Capitolo 30 Allyson

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    Corro a perdifiato lungo il corridoio che sembra interminabile. Non può averlo fatto? Domando quasi a me stessa, conoscendo però già la risposta: Damon è capace di tutto, forse è questo che non riesco ad accettare di lui. Riesce a farti toccare le stelle in un solo istante, per poi farti sprofondare in un baratro che si allarga sempre di più, quasi a volerti inghiottire. Solo il rimbombo dei miei passi e il martellare del cuore nel petto accompagnano i miei pensieri fino a raggiungere la porta dei bagni. Entro aprendola in uno schianto e ringrazio per una volta di non trovarmi di fronte nessuno.

Il viso è ormai bagnato dalle lacrime che senza chiedere continuano a tracciare nuove linee di dolore. Mi chiudo in uno dei bagni liberi, tiro giù il coperchio del water e mi ci siedo sopra tirando sui piedi da terra, abbracciando le ginocchia al petto. Ho il terrore che se non mi tenessi così stretta cadrei in pezzi. Come ha potuto umiliarla in quel modo di fronte a tutti? Come ha potuto umiliare anche me?

Non è la madre migliore del mondo, ha fatto errori ai quali non esiste rimedio, ma è pur sempre mia madre e questo lui lo sapeva fin dall'inizio. Con il mento poggiato sulle mie stesse ginocchia, incomincio a pensare a tutto, ma non trovo un senso logico per tanto rancore.

«Avete sentito? La madre di quella ragazza... mi pare si chiami Allyson, era l'amante del sindaco Parker quando lui era ancora sposato».

Trattengo il fiato mentre ascolto alcune ragazze nel bagno pronunciare il mio nome per la prima volta. Non era certo questo il modo in cui avrei voluto farmi conoscere.

«Già, io mi vergognerei di una madre del genere», risponde l'altra ragazza e stringo più forte le gambe per cercare di trattenermi. L'umiliazione, la delusione e la rabbia, un sentimento a me nuovo, percorrono come brividi il mio corpo. In un attimo, alla mente il ricordo di come al liceo era facile per me essere derisa.

Gli sguardi sempre puntati contro un corpo che non era perfetto. Il mio nome veniva bisbigliato seguito dalle risate, allo stesso tempo che con la testa china mi perdevo sul pavimento perché non avevo il coraggio di dire basta. Con il dorso delle mani asciugo le lacrime, apro la porta e le vedo quasi sobbalzare quando intravedono la mia immagine riflessa allo specchio di fronte ai loro occhi, mentre si rifanno il trucco.

«Sì, mi chiamo Allyson e mia madre era l'amante del sindaco. Allora?», impallidiscono. «Credete di avere una vita perfetta che non esiste. Giudicate quella degli altri solo per alleggerirvi di come faccia schifo la vostra», senza aspettare una loro risposta vado via, lasciandomi la loro ipocrisia alle spalle. A Boston ero la ragazza abbandonata da una madre che non la voleva, ora non voglio essere quella di un'adultera.

Non posso far ricadere i suoi errori nella mia vita, mandandola nuovamente in pezzi. Passeggio per il Campus, quasi mi perdo per la sua vastità. Ma è esattamente quello che voglio, perdermi fra dei pensieri che non voglio riordinare. Entro nell'ala Ovest dedicata alle scienze della botanica. Osservo un gruppo di ragazzi uscire dalla grande serra e la curiosità mi trascina fin dentro.

Gli occhi ammirano i colori di fiori con nomi a me sconosciuti. Passeggio all'interno, mi sporgo ogni tanto su qualcuno dei fiori per sentirne il profumo. Socchiudo gli occhi e lascio che la mente evada lontano dalla realtà. Proseguo indisturbata fino a raggiungere una pianta che attira la mia curiosità, per le piccolissime foglioline quasi unite le une con le altre. Le sfioro e sotto al mio tocco le vedo socchiudersi, sorrido stranita non avendo mai visto niente di simile. Ripeto il gesto verso le altre foglie che reagiscono allo stesso modo.

«Si chiama Mimosa Pudica», una voce alle mie spalle mi fa sussultare, mi volto imbarazzata sapendo bene che non mi è permesso stare in questa parte del Campus. «Lei non ama essere toccata, è timida e si vergogna», spiega toccandola a sua volta e facendo chiudere tutte le sue foglie.

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