Capitolo 29

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«Principessa svegliati!»
Mi nascondo sotto il lenzuolo. Da dove è sbucato fuori? «Che ore sono?», borbotto con voce roca. Mi sento indolenzita.
«Sono le sette. Alzati!»
Mi alzo di scatto trattenendo un ringhio. Merda, devo prepararmi per il lavoro penso subito. Odio essere svegliata di scatto. Mi guardo attorno stordita. Come sono arrivata qui dentro? lo fulmino con lo sguardo. «Mi hai messo tu a letto?»
Gattona verso di me e alza il mento con le sue dita in modo che io possa guardarlo meglio. «Hai dormito comoda no?», sorride e stampa un bacio sulle mie labbra. Un bacio troppo a stampo e corto per i miei gusti.
«Tu dove hai dormito?», domando stordita.
«Accanto a te. Dove dovevo dormire?»
Aggrotto le sopracciglia e passo una mano tra i capelli. «Stai dicendo che mi sono addormentata, mi hai messo a letto e ti sei sdraiato accanto a me?»
Annuisce rialzandosi dal letto. «La colazione è pronta. Dobbiamo essere in ufficio in orario.»
«Cosa?», domando alzando il tono della voce. «Che cosa significa?»
«Mi servi in ufficio per un caso. Ho già chiamato il tuo capo questa mattina e mi ha concesso qualche giorno. Ha parlato di un aumento.» Gratta la tempia pensieroso.
Mi alzo dal letto come una furia e mi avvicino a lui. «E quando pensavi di dirmi che hai organizzato le mie giornate? Sei impazzito?», a grandi falcate recupero i tacchi e poi mi avvio all'entrata. Parker mi blocca per un braccio facendomi voltare. «Te lo sto dicendo ora», si fa serio. Il suo sguardo diventa freddo e distaccato.
Mi infurio maggiormente. «Non sono un pacco postale! Hai agito di nuovo alle mie spalle e pretendi che io lavori ancora con te? A che gioco stai giocando? Mi addormento sul divano, tra le tue braccia e mi ritrovo sul tuo letto. Devo andare al lavoro e tu decidi di spostarmi nel tuo ufficio per un "caso". Chiami anche il mio nuovo capo senza avere sentito prima il mio pensiero a riguardo. Sei proprio uno stronzo!», apro la porta ma la richiuse e vi si appoggia tranquillo. Sospira stropicciando gli occhi. «Non avresti accettato se lo chiedevo. Per favore: possiamo fare colazione e parlarne in modo tranquillo?»
Abbasso le spalle e sbuffo. Riesce a fare uscire il peggio di me. Riesce anche a convincermi. Continuo a fulminarlo con lo sguardo mentre mi avvio in cucina. Ha preparato la tavola e i pancake. Quando si è svegliato?
Gli lancio ancora uno sguardo di sbieco. Attorno c'è un odore invitante e la temperatura nell'ambiente è calda e accogliente. Peccato per il mio umore che si è inclinato drasticamente. Mi siedo e azzanno un pancake. Non ho fame ma sono nervosa. Parker se ne accorge, sposta subito la mia sedia trascinandola davanti alla sua e toglie dalla mia mano la forchetta. «Ok Emma, ho sbagliato ancora. Mi dispiace. Ti andrebbe di aiutarmi in ufficio per un caso? Ho bisogno del tuo aiuto.» Usa un tono serio e il suo sguardo mi prega di non fare la difficile. Incrocio le braccia e sbuffo. «Verrò solo in ufficio dopo di che me ne andrò a casa», ringhio.
Sorride raggiante e morde un pezzo di toast soddisfatto. Mi alzo dalla sedia scuotendo la testa e mi richiudo nel bagno. Tolgo gli indumenti stropicciati e mi infilo nella doccia dove provo a calmarmi. Sono ancora parecchio arrabbiata con Parker. In fondo è già perdonato ma gliela farò sudare. Lo punzecchierò un bel po' per vendicarmi. Uscita dalla doccia, cerco dei vestiti puliti e comodi e sistemo i capelli arruffati.
