50.

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Gli prendo il viso tra le mani.
Mi stai facendo impazzire.
Lo fisso dritto negli occhi.
Scusami. Avrei dovuto fidarmi.
«Shane..ho pensato tanto a noi due..» continua a guardarmi sorridendo.
Probabilmente ha già capito tutto, ma voglio comunque riuscire a dichiararmi.
«Io..voglio stare con te, giorno e notte, qualsiasi cosa accada» faccio una pausa, le lacrime minacciano di uscire dai miei occhi. «Non so come o quando..ma mi sono innamorato di te, Shane»
Sorride. Uno di quei sorrisi magnifici, che ti contagiano.
Si fionda sulle mie labbra, stringendomi a se. Non lasciarmi mai andare.
Sorrido. Chi avrebbe immaginato che un giorno sarei finito in una situazione simile.
«Siamo in due, piccolo» mi accarezza una guancia.
Lo abbraccio affondando la testa nell'incavo del suo collo. Lui mi stringe a se. Vorrei fondermi con lui.
Gli lascio un bacio sul collo.
«Ufficializziamo la cosa?» mi prende le mani ed intreccia le sue dita con le mie.
«Ti piacerebbe diventare il mio ragazzo?»
«Non c'è nulla al mondo che desideri di più» ci baciamo nuovamente, è un bacio dolce e pieno d'amore.

Mi sveglio di colpo, ansimante e sudato, cacciando un urlo che attira l'attenzione della mia vicina di letto.
«Ehi, tutto bene?» si allarma.
Cerco di regolarizzare il respiro.
«Si..che ore sono?»
«Quasi le 7»
Cerco di riprendermi da quel sogno. L'ultima cosa che voglio è ricordarmi di quel momento.
«Sei già sveglia?» tento di distrarmi.
«Non mi sveglio mai dopo le 6.30..quando riesco a dormire..»
Annuisco, e torno a pensare ai fatti miei.

Quarto giorno.
Terza medicazione.
Seconda visita inaspettata..
Primo incubo.

«Oggi tieniti sveglio, perché ho un po' di cose in programma!» annuncia Marissa saltando sul mio letto.
Faccio roteare gli occhi.
Non me la sento affatto.
«Scusa. Oggi non mi va..»
«Ne abbiamo già parlato. Non devi farti rovinare le giornate da lui» si alza in piedi tendendomi la mano.
Sbuffo e la afferro, tirandomi in piedi.
«E quali sarebbero tutte queste magnifiche cose che hai in programma?» scherzo. Qua dentro non c'è mai niente di divertente da fare.
Neanche il tempo di uscire dalla stanza, che troviamo un uomo sulla quarantina, dai capelli neri, appostato davanti alla porta. L'ho visto poche volte, e quando era giovane.
«Ethan..» un sorriso compare sul suo volto.
Strabuzzo gli occhi. Incredulo a quella visione.
Papà..
Lui mi abbraccia, mentre io mi irrigidisco rimanendo immobile.
Mio padre ci ha abbandonati quando io ero molto piccolo, e mamma molto giovane. Non si è più fatto vivo dall'allora..
Ho sempre pensato che la causa fosse mia, non ero abbastanza per lui.
«Come..come stai?» esclama stringendomi le spalle e guardandomi negli occhi.
Io vorrei rispondere. Vorrei dirgli che lo odio, che è stato uno stronzo a lasciarci, ma le parole mi muoiono in gola.
«Ho saputo di quello che era successo tramite un mio collega, che ha una figlia qua» mi spiega. Ma io non riesco a concentrarmi.
È davvero mio padre l'uomo che ho davanti agli occhi? Quell'uomo che è sparito 15 anni fa senza lasciare tracce?
«Ethan, mi dispiace così tanto che tu abbia cercato di fare una cosa del genere..perché ti sei spinto tanto in là?»
Non riesco quasi ad ascoltaro.
«Forse per stare lontano da persone come te..» è tutto ciò che riesco a dire, facendomi un po' di coraggio.
Mi scosto dalle sue mani e mi allontano in fretta.
«Chi era?» chiede Marissa affiancandomi.
Sospiro e le afferro la mano «Mio padre..» rispondo freddo.
Lei sussulta e resta a bocca aperta, senza sapere che dire.
Ma d'altronde chi saprebbe cosa dire in una situazione del genere.
«Cosa pensi di fare?» chiede poi.
Le nostre mani sono ancora unite.
«Non ne ho idea. Ma di sicuro non lo perdonerò»
Lei resta in silenzio per un po' «Perché sei così duro? Dovresti imparare a dare una seconda possibilità» domanda poi.
«Non ci casco di nuovo. Ho perdonato persone che mi avevano distrutto, e alla fine mi hanno fatto ancora del male. Non ricomincerò tutto da capo. Tu non puoi capire» mollo bruscamente la sua mano, velocizzando il passo.

La situazione è un casino.
Shane è sempre presente, e io fatico ancora di più a dimenticarlo.
Marissa prova qualcosa per me, ma io non sono ancora pronto per assicurarle una relazione.
Mio padre, dopo 15 anni senza notizie, ha deciso di farsi vivo.

«Ehi ragazzi buongiorno!» sorride il dottor Parker, incrociandoci.
Io ricambio a malapena con un gesto della mano, e Marissa sussurra un 'ciao'.
Non si prevede esattamente un'ottima giornata.
«Posso stare un po' da solo?» le chiedo, senza nemmeno girarmi.
«Ma-» tenta di ribattere ma la interrompo. «Per favore»
«D-d'accordo..» poco dopo mi accorgo che la sua presenza alle mie spalle è svanita.
Ora non ho voglia di stare con nessuno.
Più che triste sono arrabbiato.
Con tutti. Anche con me stesso. Soprattutto con me stesso.
Vorrei spaccare tutto.
Dopo aver girato per ore in tondo all'ospedale, decido di tornare in camera, giusto per prendere il telefono e le cuffiette; ma, al contrario di quanto mi aspettassi, mio padre era ancora lì.
«Possiamo parlare?» domanda vedendomi.
«E di che? Del motivo per cui sei sparito per tutti questi anni?»
«Ethan, mi dispiace. Io..non ero pronto per tutto questo. Non ero pronto per un figlio, per una famiglia, non ero pronto ad impegnarmi seriamente. Ho sbagliato, ma ora sono qui» gesticola e continua a guardarmi con gli occhi lucidi.
«Tu non sei nessuno per me» sputo, scandendo bene la frase, nonostante i singhiozzi che tento di soffocare.
Lui non dice più una parola ed esce dalla stanza. Lo ringrazio mentalmente.
Trattengo le lacrime. Non voglio crollare.
Sono forte. Io sono forte. E non piango.
Afferro telefono e cuffiette e mi dirigo verso la terrazza.

"Keep looking down on me, I am more that you'll ever be. Cut me deep but I won't bleed. You're gonna kick me when I'm down"
Sono seduto in terra, avvolto nel mio enorme felpone nero, col cappuccio tirato fino davanti agli occhi chiusi, con la schiena e la testa appoggiate alla ringhiera.
La rabbia che si era impossessata di me sta lasciando spazio alla solita tristezza e senso di vuoto. Forse è così che sono destinato a vivere: convivendo con il dolore. Perché in fondo è in quei momenti che mi sento veramente a casa. Sarà l'abitudine.
Mi sto un po' pentendo di aver chiesto a Marissa di andarsene. Mi sto accorgendo che avere qualcuno vicino mi aiuta molto.
Come se mi avesse letto nel pensiero, me la ritrovo seduta accanto, senza neanche essermene accorto.
«Sapevo che non volevi davvero restare da solo» sussurra accarezzandomi il braccio ferito.
Io detesto quando mi vengono toccate le braccia. Credo sia perché su di esse è racchiusa tutta la mia storia, la mia sofferenza, e non sono disposto a condividerla con gli altri. Ma il gesto di Marissa non mi da affatto fastidio, probabilmente perché lei capisce esattamente quello che provo già da sola, E poi lei non mi chiede mai come sto e io le sono infinitamente grato per questo.
«Posso?» chiede indicando gli auricolari.
Gliene porgo uno mentre la canzone cambia.
"If I were you I'd put that away. See, you're just wasted and thinking 'bout the past again. Darlin', you'll be okay" canticchia lei guardandomi negli occhi.
Abbasso il cappuccio, come a voler eliminare la barriera che ci divide, e mostrarmi veramente a lei.
Mimo un 'grazie' con le labbra, e le accarezzo i capelli.
«Vorrei farti una domanda, ma non vorrei che ti arrabbiassi..» dice di scatto, abbassando lo sguardo.
«Tranquilla. Sto calmo, davvero» alzo le mani in segno di resa.

«Io ti piaccio?»

If They Knew The Pain  [#wattys 2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora