Febbraio 1997

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"Coca Cola Light. Goditela fino in fondo."

Il quindici è in ritardo di tre minuti. In confronto ai dati riportati sul quotidiano che sto leggendo, l'autobus è di poco sotto media rispetto ai parametri di «ottima vivibilità» della città ideale. Non a caso nella classifica dei capoluoghi di provincia più a misura d'uomo B. occupa il settimo posto. Il giornalista locale commenta: «È un piazzamento guadagnato onestamente, ottenuto spendendo nel modo migliore il denaro dei contribuenti.» Sarà... A me non pare proprio. Il comune ha ristrutturato l'arredo urbano per la terza volta in sei anni. Quando mi trasferii qui le pensiline delle fermate erano verniciate con l'antiruggine al cromo e recavano incise le volgarità di due generazioni di studenti, mentre adesso sono laccate in smalto pastello e sormontate da una copertura in plexiglass progettata da un designer di auto sportive. Ogni panchina è accompagnata da una svettante palina elettronica a led luminosi che chiede venia per il ritardo e segnala l'imminente arrivo del bus.

Che dopo tre minuti non arriva.

È soltanto dopo altri dieci, senza preavviso elettronico, che finalmente posso ripiegare il giornale e montare sul gradone ribassato (concepito per gli invalidi: «ottima vivibilità», settimo posto) di un autobus color lillà. Invio a labbra serrate un ringraziamento al progettista: oggi non ho voglia neppure di alzare i talloni da terra e lui mi evita una fatica in più. Se non fossi sicuro di essere uomo direi che ho una bella sindrome premestruale: l'ovulo non fecondato è la tesi, le citazioni con cui tampono le perdite (di coerenza) sono i miei Lines Seta Ultra. Perfetto. Che poeta del mestruo. Sragiono, e per non perdere il ritmo mi svacco vicino all'uscita, su uno dei sedili dallo schienale ergonomico disegnati da un architetto finlandese («ottima vivibilità», settimo posto).

Mi dirigo alla biblioteca comunale, distante una dozzina di fermate, e fortunatamente non ho tra i piedi né vecchietti, né mamme a cui cedere il posto. Incubandomi sul seggiolino imbottito ripiego le falde dell'impermeabile per non bagnarmi i calzoni di velluto beige. Una volta umidi, non si asciugano più e lasciano la sgradevole sensazione di essersi pisciati addosso. No, non è proprio una gran giornata oggi. Mi sento come se fossi passato attraverso uno spremiagrumi elettrico.

Riapro il quotidiano e ci nascondo la faccia dietro, consumando il mio patimento nella lettura a scandaglio, una parola sì, dieci no, che è anche il mio metodo di studio abituale. Un sistema che è risultato più che sufficiente per cavarmela all'interno dell'esigente sistema universitario, in cui si premia più l'ampollosità che la sintesi. Indifferente ai requisiti per il successo, ho sempre fatto come mi pareva. «Se fai sempre ciò che ti interessa, ci sarà per lo meno una persona contenta», diceva Katharine Hepburn, che non per niente è arrivata a novant'anni.

Sull'autobus il riscaldamento bolle, «con il denaro dei contribuenti», facendomi sudare come un cavallo dentro il maglione falso cashmere. Oltre a me ci sono solo altri due contribuenti. A un'estremità del bus una bionda ossigenata con abbronzatura fuori stagione stringe fra le gambe un sacchetto della Standa. All'altro capo un trentacinquenne stempiato in jeans neri e occhiali scuri da iettatore guarda distrattamente dal finestrino. Probabilmente sono amanti che s'incontrano di soppiatto su questa linea. L'uomo ha con sé una custodia di qualche strumento musicale di cui ignoro il nome (clarinetto?). Oppure ci nasconde un mitra o un set di arnesi sado-maso. Propendo per la seconda ipotesi. Da qualche settimana ho fantasie contorte e involute. Sembra che inconsciamente voglia scaricare tutte le frustrazioni causate dallo stesura della tesi in associazioni mentali peggio che daliniane. Ieri, ad esempio, il ragionier Lizzini stava inchiodando un quadro al muro. Tong, tong, tong, imperterrito e pacifico. E io al posto del quadro mi figuravo sua moglie. La vedevo tanto distintamente che m'è parso perfino di sentirla strillare. Probabilmente gli stava semplicemente urlando di smetterla con quel casino. Forse la tesi ha su di me lo stesso effetto della cavità dello strumento nascosto (fagotto?): amplifica gli spostamenti d'aria. Quelli che avvengono nella mia testa però (tuba?).

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