Parker entra in bagno appoggiandosi contro lo stipite. «Sei sexy quando ti arrabbi», sorride e scatta in avanti. Afferra la mia vita e poi mi bacia con passione premendo il mio corpo contro le piastrelle fredde del bagno. «Mi tratterrei volentieri ma dobbiamo lavorare», mormora sulle mie labbra. Gliele mordo e poi le succhio stringendo la presa sulla sua giacca. Geme e quando lo lascio andare, si stacca intontito.
«Ti trattieni troppo e a me non sembra di avere fatto nessuna scommessa.» Lo supero e recupero la borsa. «Ho detto che ti aiuterò e non che mi tratterrò», sorrido e facendogli l'occhiolino apro la porta.
Mentre siamo in auto, chiamo Lexa per avvertirla che con ogni probabilità non ci vedremo nel pomeriggio. Mi risponde strillando: «che significa che non ci vedremo? Che cazzo ha fatto? Io lo ammazzo con le mie mani questa volta! Dovevamo finire insieme quel servizio fotografico. Non puoi abbandonarmi
Trattengo una risata per non farla incendiare ulteriormente. «Sai com'è fatto...», lancio uno sguardo divertito a Parker il quale guida e ascolta la conversazione con finta indifferenza. «Comanda su tutto. Peccato che andrà in bianco per un po'.» Rido quando si volta allarmato. «Finiremo quel servizio ok? Intanto mi divertirò con mister prepotente». Metto una mano sulla cornetta. «Fermati alla tavola calda e prendi una ciambella al cioccolato e caffè con panna per Tea grazie!», ordino.
Parker si ferma e si allontana quasi divertito dai miei toni.
«Sarà meglio che chiudi le gambe con quel ragazzo allora. Fagliela pagare questa. Passo da te questa sera e voglio i dettagli.  Inviti anche Anya? Mangiamo cinese?»
«Gamberi e riso?», domando subito.
«Perfetto tesoro! A sta sera.»
Scrivo un messaggio ad Anya invitandola mentre Parker posa un sacchetto sotto il mio naso e continua a guidare. Sorrido sotto i baffi mentre leggo il messaggio che la mia amica ha inviato dove accetta.
Ci fermiamo di fronte all'ufficio. Mi apre la portiera offrendomi la sua mano. La rifiuto passando avanti con una certa sicurezza. Poco prima di entrare dalla porta girevole, afferra la mia mano e la stringe con forza. «Si, voglio entrare mano nella mano con te», afferma tranquillo. «E no, non mi imbarazza affatto.» Pigia il tasto del piano e attendiamo che le porte si aprano.
Quando arrivo Tea si illumina e gira dal bancone per salutarmi. Alzo il sacchetto. «Sorpresa!», sorrido. Stringe il sacchetto grata e poi mi abbraccia.
«Ti aspetto in ufficio», Parker si incammina. Noto che molte persone si sono alzate dalle loro postazioni per vedere meglio. Trattengo l'imbarazzo.
«State di nuovo insieme?»
«Ci stiamo lavorando», sospiro.
Ritrovarmi in ufficio mi fa sentire stranamente meglio. Questa era la mia casa qualche mese fa. Mi domando chi abbia il mio piccolo quadratino. Tea si accorge della mia espressione e prende la mia mano. «Non ha voluto che qualcuno lo prendesse. È ancora come lo hai lasciato.» Sorride e torna dietro la scrivania. «Pranziamo insieme?»
Indietreggio, «contaci! Vado a lavorare o il capo mi licenzia», ridacchiamo.
