La figura della Strega.

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Strega etimologicamente deriva da stryx, strige, uccello notturno, che si riteneva succhiasse il sangue delle capre ed anche quello dei bambini nella culla e istillasse nelle loro labbra il proprio latte avvelenato.
Era ritenuto una specie di arpia, di vampiro, tale nome ricorre in Plauto, Ovidio e Plinio e, per tali caratteristiche il nome strega è stato usato per indicare anche le donne credute responsabili di aborti ed infanticidi.
Demoni femminili sono presenti nella cultura classica, come dice Gerolamo Tartarotti nel 1749 nel suo Del congresso notturno delle Lammie:
" ... il moderno congresso notturno delle Streghe altro non è che un impasto della Lilith degli Ebrei, della Lammia e delle Gellone de’ Greci , delle Strigi, Saghe e Volatiche de’ Latini" (libro I capitolo IX).
A tali leggende, il Tartarotti affianca anche quella medioevale della brigata notturna, scorta di Diana o Erodiade.
Lamia è un altro demone femminile, era una regina di Libia, amata da Giove , i cui nati furono sterminati da Giunone, legittima moglie del re degli dei, per vendetta della sua infedeltà e ciò fece sì che Lamia divenisse crudele verso tutti i bimbi delle altre donne.
Alla costruzione del personaggio della strega hanno contribuito vari elementi:
La componente culturale classica: parte da un culto di Diana-Ecate-Iside, divinità femminili, che avevano anche aspetti inquietanti per il loro rapporto con la magia.
La componente culturale popolare: la presenza delle streghe è ravvisabile in ogni cultura agricola, e sembra la sopravvivenza di una religione femminile preistorica che, genericamente, Margareth Murray chiama "culto delle streghe".

La componente culturale clericale: fa di tutto per elaborare i materiali folclorici attribuendo ad essi un valore negativo, tutto ciò che non è culto cristiano degenera nell’eresia, in quanto serve altre divinità che non possono essere benefiche, solo Dio è buono, ogni altra forma di religiosità nasconde la presenza del diavolo.

Tutta questa congerie di credenze fu elaborata nel corso dei secoli, a partire da quel capolavoro di sadismo, che fu il "Malleus Maleficarum" di Sprenger e Institor.
Era questo un manuale per il perfetto inquisitore, che insegnava come riconoscere, interrogare e torturare le streghe, sventando le numerose malizie di cui queste "servae diaboli" erano capaci.
Le donne che celebravano i culti agrari della tradizione non sono semplici continuatrici di un paganesimo contadino, ma, secondo la visione clericale, avevano venduto la loro anima al diavolo e potevano, in cambio, avere da lui poteri magici e la capacità di trasformarsi in animali.
Secondo questa visione ecclesiastica, le streghe servivano il loro signore in una specie di vassallaggio feudale al negativo, con ogni sorta di azione malvagia, prima fra tutte la minaccia all’infanzia, sia attraverso le pratiche abortive, sia attraverso l’infanticidio o il danneggiamento fisico dei piccoli.
In tale visione misogina la strega è l’opposto della Madonna, che è vergine e madre: essa, invece, è lussuriosa e sterile e minaccia la capacità riproduttiva che infiacchisce con le sue arti, legamenti e fatture d’amore, perciò è nemica dell’intero genere umano.
Durante l’elaborazione della fisionomia della strega come nemica del genere umano, rea di tremendi delitti e degna di punizione capitale, un ruolo importante fu giocato da San Bernardino da Siena, che nelle sue prediche dedicò una grande attenzione alle donne che si occupavano di magia.
Egli le additava all’opinione pubblica, accendendo gli ascoltatori di sdegno e di mistica esaltazione, come le nemiche per eccellenza, sguinzagliava le forze dell’ordine sulle loro tracce, placando i risentimenti della comunità attraverso la cattura e l’uccisione di quelle che si ritenevano le responsabili di cattivi raccolti, di menomazioni o morti di neonati o di altri drammi individuali e collettivi.
Le prediche si diffusero rapidamente in tutta l’Italia centrale e meridionale, grazie agli appunti stenografici presi da un fedele ammiratore del santo, eccone una parte come esempio:
"Elli fu a Roma uno famiglio d’uno cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli ebbe grande paura. Pure essendo stato un poco a vedere, elli s’asicurò e andò dove costoro ballavano, pure con paura, e a poco a poco tanto s’acostò a costoro, che elli vidde che erano giovanissimi; e così stando a vedere, elli s’asicurò tanto, che elli si pose a ballare con loro. E ballando tutta questa brigata, elli venne a suonare mattino. Come mattino tocò, tutte costoro in un subito si partiro, salvo che una, cioè quella che costui teneva per mano lui, che ella volendosi partire coll’altre, costui la teneva: ella tirava, e elli tirava. Vedendola costui sì giovane, elli se ne la menò a casa sua: e odi quello che intervenne; che elli la tenne tre anni con seco, che mai non parlò una parola. E fu trovato che costei era di Schiavonia. Pensa ora tu come questo sia ben fatto, che elli sia tolto una fanciulla al padre e alla madre in quel modo. E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe , fate che tutte siano messe in esterminio per tal modo, che se ne perde il seme".
Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile, da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Streghe o janare?

Nel dialetto beneventano non esiste la strega, ma la janara. E' con tale nome infatti che si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche.
La figura della janara appartiene al patrimonio folclorico, la strega invece è una figura letteraria, confezionata già in età classica, ma soprattutto moderna, con caratteristiche andate via via perfezionandosi e configurate in un repertorio ben consolidato, grazie agli scritti di esponenti della cultura clericale dal Medioevo in poi.
Questi, attraverso un lungo processo, ne selezionarono gli aspetti discriminanti, utilizzando materiale della provenienza più varia: racconti popolari, superstizioni locali, mitologia classica, ebraica, nordica, inchieste giudiziarie, verbali di processi, fino alla codificazione, sistematica ed accreditata dall’autorevolezza degli scrittori, della figura della strega secondo una tipologia precisa.
La janara, invece è una figura della tradizione popolare e, come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo, conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste.
Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria , la Manalonga, le Fate, appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.
È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un’eretica, al pari dei seguaci di altre religioni.
L’etimologia proposta per l'origine del nome, il termine popolare janara, metteva in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case.
Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto.
L’alba sarebbe sopraggiunta a scacciarla, perché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata com'era nell’inutile conteggio.
Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal, il sale, con Salus, la dea della salute.

Per Pietro Piperno, invece, l’origine del nome deriva dal fatto che le streghe "per aerem nare sentiantur dum feruntur ad ludos", si vedono nuotare nell'aria mentre si recano ai loro convegni, oppure dal fatto che il nome di una delle Lamie del tartaro era Duchessa Iana.
Nella provincia di Benevento, Janara è il termine comunemente usato per indicare la strega e lo si può trovare anche nella variante Ghianara.
La semiconsonante iniziale "j" è l’evoluzione naturale dell'inizio di parola latina "di", come nel caso di diurnum in "juorno", perciò il termine non dovrebbe derivare da "ianua", la cui la "i" si trasformerebbe in "g", come per Ianuarius in "Gennaro", ma da dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana, che sta a significare "seguace di Diana".
L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni.
Orazio parla dei "tria virginis ora Dianae", i tre volti della vergine Diana, o di Diana triformis, Diana triforme.
Virgilio conferma tale aspetto quando parla della dea che è Luna in cielo, Diana in terra, Ecate nel mondo infernale.
"Gioco di Diana" è definito, in molti testi, il corteo di streghe , stregoni e spiriti infernali di cui si aveva notizia attraverso le deposizioni delle imputate di stregoneria.
Altro nome di esso è "Sabba", forse da Sabazio, o Bacco, in onore del quale si celebravano riti orgiastici. Infatti anche nel consesso stregonesco vi era una forte componente sessuale.
Diana è chiamata nei processi "Signora del gioco", dove "gioco" traduce il latino ludus, nel significato di "luogo dove s’impara" o anche di "passatempo dilettevole", visto che in queste riunioni si ballava e si cantava.

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