oltre che dall'imponenza di un tale schiacciato contro il suo gracile corpo.

Quella giornata gli pareva più angosciante delle altre. Mentre il suo respiro cercava di farsi spazio tra le figure presenti nel vagone, il ragazzo teneva stretta a sé la sua ventiquattrore carica di fogli compilati da consegnare al suo capo entro la fine della mattinata.

In quel posto regnava un inquietante silenzio, rotto soltanto dal fastidioso ticchettio dei diversi orologi, o dal trillo di qualche telefono ricevente un messaggio; il rumore assordante delle urla del suo superiore gli rimbombavano nella mente: le avrebbe ricevute lui se non avesse completato il lavoro quella notte.

Sbadigliò al pensiero, sperando di non doversi ritrovare al posto della povera Margaret, derisa e licenziata davanti all'intera azienda per il semplice fatto di aver sbagliato ad inviare dei fax... per la quarta volta.

La metropolitana si fermò improvvisamente, facendo sobbalzare la metà delle anime vestite color grigio topo; non ci fu neanche bisogno di sorreggersi agli appositi pali blu, tanto erano ammassati tra loro quei corpi.

Finalmente le porte di vetro si riaprirono, permettendo agli individui in divisa di uscire ed intraprendere una nuova giornata lavorativa.

Quelragazzo riuscì a scendere solo quando il vagone si fu svuotato del tutto.

Oltrepassata la linea gialla, diede una nuova occhiata all'orologio, realizzando che anche quella mattina sarebbe arrivato in ritardo.

Cercando di architettare una delle sue solite scuse degne di una mente criminale, si diresse lentamente verso l'uscita della stazione.

Non essendo il Sole sorto ancora completamente, quella frazione del quartiere di Manhattan era poco popolata.

Egliera solito definire - come la maggior parte delle persone, del resto - New York come "la città che non dorme mai", ma la sensazione di stanchezza che si impadroniva sempre più spesso del suo corpo gli faceva spostare il pensiero su sé stesso, arrivando a definirsi il 'tipico cittadino che non dorme mai'.

Giunto all'interno di uno dei tanti grattacieli grigiastri - il secondo sul marciapiede sinistro, dalla sua prospettiva -, il ragazzo prese il solito ascensore che da due anni lo portava al suo studio, con la sua solita scrivania e la solita aria di chiuso da dover condividere con un'altra ventina di persone.

Gli venne una morsa allo stomaco - che egli confuse con un attacco di fame - quando si accinse a guardare il panorama - apprezato dalla maggior parte delle persone aventi un posto di lavoro in quel quartiere -, preso da un attacco di vertigini.

Strinse con maggior forza il manico della ventiquattrore, chiudendo gli occhi: dopo tre anni di lavoro non era ancora riuscito a sconfiggere quella paura delle altezze, e questo diventa un problema se si lavora al quarantottesimo piano di un grattacielo.

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