Per abitudine busso alla porta e poi entro. Trovo Parker seduto dietro la scrivania con delle carte tra le mani. Alza lo sguardo e alzandosi mi raggiunge. Preme il suo corpo contro il mio e sfiora le mie labbra. «È bello averla di nuovo qui signorina», passa le labbra sul mio collo. Ansimo e schiarisco la voce. «Sono qui per lavoro signore», con la mano sul suo petto oppongo resistenza. Voglio proprio vedere quanto resiste. «Prima risolviamo la questione prima ritorno nel mio ufficio a qualche isolato da qui, lontano da lei.» Una sedia è sistemata accanto alla sua. Mi avvicino cauta prendendo posto. Parker sembra colpito dal mio tono e dalla mia risposta. Si sistema e mi passa una copia del caso.
Si tratta di una storia sentita in tivù. Un caso mediatico insomma. Un tentato omicidio ai danni di uno degli avvocati dell'ufficio che si trova ancora in ospedale in condizioni gravi. Credono sia stato avvelenato perché quando lo hanno trovato a terra quasi cianotico, è stata ritrovata una tazza di caffè a terra con delle impronte e una strana sostanza che se ingerita a grandi quantità può provocare asfissia. Sono state accusate due ragazze e secondo Parker ingiustamente. Una era segretaria dell'uomo mentre l'altra era la ragazza della caffetteria. Non avevano dei moventi. La segretaria era stata assunta da poco mentre la ragazza del bar non conosceva direttamente l'avvocato.
Parker sembra assorto. Continua a rileggere gli articoli e gli esami arrivati dalla scientifica. «C'è qualcosa che ci sfugge», mormora con una mano tra il mento e le labbra. Aggrotta la fronte e sospira. Passa la mano sul viso e poi stropiccia gli occhi prima di tirare la sedia indietro e attirarmi su di sé.
Gli getto le braccia al collo. «Potevo ucciderti con un caffè e non l'ho fatto», ridacchio. Massaggio le sue spalle e aspetto che si riposi un momento sotto il mio tocco delicato.
«Devo preoccuparmi?», stringe i miei fianchi contro la sua vita. Trattengo il fiato e prendo il suo viso tra le mani. Sfiora le mie labbra con le sue e poi mi bacia. Annuisco ricambiando il bacio.
«Da oggi rifiuterò i tuoi caffè», ridiamo.
Qualcuno bussa alla porta. Torno al mio posto e accendo lo schermo del computer. Parker sistema la giacca e dice: "avanti".
Tea fa capolino con un paio di fogli. «Signore, ha chiamato di nuovo il proprietario della caffetteria. Vuole parlare con lei.»
«Hai risposto che dovrebbe parlare con il suo avvocato e non con me?»
Tea annuisce anche se sembra in difficoltà. Morde il labbro e capisco che sta per aggiungere altro. «Si è presentato poco fa. Se ne sta seduto in sala e attende signore.»
Parker si alza e sobbalziamo entrambe. Aspettiamo la sua sfuriata ma non arriva. «Ok grazie Tea. Risolvo io!», sospira e mi guarda mentre Tea se ne va di corsa. «Devo chiamare la polizia per avvertirla e anche l'avvocato. Potresti chiedere a Ethan cosa possiamo fare?»
Spalanco gli occhi. «Cosa?», balbetto battendo le palpebre incredula. «Non posso», rispondo senza fiato.
«Si che puoi. Non te lo chiederei ma quell'uomo ha qualcosa che non mi convince. Si è piombato spesso in questo ufficio chiedendo di parlare con me e ogni volta ha fatto domande su domande sul caso alle mie dipendenti.»
«Parlaci tu con Ethan! È una settimana che non lo vedo e non lo sento. Non puoi chiedermi di fare una cosa del genere dopo che vi siete presi a pugni in casa mia e tu te ne sei andato infuriato. Io mi occupo del signore», mi alzo e prima che possa ribattere sono già alla porta.
«Emma potrebbe essere pericoloso», sbraita. «Sei sicura?»
«Lo capirò quando lo avrò visto con i miei occhi.» Apro la porta e con decisione mi avvio verso la sala.
Un uomo sulla trentina, basso e grassoccio, siede su uno dei divani in pelle nera. Si alza al mio arrivo e sorride in modo inquietante. Sento un brivido ma mantengo la compostezza.
Domanda subito: «Lei l'avvocato che si sta occupando della mia dipendente?»
Siedo di fronte a lui. «Perché è venuto qui?»
Arrossisce guardandosi attorno. Deglutisce e gratta la tempia. «Ho il diritto di sapere come va. Ho il diritto di sapere come andrà a finire...»
Mi alzo interrompendolo. «Ha anche il diritto di rimanere in silenzio e di non interferire con le indagini. Non sono il suo avvocato e non posso parlarle del caso. La pregherei di tornare al suo lavoro e lasciare alla giustizia di provvedere per la sua dipendente.» Indico la porta.
L'uomo arrossisce e annuisce. «Mi scusi. Non volevo farle perdere del tempo. Sono solo preoccupato per la mia dipendente.»
Annuisco in modo indifferente e lo guardo mentre va via. Torno turbata in ufficio e mi siedo pensierosa. Parker parla al telefono e di tanto in tanto prende appunti alzando il tono della voce e incupendosi.
Mordo il labbro e digito sul motore di ricerca il nome di quell'uomo che poco prima avevo davanti. Il suo sorriso inquietante e la finta innocenzabmi inducono a pensare che ci sia qualcosa di sinistro sul suo comportamento. Perché venire qui in ufficio quando ha un altro avvocato? Perché interessarsi così tanto della dipendente?
Trovo delle pagine sul locale, sul successo avuto i primi anni. C'è qualcosa che ci sta sfuggendo penso subito. Ma cosa?
Parker posa il telefono e mi lancia uno sguardo. «Sei riuscita a mandarlo via?» Annuisco. «Bene. Andiamo a pranzo?»
Lo seguo in silenzio e ancora assorta tra i miei pensieri. Mi siedo mentre Parker va a prendere da mangiare e nel frattempo arriva anche Tea. Sembra ancora scossa e turbata. «Tornerà, lo fa sempre», fissa il tovagliolo. «E' un uomo inquietante»
«Non avete contattato la polizia?»
Tea fa di no con la testa e poi saluta George che sembra non avere una bella cera. Questo caso sta coinvolgendo ogni avvocato del paese. George per quel che so era molto amico della vittima e sembra scosso quanto gli altri. Dice che è passato a trovare il suo amico in ospedale, è ancora in coma. Scuote la testa e mangia svogliato mentre con Parker discutono sul da farsi e su come agire con l'uomo che continua a passare dall'ufficio per avere notizie.
«Dobbiamo chiedere un'ordine restrittivo. Quell'uomo ha un non so che di strano. È stato interrogato ma non ha dato risposte adeguate.»
Mi isolo ancora una volta dai loro discorsi. La situazione sembra stia sfuggendo di mano a tutti. La gente chiacchiera di questo. Non si parla di altro. Il brusio, i suoni, i rumori, i profumi, iniziano a confondermi. Scosto la sedia e senza fiato mi alzo e corro subito fuori. Prendo il telefono e chiamo Lexa. Lei mi farà ragionare.
Esordisce: «Che succede? Hai ucciso il capo e vuoi aiuto per seppellirlo?»
Torno a respirare. «No, non riuscivo a respirare...», le racconto in breve la situazione liberandomi di un peso. Non so perché però inizio a sentirmi meglio dopo averne parlato con lei. È la mia migliore amica e con lei so di potere parlare tranquillamente.
«Cazzo che situazione. Parker ti ha davvero chiesto di chiamare Ethan? Che idiota!»
Riesce a farmi ridere e la ringrazio. Ultimamente è arrabbiata con Parker. Dopo la scorsa settimana non lo difende più come prima. Non la biasimo per questo. Anche a me lui fa uscire di senno.
Torno a tavola e Parker posa una mano sulla mia schiena facendomi sobbalzare prima di sussurrare contro il mio orecchio: «Tutto bene?»
«Ho solo avuto bisogno di un momento per riprendermi.» Allontano il piatto ancora intatto e mi guardo attorno.

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