CAPITOLO 11 [parte 1]

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Schiudo gli occhi.

Tutt'intorno è buio. E vorrei, davvero vorrei, che sia perché è finita. Ma se è vero quel che si dice del Sogno, non è la tenebra che dovrebbe avvolgermi, bensì un gelido silenzio.

«Non è la Grande Orchestra, questa» non ho bisogno di trafiggere le ombre per sapere che sono in cella.

Suppongo una qualunque. Senza nome.

«Spero domani arrivi presto» ma l'attesa, come questo silenzio che mi fischia nelle mie orecchie, è atroce più delle catene che ho strette su polsi e caviglie. È un momento. La mente che s'adombra di pensieri inutili.

Muovo gli indici lungo i lati di ogni pollice, schiaccio le unghie contro il punto dove la pelle è più sottile e premere fa più male.

«Ah, che ci spero a fare?» domani non arriverà tanto presto. Un'osservazione abbastanza sciocca, lo ammetto. Non è però quello il punto: Iddio solo sa' quanto dovrò stare qui, al freddo, incatenata come una bestia, ad aspettare che giunga la nuova Nota. Immagino che smetterò di pensare solo quando la mia testa inizierà a rotolare via dal collo. Proprio come quella di mio padre.

Mi giro quel tanto che basta per spostare le gambe dalla posizione sgradevole in cui mi trovo. Un formicolio fastidioso risale i muscoli indolenziti. In realtà, non riesco a fare molto altro.

«Pensano davvero che io voglia fuggire?» Perché dovrei, poi?

Tiro su il naso. L'aria fredda, mescolata all'odore acre di urina, muffa, e topi. Ma nel buio, se mi sforzo abbastanza, posso vedere, invece, un campo fiorito. Una capanna. Non ho alcun ricordo di quel posto. O meglio, quel che ho è troppo vago e, semmai sono stata in quella casa, almeno una volta, deve essere stato tanto tempo fa. Mi piace pensare che siano i ricordi di quand'ero bambina, forse della mia prima infanzia. Magari mi illudo? Può darsi. Però vorrei tornarci, vederla di nuovo, ho come la sensazione di averci lasciato un pezzo importante di me.

L'aria si fa lentamente più gelida. Anche se non c'è uno sprazzo di luce decente, ne deduco che sia perché i Patti Solari sono prossimi ad avvicinarsi e il Dio Sole sta lentamente scendendo dal suo trono nel cielo. Sento un sorcio rosicare nel profondo buio.

«Ho fame» Vorrei mordere qualcosa pure io. Chissà di cosa sanno i topi?

Sorrido. Ricordo quando mio padre mise a soqquadro la sua tenda per scacciarne uno, ma senza successo. E alla fine, quando lo trovammo, era già morto per il freddo. Forse aveva pensato di trovare caldo e cibo nella tenda. Ricordo che papà lo aveva messo sotto terra. "Dalla natura è venuto, alla natura deve tornare".

Ah. «Perché lo chiamo papà solo adesso?»

Tu eri come quel topo. Non avevi cercato che un po' di caldo e del cibo più buono. Volevi qualcosa di più. E ti hanno schiacciato come uno scarafaggio solo quando sei diventato troppo evidente, lì nell'angolo delle loro sfarzose vite.

«Avrai pensato a me nei tuoi ultimi istanti?»

Io ti vedo ancora. Ti vedo sempre. Anche ora, la tua testa è lì nel buio ed è senza corpo. Lo so che non ce l'hai con me, ma io sì. Io sì. Non ho mai avuto la possibilità di dirti che ti amavo più di ogni altra cosa e quando l'ho fatto il tuo corpo era stato gettato via.

«Mi dispiace.»

Giuro su quanto è vero Dio che ho fatto tutto ciò che potevo perché, almeno nel Silenzio che tutti noi attende, tu potessi ricongiungerti agli avi di cui eri tanto fiero. E anche a quelli di tutti gli altri, sì. Tutti quelli che si sono addormentati in silenzio in attesa di ascoltare la sinfonia del Signore.

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