Capitolo 1.

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Zoppicò.

Arrancò a fatica sulla salita spelacchiata che conduceva sulla fila di ville lussuose che dal lago si vedevano svettare volgari nelle notti d'estate, e si fermò solo quando giunse nei pressi di un villone a strapiombo sul lago che stava al buio e occhieggiava su di lui come una funebre civetta morta.

L'informazione si rivelò corretta. La villa davanti a lui era spenta e vuota. La piscina era colma di foglie morte e di pagine di giornale, mentre il parco interno non aveva manutenzione, e dalla sua posizione gli riusciva di vedere le cime degli alberi che presentavano arbusti incolti e frastagliati.

La villa aveva il cancello a pochi metri dalla strada provinciale e l'abitazione diversi metri più in alto; quando s'avvide di un'automobile che saliva a tutta velocità corse zoppicando verso il crinale e si lasciò cadere su una cunetta poco più in giù. Per poco non gli capitò di cadere nel lago. Il fascio di luce dei fari tagliò la sua figura e poi sfrecciò lontano, nell'oscurità. Imprecò risalendo sulla strada con evidenti difficoltà. Aveva una borsa sportiva con dentro due macchine fotografiche, una dotata di lampada al laser, due mensili e qualche quotidiano, oltre ad un passepartout, una pinza per lucchetti e ad un documento falso.

Guardò ancora nei due lati della strada e attraversò poi furtivamente verso il cancello. Sudava. Si sfilò un guanto con i denti e si asciugò la faccia.

Non poté vederlo, ma si lasciò una lunga riga di grasso e sporcizia sulla guancia e sulla fronte.

Occhieggiò alle sue spalle.

Poggiò la borsa in terra e ne estrasse impacciato l'arnese per rompere la catena: si avvide del fatto che il cancello era stato forzato a più riprese nel corso degli anni, e nonostante il grosso lucchetto fosse intatto, le due ante del cancello non chiudevano bene lasciando spazio a sufficienza affinché si potesse scivolare all'interno forzandolo un po' e trattenendo il respiro per qualche istante.

Lo fece.

Guardò ancora alle sue spalle.

In lontananza, un suono, il verso di una scrofa.

Fu quasi sollevato del fatto che non fosse stato costretto a rompere il lucchetto, ma preso dal panico per un'eventuale arrivo di qualcuno dalla strada, entrò brutalmente tirando indietro la pancia e forzando il cancello con il corpo. Appena oltrepassato gli cadde il borsone; siccome lo aveva lasciato aperto per prendere le tenaglie, udì il resto della roba cadere in terra. Le sue chiavi di casa comprese. Si mise in ginocchio, col fiatone, e prese a palpare il terreno, inghiottito dal buio più completo.

Trovò il tappo della macchina fotografica, il guanto e lo ricacciò nella borsa. Poteva sentire il suo respiro pesante. Il sudore che bruciava i peli sul polso.

Rumore di un motore. Ancora. Luci fendenti.

Si gettò pancia sotto sul selciato oltre il cancello. Rantolò.

L'auto si fermò proprio poco prima del cancello.

Chiuse gli occhi ed aprì la bocca. Rantolava.

L'auto non spense le luci e manco il motore. Sentì lo sportello aprirsi e voci confuse provenire da essi.

"... Adesso devi pisciare? In mezzo alla strada?"

"Puttana deficiente... se non l'ho fatta nel locale è stato per i cazzi tuoi!"

"Ma fai in fretta, và, vedi di sbrigarti!"

Lui avvertiva le luci dei fari, come baionette gialle, librarsi sulla sua testa, messa di profilo sul terreno, che presentava ciuffi, arbusti e piastrelle di marmo spaccate.

L'apostolo nel buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora