Capitolo 2

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Sono in macchina, stravaccato sul sedile. Motore spento, finestrino abbassato, radio sintonizzata su Virgin. L'orologio digitale indica che Eleonora è in ritardo di sette minuti, la mia pazienza è disposta a concederle altri centottanta secondi.
Guardo la gente entrare e uscire dall'enorme capannone blu e giallo. I miei odiano questo posto. Dicono che l'Ikea tenta di standardizzare il nostro ambiente domestico. L'arredamento usato per imbrigliare l'espressione personale. Tutte stronzate.
La Mini nera entra nel parcheggio e si ferma proprio sotto il cartello del settore D. Chiudo tutto e scendo. Ci incontriamo a metà strada, accanto a una pozzanghera che riflette l'onnipresente logo Ikea.
Guardo Eleonora e noto che ha lasciato a casa il suo travestimento da Gola Profonda (penso al Watergate, non al film porno). Avrà ventisei-ventisette anni, non di più, lunghi capelli castani stretti in una coda di cavallo, occhi verdi. Madre natura non le ha fatto mancare nulla. A parte le tette.
«Sei in ritardo» dico.
«Può essere.»
«Può essere un cazzo. Sei in ritardo.»
«Tesò calmati, per favore.» Con Eleonora sono tutti "tesò" o "darling", bisogna abituarsi alla sua paraculaggine. «Okay, sono in ritardo. Scusami. C'era traffico.»
«Non m'interessano le tue scuse. Io faccio affari solo con gente affidabile e chi arriva in ritardo non lo è.»
«Non succederà di nuovo.»
«Bene. Che ti serve?»
Lei inarca le sopracciglia e si guarda intorno. Manca solo un rotolacampo in stile western per farvi capire la desolazione che ci circonda.
«Ne vuoi parlare qui?» chiede.
«Perché no?»
«Pensavo fossi un paranoico della sicurezza.»
«Io?»
«Mi hai fatto sprecare tre euro per un martello.»
«Quella è stata prudenza.»
«Sì, certo gioia. Come ti pare.»
Mi volto e torno verso la macchina. Non ho intenzione di farmi prendere per il culo da una ragazzina viziata.
«Dove te ne vai?» chiede.
«Via.»
«Va bene, va bene. Scusami. In realtà avevo proprio bisogno di un martello.»
La guardo e resto in silenzio. Lei mi fa cenno di avvicinarmi. «Ho un affare da proporti.»
«Allora parla, datti una mossa. Mi sto rompendo le palle.»
«Sono la coordinatrice di un gruppo di lettura e avrei bisogno d'aiuto per un progetto.»
«Un gruppo di lettura?»
«Sì, c'incontriamo, condividiamo i nostri libri e ci sballiamo.»
«Quanti siete?»
«Venti, compresa me.»
«Una mandria di sniffa-inchiostro.»
Si stringe nelle spalle. «All'inizio eravamo solo cinque, poi si sono aggiunte le altre.»
«Siete tutte donne?»
«Sì. Ti sembra strano?»
«Non mi sembra, lo è. A meno che non siate le Pony Women.»
«Per carità di Dio!»
«Vabbè, cosa c'entro io con il vostro gruppo?»
«Beh, avremmo un'idea e ci serve qualcuno con i contatti per realizzarla.»
Le chiedo dettagli ed Eleonora mi riversa addosso un'ondata gargantuesca di parole. Parla, parla e parla ancora, entusiasta. Gesticola, sorride. Gli occhi le brillano come ai ragazzini quando parlano di... cosa va di moda adesso? Vabbè insomma, immaginatevi una bambina che parla del suo cartone animato preferito: sguardo sognante, guance imporporate e fiato corto. Eleonora è così, solo che parla di un fottuto progetto criminale.
