31 . Esca

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Un lampo verde spazzò via i tavoli e la parete che dava sulla strada. Il pavimento scricchiolava e pungeva come un manto di chiodi. Un fischio continuo sorpassata la voce ovattata di Steve che le chiedeva se stesse bene. Annuì insicura, mentre si rialzava. Una pioggia di schegge cascò dalla schiena e tintinnò a terra, unendosi ai pezzi di vetro e la coltre sottile che si estendeva su ogni cosa. I civili urlavano e correvano da ogni parte.

Quando si guardò attorno, il bar era deserto e il Capitano si stava adoperando nel far uscire gli ultimi superstiti. L'aria invernale soffiava liberamente, la luce bianca del sole non aveva altri ostacoli, se non il denso reticolo nebuloso.

Astrid asciugò il volto umido e pruriginoso. Sulla manica rimase un alone scuro. Si strappò un paio di scaglie dalle mani, si alzò e scavalcò il muro che divideva la strada dalle sedie e i tavolini rovesciati.

La gente si spingeva e si addossava in una fuga urlante e confusa. Nel mezzo, la sagoma del Capitano, immobile, si guardava attorno in cerca del colpevole. Il viso squadrato era appena sporco di polvere. Un solo graffio sullo zigomo destro era ciò che lo rendeva vulnerabile. E in mezzo a quella baraonda, era proprio quel minuscolo segno che lo faceva apparire ancora più immune alle cose mortali, ancora più indistruttibile, ancora più invincibile.

-Cos'è stato?

-Siamo stati attaccati.

-Da chi?

Lo sguardo severo si elevò tra i palazzi, alla ricerca di un volto.

-Non ne sono sicuro.

-Chiunque sia è un vero codardo.

-Codardo? – ripetè una voce femminile alle loro spalle.

La donna poggiava i piedi sul tetto del caffè ancora intatto. Portava una giacca laccata rossa e uno sguardo intollerante, più freddo di quello che mostrava nei file dello SHIELD che Stark aveva illustrato la sera prima.

-Sono loro. – confermò Steve.

-Abbiamo interrotto un appuntamento romantico? – fece l'altro, materializzandosi alle spalle della gemella, i capelli argentati e spettinati dal vento. Risero insieme come due iene fameliche.

-È la prima volta che li vedo dal vivo e già non li sopporto. - commentò Astrid tra i denti.

-Facciamo attenzione. – raccomandò Steve.

-Fatevi avanti! – ringhiò Astrid. Le sue mani andarono a sfilare i pugnali sulle cosce, ma afferrarono il vuoto. Dannazione! Non aveva pensato ad armarsi. Che stupida imprudenza! Lanciò un'occhiata al Capitano: aveva i nervi tesi, la mandibola contratta. Neanche lui era a suo agio senza il suo scudo.

-Che c'è? Avete dimenticato qualcosa? – li canzonò il ragazzo dall'alto del piedistallo.

-Sono disarmati. – osservò la donna.

-Super eroi senza superpoteri? Non fatemi ridere.

-Non abbiamo bisogno delle armi per batterci.

-Ah, sì? Mi sembrate piuttosto spaventati, a dire il vero.

-Perché non scendi e non lo scopri da solo? O ti tremano troppo le gambe? – ribattè lei, rispondendo alla provocazione con la stessa carta.

-Smettila! – la ammonì il Capitano, ma era troppo tardi. Cercare di fermarla davanti a una sfida era come tentare di spegnere il fuoco con la benzina.

La donna annuì come per autorizzarlo. L'altro si scrocchiò il collo.

Astrid non lo vide arrivare. Atterrò sul parabrezza di un auto che passava nella direzione perpendicolare. L'uomo al volante sterzò per lo spavento e andarono a schiantarsi contro un idrante, tagliando la strada a un taxi e un furgone che ruzzolarono l'uno sull'altro. Astrid rotolò giù dal cofano, dolorante. Qualcuno gridò, qualcun altro inveì furiosamente contro il conducente spericolato. Qualche passante si avvicinò per dare una mano. La volante non si fece aspettare: le sirene ululavano già in lontananza.

L'acqua spruzzava un po' ovunque e creava una patina di opaca umidità. Bagnava l'asfalto, il metallo della carrozzeria delle auto in sosta o in movimento, la terra arida delle aiuole spoglie. Sulla pelle di Astrid invece, iniziò ad indugiare. Attorno a lei si creò una nuvola di caldo vapore. Rimase immobile a fissare l'omino sorridente che la scherniva, oltre il flusso dei veicoli che non cessava. Accanto a lui, il Capitano si stava rimettendo in piedi, ma come riuscì a rialzarsi, un laccio rosso gli annodò le caviglie e si ritrovò di nuovo a terra.  

Astrid attraversò di corsa, schivando i veicoli, mentre la sua pelle bolliva e incrementava la temperatura sempre di più. Caricò come un toro contro la muleta.

Il ragazzo non si mosse fino a mezzo secondo prima di essere colpito. Fece uno scarto di lato e allungò una mano sulla schiena della ragazza, in modo da farle perdere l'equilibrio in avanti, ma non l'appoggiò nemmeno che sentì la pelle bruciare.

-Che diavolo sei?! – esclamò, sgranando gli occhi sul palmo arrossato.

Astrid frenò coi piedi che lasciarono una scia di scintille per l'attrito, come un fiammifero. Sorrise allo sbigottimento dell'avversario. T'è piaciuto lo scherzetto, Saetta?

-Avete finito di giocare? – domandò la donna impassibile. Non si era mossa di un millimetro. Alzò lo sguardo verso una macchietta fluttuante in avvicinamento.

-Forse non avremmo più bisogno di un'esca... – commentò il ragazzo a bassa voce. La gemella lo fulminò con gli occhi.

-Forse dovreste guardare dall'altra parte. – osservò il Capitano.

Un Quinjet nero volava sulle loro teste spostando una grande quantità di aria.

-Wanda e Pietro Maximoff, vi dichiariamo in arresto. – fece la voce di Natasha amplificata dagli altoparlanti. – State fermi e non vi faremo del ma...

Non finì la frase. L'aircraft cominciò ad accartocciarsi su sé stesso. Le luci dei propulsori iniziarono a lampeggiare fino a spegnersi assieme al motore.

-Basta! Avevamo detto niente morti! – esclamò il gemello, allarmato.

La nuvola scarlatta che avvolgeva il Quinjet svanì e il velivolo precipitò pesantemente sul dorso, danneggiando un'ala.

La gente che era rimasta ad assistere la scena se la diede a gambe definitivamente.

-Avete creato un bello scompiglio, ragazzi. – li rimproverò la voce metallica di Iron Man – Ora però vi scompiglio io.

I razzi partirono dalla corazza, puntando i due gemelli. La Saetta li schivò. La Strega creò uno scudo di energia su cui i razzi rimbalzarono ed esplosero.

Nel frattempo, Steve si era diretto verso l'aircraft e aveva sradicato lo sportello bloccato con tutta facilità, come un enorme cerotto.

-Banner? – chiese, mentre Natasha atterrava elasticamente.

-È al centro scientifica. Sta lavorando con Selvig.

-Thor?

-Non era con noi quando siamo partiti. – Rispose Barton, passandogli lo scudo. – Forse ti serve questo.

Steve lo afferrò e non trattenne un sorriso esultante.

-Grazie. Be', comunque, non credo che ci serva il loro aiuto, per adesso.

-Sono tosti. Vi stanno dando del filo da torcere, eh? Guarda cos'hanno combinato! – fece Barton, allacciando la fascia della faretra al petto, un sorrisetto furbo negli occhi come se ci trovasse qualcosa di divertente.

Il Capitano annuì, ma non era sintonizzato sullo stesso pensiero.

-C'è qualcosa che ti preoccupa più dei loro poteri. Non è così? – intuì Natasha.

-È solo un'impressione. - sminuì lui, ma era ovvio che qualcosa non quadrava.

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