Capitolo 2 Damon

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«Sei sicuro di non voler venire?», Cody mi scuote le spalle con fare scherzoso mentre sono intento a prendere l'asciugamano per andare a farmi una doccia. Mi volto, guardo prima lui e poi butto un'occhiata all'orologio al polso.

«Me lo hai chiesto dieci minuti fa e la risposta non è cambiata», mi dà un colpo al braccio.

«Non ti ricordavo così irritante», protesta, mentre tira su il colletto della camicia e si ammira allo specchio, soddisfatto del suo aspetto.

«Forse hai qualche vuoto di memoria, amico», gli rammento. Faccio per uscire dalla stanza e mi soffermo un attimo sulla soglia della porta. «Non portare nessuna qui. Intesi?». Non glielo sto chiedendo, di fatto non aspetto la sua risposta e mi dirigo verso i bagni in fondo al corridoio. Incontro numerosi ragazzi vestiti di tutto punto, pronti per la prima festa delle matricole.

Sono tutti sovraeccitati, sembra quasi che si siano iscritti solo per questo: festini e sesso gratis.

Mi rivedo in molti di loro e mi rendo conto che, forse, in questi ultimi due anni, sono dovuto crescere più in fretta di quanto pensassi. Il bagno è libero e mi godo solo lo scrosciare dell'acqua, che lascio scorrere sul mio corpo nella speranza che possa alleggerire la tensione che questa giornata mi ha caricato addosso.

M'insapono e come le dita sfiorano il tatuaggio mi soffermo un attimo come ipnotizzato da quel disegno, ricordando il motivo di quell'àncora indelebile sulla mia pelle.

Una promessa perduta, come tutte le cose che si avvicinano alla mia vita.

La rabbia si prende gioco di me, defluendo alle mani che si serrano in due pugni; mi parla, è nella mia testa, mi chiede di farlo, di farla uscire, mentre il respiro accelera rumorosamente e la mente viene sommersa da frammenti del passato che mi impongo di dimenticare. Gli stessi per i quali ero andato via.

Un vociare sommesso attira la mia attenzione; mi volto e mi vedo riflesso nello specchio dinnanzi a me, con il braccio sollevato a mezz'aria pronto a colpire. Ritraggo subito il pugno, chiudo l'acqua e avvolgendomi nell'asciugamano, senza neppure asciugarmi, ritorno nella mia stanza.

Percorro il corridoio, rivoli d'acqua mi scorrono ancora sul corpo disperdendosi sul pavimento sottostante. Non mi andava che quei coglioni potessero vedermi in questo stato.

Devo calmarmi, mentre cerco di allontanare ogni ricordo dalla mia testa incasinata e di riprendere il controllo del mio corpo, che sembra non voglia smettere di tremare.

Spalanco la porta della stanza e in uno schiocco di dita, le spalle si tendono per la sorpresa.

«Che cazzo ci fai qui?», sbraito, mentre con un calcio la richiudo alle mie spalle.

La osservo sobbalzare per quel gesto e stringersi nelle spalle. Peccato che non mi faccia nemmeno un po' di tenerezza.

«Io... Io volevo», biascica appena, mi avvicino fino a essere a un passo dal suo corpo e vedo il timore nell'azzurro dei suoi occhi.

«Volevi... Volevi...», ripeto beffandomi di lei, mentre continuo a inclinare il capo da una parte all'altra per guardarla meglio.

«S... Smettila per favore», supplica.

«Vattene!», ordino voltandole le spalle; la sua mano sfiora appena il mio braccio, mi giro e l'afferro per il polso.

«Ethel, non farmi perdere la pazienza», tuono. Il suo sguardo non si distoglie dalla mia presa e solo dall'espressione che dipinge il suo volto, mi rendo conto che le sto facendo male. La lascio andare all'istante, come se fossi quasi spaventato da me stesso.

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