Il mondo dell'editoria è così pericoloso che nemmeno Satana vorrebbe averci a che fare. La leggenda narra che dopo la strage di San Francesco decine di editori finirono all'inferno. Vennero torturati dai demoni, e poi condannati al supplizio della stilografica infernale, attraverso cui il re degli inferi in persona incideva le loro carni con inchiostro infuocato. Gli editori accettarono la pena senza proteste. Poi, quando tutti i loro corpi furono ricoperti dalle annotazioni del sovrano diabolico, si scuoiarono a vicenda e distribuirono le loro pelli in tutti i gironi infernali. Poche ore e metà delle legioni demoniache barcollava tra le zaffate di zolfo, cercando un'altra dose di lettura. Satana dovette aprire un centro di recupero per demoni e disseminare tutto il regno con i cartelli: Vietato Leggere all'Inferno.
Okay, è solo una storiella, ma secondo voi perché è nata? Gli editori sono spietati e letali. Sono decenni ormai che combattono quotidianamente e in clandestinità per pubblicare e distribuire libri. Hanno dovuto affrontare la Guardia di Finanza, e resistere a missioni sotto copertura, retate e arresti di massa. Se si fossero fatti scrupoli ora le strade sarebbero vuote e senza romanzi.
Io sono cresciuto ai confini di questo mondo. Antonio e Clara sono sciroccati, ma almeno hanno evitato di rimanere invischiati in situazioni pericolose. Molti amici di famiglia non sono stati altrettanto scaltri. Ero troppo piccolo per comprendere "i discorsi da grandi", ma dopo essere andato a trovare parecchi di loro in ospedale per "misteriosi" incidenti e dopo aver assistito a tre funerali in pochi mesi ho capito che il mondo dell'editoria non andava d'accordo con la mia inguaribile voglia di vivere (a lungo).
Poi arriva Eleonora che con lo sguardo incantato e il sorriso sognante ti chiede: «Vuoi aiutarmi a fondare una casa editrice clandestina?».
«Fanculo» rispondo.
Lei aggrotta la fronte e sbatte le palpebre un paio di volte, come se avessi rifiutato il biglietto vincente della lotteria.
«Scusami, devo essermi espressa male. Ho bisogno...»
«Lascia perdere» la interrompo. «Ho capito quello di cui hai bisogno, si chiama psicoterapeuta. E la mia risposta è: vaffanculo. È un mondo che non voglio conoscere, e non dovresti farlo nemmeno tu.»
«No, no, è evidente che non hai capito. Non si tratta di spacciare qualche libro, si tratta di cambiare la società. Una rivoluzione.»
«Senti, questo è un mondo libero. Se tu vuoi essere la maledetta Che Guevara di tutti gli stramaledetti lettori del mondo, fa un po' come cazzo ti pare. Io, tra una fabbrica cinese di magliette che sfrutta il mio volto di martire per far soldi e una vecchiaia tranquilla in un ospizio, preferisco di gran lunga la seconda opzione. Morire da ottuagenario dopo un pompino ricevuto da una gentile infermiera, cosa c'è di meglio?»
Eleonora mi guarda inorridita, ma non demorde. «Tesò, il tuo disgustoso concetto di vita non m'interessa. Ho bisogno di te e sono disposta a pagarti bene.»
«Trovati un altro fesso, tesoro
«No, a quanto dicono tutti tu sei l'ultimo fesso, o almeno l'unico che non sia già pagato da qualche editore.»
Sorrido. «E sto bene così, grazie.»
«Ho detto che ti posso pagare adeguatamente, hai sentito?»
«Senti...»
Alza una mano e mi ferma. Tira fuori dalla tasca dei pantaloni un foglietto bianco ripiegato in quattro. Me lo porge.
Dentro c'è scritta una cifra. Una serie di numeri scarabocchiati senza cura che hanno il potere di togliermi il fiato. Non dirò l'importo, non voglio che sappiate quale prezzo attribuisco alla mia vita.
La mia assuefazione suggerisce pennivendolo e meretrice.


Vietato leggere all'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora