Chi è sopravvissuto

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Erano trascorse altre due settimane dal giorno in cui avevo sentito mio padre al telefono. Non era successo nulla, però. Nessun pericolo a turbarmi, nessun desiderio di raggiungere il lago, nessun evento inspiegabile. E nessuna notizia di Desmond e dell'ultima ragazza scomparsa.

Il lavoro alla locanda procedeva bene, e mi piaceva. Trascorrevo ore intere a parlare con il vecchio Jackson, e senza rendermene conto avevo instaurato con lui un legame intenso, forte. Lo vedevo come un nonno pieno di storie da raccontarmi, di esperienza incredibili da descrivere.

Con lo Sconosciuto tutto continuava ad essere perfetto. L'assenza di Desmond era l'unica causa del dolore che ancora provavo dentro, ed era un male costante, viscido. Potevo cercare di ignorarlo, ma nel buio della notte, quando spegnevo la luce e chiudevo gli occhi per addormentarmi, lo ritrovavo. Rivedevo il suo viso, risentivo la sua voce.
Il non sapere che cosa gli fosse successo era peggio di tutto il resto; peggio anche della sua assenza. Perché non c'era una spiegazione, non c'erano tracce, non c'era logica. Soltanto vuoto e tristezza a riempire il buio della mia stanza. Era in quei momenti che mi sentivo una stupida. Stupida perché pensavo che sarei stata finalmente bene davvero, e che le cose si sarebbero sistemate completamente, un po' alla volta. Forse era un modo per vivere o convivere con quella situazione, ma funzionava soltanto a tratti. Ormai lo sapevo. Il momento di fare i conti con me stessa e con la parte più terribile di tutta quella nuova realtà finiva sempre con il bussare alla mia prima o poi, ogni singolo giorno.

Era difficile descrivere davvero come mi sentissi in quel periodo, come fosse la mia nuova vita a Saint Claire. Ero triste e felice al tempo stesso. Ero amore e odio, ero perfezione e rabbia. Ero tutto ciò che andava bene e tutto ciò che mi distruggeva al tempo stesso.

Quella sera, come tutti i mercoledì da ormai un mese a quella parte, ci eravamo dati appuntamento alla capanna di Desmond. Io, lo Sconosciuto, lo sceriffo O'Hara con mia madre, Cameron.

Era come una specie di tradizione che ci eravamo inventati.
Forse lo facevamo perché nel profondo speravamo sempre che da un momento all'altro la porta si sarebbe aperta e Des sarebbe ricomparso, con la sua aria malinconica e i suoi occhi grandi, profondi.

Era anche un modo per restare tutti uniti in quel tempo difficile da decifrare, da interpretare. E per me, che ancora dovevo imparare a convivere con tutte le scoperte sulla mia vera natura, era un momento importante. Mi sentivo a casa, più che mai. Come se con quelle persone avessi costruito davvero una nuova famiglia.

Non ero sicura di ciò che provassi, ma sentivo nel profondo del cuore che qualunque cosa fosse mi faceva stare bene.

Era una sera di pioggia. L'aria di ottobre era fredda, si insinuava sotto la pelle. Il lago, immobile davanti ai miei occhi, era silenzioso. Lo Sconosciuto mi teneva la mano mentre ci apprestavano ad entrare nella capanna.

L'avevamo arredata per come era possibile arredarla. Un divano, un tavolo, delle sedie. Non eravamo certi che Desmond avrebbe gradito quelle modifiche, ma lasciarla così vuota ci era sembrato troppo triste.

<<Perché pensi che sia tutto così... tranquillo?>> chiesi allo Sconosciuto sedendomi sul divano mentre aspettavamo l'arrivo degli altri.
Lui esitò. Sapeva, ovviamente, che mi riferivo al lago, al fatto che nessuno sembrasse avermi più dato la caccia in alcun modo.

<<Non ne ho idea, Rose. Gli abitanti di Elios Terzo e chi li guida sono pericolosi. Questa calma mi preoccupa più dei momenti reali di pericolo. Sappiamo che tu sei fondamentale per loro. E loro sanno che se vogliono avere qualche speranza di poter vivere fuori dall'acqua, è a te che devono arrivare.>>

Scossi la testa, poi mi appoggiai a lui. Sentii il suo corpo caldo, forte.

<<Pensi che possano aver trovato qualcun altro come me? Un altro ibrido, magari?>>

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora