Conoscersi

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Salimmo sulla Ford. Io mi sedetti dietro e lo Sconosciuto si rivolse a Cameron.

<<Guido io, ti dispiace?>>
Lui lo guardò e sollevo le sopracciglia, quindi incominciò nervoso a grattarsi il mento.
<<Uh.. Beh ecco, è un'automobile cui tengo parecchio e...>>
<<Non ti preoccupare. Sono un ottimo pilota>> rispose lo Sconosciuto prendendo le chiavi dalla sua mano.

<<E va bene. Ma prudenza, mi raccomando. Sono strade strette queste, e..>>

Ma lo Sconosciuto non lo lasciò terminare. Accese il motore, inserì la marcia e partì, facendo sollevare una nuvola di polvere dietro di noi.

Appoggiai la testa al finestrino, e lasciai che il mio sguardo si posasse sul panorama che aveva incominciato a scorrerci accanto.
Alberi, tanto verde e sulla mia destra il fiume dal quale eravamo arrivati.

Guardai Cameron. Teneva gli occhi fissi davanti a sé. Ogni tanto li spostava sullo Sconosciuto, come per accertarsi che non facesse nulla di strano.
La Ford stava incominciando ad accelerare notevolmente.

<<Non sappiamo nulla di lei, Cameron>> dissi, cercando di distrarlo.

<<Di me? Beh, per prima cosa direi che è giunto il momento di darci del tu. Non fatemi sentire più vecchio di quanto già non mi senta, per favore.>>

<<D'accordo. Di te, allora. Sei sposato? Lavori ancora?>>

Lui scosse la testa, con un gesto che mi sembrò pieno di amarezza.

<<No, non sono sposato. E no, non lavoro più. Non in polizia, almeno. Sono in pensione da qualche anno. Però capita che di tanto in tanto mi ritrovi tra le mani qualche vecchio appunto su qualche caso che in passato non sono riuscito a risolvere, e allora cerco di rimettere in moto il cervello. Capita anche che qualche mio ex collega mi contatti per avere pareri su qualche indagine, e allora per un po' torno a sentirmi vivo. A sentirmi utile, capite?>>
Annuii, trovando i suoi occhi che dallo specchietto centrale si erano posati sui miei. Aveva qualcosa di malinconico nello sguardo, che finiva con l'essere in contrasto con i suoi modi di comportarsi, che spesso invece sembravano divertenti.

<<Penso di capire, sì.>>
<<Sapete>> riprese lui, dopo una pausa <<la gente, mentre è impegnata a lavorare, pensa che la pensione sia qualcosa di straordinario. Il traguardo finale da raggiungere. Stronzate. La verità è che la pensione è come uno scantinato dal quale non si vede più nulla. Ti svegli, fai colazione, compri il giornale e pensi a un modo per riempire le tue giornate, che all'improvviso sono diventate tutte uguali tra di loro. Nessuna differenza, nessuna emozione. E per una persona che ha vissuto di adrenalina, vi garantisco che non è facile da accettare.>>

Lo guardai e pensai alle sue parole, mentre la Ford correva sempre più veloce lungo quelle strade che non avevo mai visto prima.

<<È per questo che hai deciso di unirti a noi? Per tornare a sentirti vivo?>>

Lui scosse la testa, si accese una sigaretta e si voltò verso il fiume.

<<Anche. Forse. Forse lo faccio per Melissa Clarkson, invece.>>
<<Perché?>>
<<Per.. Per i suoi occhi, credo. Per quell'espressione di rassegnazione mista a speranza che aveva sul volto prima di andarsene. E perché durante questi diciotto anni sono tornato spesso a lei con il pensiero. Ho cercato risposte ma è stato come cadere all'infinito in un pozzo nero.>>
<<Pensi che ne troveremo, adesso?>> gli chiesi, quasi sottovoce.
Lui esitò.
<<Non ne ho idea, Rose. Lo spero. Lo spero davvero.>>

Rimanemmo in silenzio, fermando quei discorsi di colpo. Come se non servisse aggiungere altro, perché tutto era già troppo confuso così. Avevamo una meta ma non sapevamo che cosa stessimo cercando né da chi o cosa stessimo scappando. Ma nonostante sapessi di trovarmi al centro di una situazione terrificante, c'era qualcosa che, in profondità dentro di me, era meno oscuro di tutto il resto. Come una luce, un bagliore di speranza.

Guardai lo Sconosciuto che, tranquillo, continuava a guidare. Poi guardai Cameron che aveva appoggiato la testa al finestrino e adesso aveva chiuso gli occhi.
Mi resi conto che quella specie di luce che filtrava da qualche parte dentro di me era in realtà una sensazione nuova che stavo lentamente imparando a provare: l'idea, sempre più forte, di appartenere a qualcosa. Di far parte di un gruppo, una squadra. La sensazione di aver finalmente trovato delle persone che, per varie ragioni diverse, avevano preso a cuore la situazione in cui mi ritrovavo. E proprio perché stava capitando in un momento così difficile, mi sembrava davvero qualcosa di straordinario.

Incrociai con lo sguardo gli occhi dello Sconosciuto, per un istante. Non dicemmo nulla, ma stavo lentamente imparando ad interpretare anche i silenzi che finivamo con il condividere. Era come se ci fossimo detto, adesso, che avremmo trovato il tempo per continuare il discorso che avevamo incominciato di fronte alla casa di Cameron.

Chiusi gli occhi, respirai lentamente e provai a rilassarmi per qualche minuto.

Mi addormentai, perché quando riaprii gli occhi erano trascorse quasi due ore.
Non avevo idea di dove ci trovassimo, ma avevo una sete incredibile. Ci misi poco a rendermi conto che eravamo rimasti senz'acqua.

<<C'è una stazione di servizio a poche miglia da dove ci troviamo. Mi fermerò lì>> disse lo Sconosciuto.

Impiegammo pochi altri minuti a raggiungerla, e lo Sconosciuto si fermò in un parcheggio deserto. Sembrava davvero non esserci nessuno al di fuori di noi.

<<Vi aspetto qui>> dissi, guardandoli scendere dalla Ford. Cameron disse che avrebbe approfittato della sosta per usare il bagno.
Li guardai mentre si dirigevano verso la stazione, sotto la pioggia che non accennava a smettere.
Presi il telefono che lo Sconosciuto mi aveva restituito ma mi resi conto che la carica della batteria si era consumata del tutto.
Sospirai, cercando in tutti i modi di allontanare da me quella valanga di pensieri negativi che continuava ad inseguirmi senza darmi tregua.

Poi, all'improvviso, lo vidi.

Un uomo che camminava a fatica, piegato su se stesso. Sembrava pallido e debole e veniva verso la Ford.
Più si avvicinava e più riuscivo a vederlo meglio. Sembrava pallido e, ne ero sempre più sicura, ferito. Teneva una mano fissa sul ventre, come a coprire qualcosa.

Veniva proprio verso di me, trascinandosi in modo sempre più grave.

Raggiunse il mio finestrino e, di colpo, si fermò. Appoggiò una mano contro il vetro come per cercare di reggersi in piedi, di non crollare a terra, mentre l'altra continuava a rimanere immobile contro la pancia.

I suoi occhi erano disperati.

Mi guardò e poi, a fatica, disse qualcosa. Non sentii la sua voce perché il finestrino era alzato, ma lessi il labiale.

<<Aiu... A... Aiutami, ti prego.>>

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora