Capitolo 2

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 Capitolo 2

 

 

Quando mio zio scomparve, fu a dir poco devastante. Non solo avevo perso i miei genitori, ma anche lui. Dovevo essere destinata a rimanere sola per sempre. Nei quattro lunghi anni successivi fui sballottata da una casa famiglia all’altra: proprio come un giocattolo, quando i “genitori” si stancavano di me, mi rispedivano dritta ai servizi sociali. Non che non fossi una brava ragazza, semplicemente dicevano che assumevo un comportamento poco socievole. Dopotutto me ne stavo rintanata in casa e non cedevo ad uscire se non per vedermi con una singola persona: Key.

Noi due avevamo un posto tutto nostro, vicino al mare dove c’era sempre odore di salsedine e una leggera brezza che soffiava. Killian mi seguiva ovunque io volessi andare. Non so come facesse a esserci sempre per me, ma ero grata di averlo conosciuto: lui era la persona che mi rispecchiava più di chiunque altro e l’unica a non avermi abbandonata. Ci capivamo a vicenda e non c’era occasione in cui non stessimo insieme. Non sapevo molto della sua famiglia, se non che fosse benestante e che era stato cresciuto da delle cameriere: in pratica non aveva nessuno oltre me che si interessasse a lui. Neanche i suoi coetanei gli si avvicinavano a causa del suo essere taciturno e schivo. Ai loro occhi poteva sembrare viziato e snob, ma in realtà era un ragazzo semplicissimo e gentile, cresciuto troppo presto per carenza di affetto.

Come in tutte le grandi amicizie, litigavamo. Lo facevamo per lo più per stupidaggini e , complice del mio carattere arrogante, la colpa era quasi sempre mia. I nostri ruoli nei litigi erano sempre gli stessi: io, l’accusatrice, lui, l’innocente passivo che non si ribellava. Cominciavo a sgridarlo prepotentemente per poi rimanere in silenzio davanti ai suoi occhi tristi, sottomessi.

Un giorno però, circa due anni dopo il nostro incontro, anziché immobilizzarsi alle mie critiche, si alzò improvvisamente dalla brandina scricchiolante della capanna e mi strinse a sé. Non ci eravamo mai abbracciati, ma avvenne in modo quasi del tutto naturale: non era stato impacciato né c’era stata esitazione, semplicemente si era avvicinato e mi aveva avvolto fra le sue braccia. Key era più alto di me di circa dieci centimetri e la sua figura imponente mi diede una sensazione di calma e protezione. Stringendomi alla sua felpa nera alzai il volto per vederlo in faccia: una piccola lacrima gli aveva solcato il viso. Cosa gli sta prendendo? -N-non piangere, Key. Dai, non è niente-. Non potevo vederlo così. Il respiro mi si stava mozzando.

-Scusami Gwen… Non volevo. Perdonami!-, disse abbassando il capo e appoggiando la fronte sulla mia spalla.

 -No! Scusami tu… Sono sempre troppo dura. Davvero! Dovresti reagire un po’ di più però. Se no, che gusto c’è a litigare? -, sbottai ridendo e stringendolo ancora più forte. - Non ti preoccupare per me-. Gli portai una mano sul fianco e cominciai a fargli il solletico. In poco tempo sul suo volto si dipinse un largo sorriso, evidenziato dalle fossette che probabilmente solo io avevo visto.

Perché sei schivo con gli altri e con me ti comporti diversamente? Perché poi, in certi momenti, te ne stai in silenzio a guardarmi con i tuoi occhi malinconici? Perché ti prendono quei cinque minuti in cui ti chiudi in te stesso? Ciò che sapevo di lui era poco e i miei “perché” si accumulavano nel tempo.

Intanto, crescendo, i nostri passatempi cambiarono: guardavamo film al cinema, giravamo per il centro come vagabondi senza casa, facevamo scherzi stupidi e correvamo fino allo sfinimento, consolidando sempre di più il nostro legame. Non potevo immaginare di essere separata da lui. Key era parte integrante della mia vita e al suo fianco sentivo di essere veramente a casa.

Frozen Tear: La lacrima di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora