Capitolo 29: The ocean

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Capitolo 29

Hayley

Era mattina e quel giorno, a causa della febbre, non sarei andata a scuola. Aiden aveva insistito fino allo sfinimento affinché io acconsentissi a lasciare che lui restasse a casa con me per farmi compagnia.
Quel giorno la sveglia non era suonata e sia io che Aiden eravamo restati a letto a dormire fino a tardi e nonostante fossero da poco passate le undici e io mi fossi ormai svegliata da svariati minuti, Adien, al contrario, persisteva a riposare.
Aveva il viso premuto contro il morbido cuscino e i capelli scuri si erano spettinati durante il corso della notte, mentre le labbra erano leggermente schiuse. Mi era sempre piaciuto osservare Aiden mentre dormiva, aveva un'aria così rilassata rispetto al solito.
Tralasciamo quanto tutto ciò sia inquietante.
Che noiosa che sei, non ti va mai bene nulla.
A me andrebbe bene se tu lo svegliassi e lo baciassi.
Non avevo dubbi a riguardo.
Sembrava quasi che i pensieri che sapevo lo tormentassero di continuo non riuscissero a raggiungerlo di notte; eppure ero perfettamente consapevole che svariate volte il suo sonno era tormentato dagli incubi. Avevo perso il conto di tutte le volte che avevo sentito Ash riferirmi quanto fosse preoccupata per suo fratello.
Ora che avevo confessato ad Aiden ciò che si nascondeva nel mio passato mi sentivo incredibilmente sollevata, soprattutto se consideravo il modo in cui lui aveva reagito. Mi aspettavo che avrebbe iniziato a guardarmi con lo stesso sguardo negli occhi che mi rivolgevano coloro che conoscevo quando ancora vivevo a Los Angeles. Pensavo che parte di lui mi avrebbe sempre vista come una persona rotta che non riusciva più a ricongiungere i pezzi del suo cuore, della sua vita, infranta esattamente come la promessa che avevo fatto a mia madre. Invece Aiden si era limitato a sorridermi e a tentare di convincermi che no, non era stata colpa mia se Emma era morta quella notte di luna piena. Era capitato più di una volta che qualcuno cercasse di farmi comprendere che, qualunque cosa io avessi fatto, non sarei riuscita ad evitare che mia sorella perdesse la vita. Il fatto che anche Aiden avesse tentato farmelo capire non cambiava nulla, avevo apprezzato incredibilmente ciò che mi aveva detto ed ero rimasta commossa dalle sue parole; tuttavia, persistevo a sentirmi responsabile quanto prima.
Gli psicologi che mi avevano avuta in cura avevano capito subito che io avevo delle difficoltà ad accettare la perdita di mia sorella e che ero soffocata dai sensi di colpa. Mi avevano spiegato che la mia difficoltà nell'accettare il lutto era data dal fatto che io persistevo ad illudermi che, in qualche modo, avrei potuto evitare che l'incidente avesse luogo. I miei psicologi avevano compreso che la mia mente era tormentata da una serie infinita di se: se non le avessi regalato i biglietti per quel concerto; se fossimo partite prima; se solo avessi raggiunto Emma prima che l'altra macchina si scontrasse con la mia.
Mi avevano aiutata a comprendere che a volte la vita prende una piega differente da quella che ci aspettiamo, che a volte la volontà non è sufficiente e che talvolta non c'è nulla che possiamo fare per evitare che certe situazioni si presentino. Mi avevano portata ad apprezzare nuovamente le piccole cose della vita, a gioire per ciò che avevo e ad imparare a vivere senza Emma. Tuttavia, mi avevano anche comunicato che, purtroppo, l'elaborazione del senso di colpa era una cosa che avveniva con il trascorrere del tempo, che certi giorni mi sarei sentita in pace con me stessa, mentre altri avrei rincominciato a tormentarmi e a pensare ancora che io fossi responsabile dell'incidente. Ed effettivamente era proprio così, vi erano giorni in cui mi convincevo di aver fatto il possibile per salvarla; mentre altri ero sicura di non essermi sforzata abbastanza.
Gli psicologi mi avevano spiegato che era normale, che l'unica persona in grado di aiutarmi a comprendere che, effettivamente, io non avrei mai potuto fare nulla per evitare che Emma morisse e che non dovevo sentirmi in colpa perché io ero sopravvissuta e lei no, ero solo ed esclusivamente io.
Ricordo che la prima volta che la signorina Bloom mi aveva spiegato tutto ciò ero rimasta sbigottita, perché mi ero chiesta come mai fosse possibile che lei non potesse fare nulla per aiutarmi. Con il trascorrere del tempo però, avevo compreso che, per quanto lei potesse essere brava nel suo lavoro, non poteva di certo entrare nella mia mente. Come non poteva di certo convincermi ad ogni costo che io non fossi responsabile della morte di Emma. Semplicemente non era nelle sue possibilità, era compito mio.
Erano trascorsi due anni, eppure non mi sembrava di essere riuscita a fare molti progressi. Con il tempo i sogni erano quasi del tutto dalla mia mente, tuttavia nell'ultimo periodo si erano ripresentati di tanto in tanto. Più mi sforzavo di capire come poter placare i miei sensi di colpa e più mi risultava difficile. La verità era che avrei voluto dirle addio, che avrei voluto piangere al suo funerale e che mi sarebbe piaciuto ascoltare l'intero discorso fatto dal preside in sua memoria, invece di scappare per rinchiudermi in un bagno e tentare di buttare via la mia vita. Mi sarebbe piaciuto riuscire a cantare 21 guns prima che lei chiudesse gli occhi e smettesse di respirare, riuscire a rassicurarla almeno quel tanto necessario per farla sorridere un'ultima volta e non essermi limitata a piangere come una disperata senza proferire parola, versando lacrime macchiate di sangue sul suo viso.
Ormai però era troppo tardi, era trascorso svariato tempo e quelle erano e sarebbero sempre rimaste delle occasioni perse e nulla di più.
Guardai ancora una volta il viso dormiente di Aiden e sorrisi nel vedere quanto i suoi lineamenti fossero rilassati. Lui era stato il primo a cui avevo raccontato l'intera storia di Emma; infatti ai miei psicologi l'avevo trascritta su un foglio di carta, poiché per me era sempre stato troppo doloroso parlare di lei. Ricordavo perfettamente che la Signorina Bloom, la psicologa che mi aveva aiutata a trovare il coraggio di rimettermi al volante, mi aveva confessato che il giorno in cui sarei riuscita a parlare a qualcuno di Emma e di come la sua vita era giunta al termine, avrebbe rappresentato un enorme svolta per me. Guardando il viso pacato di Aiden, illuminato leggermente dalla luce solare che filtrava attraverso le tende scure, realizzai quanto la signorina Bloom avesse avuto ragione. Mi sentivo come se mi fossi tolta un enorme peso dallo stomaco, ero sollevata e aver confessato al mio ragazzo il mio più grande segreto, mi sembrava il primo passo verso il cambiamento. Forse stavo finalmente imparando ad accettare che Emma non c'era più e che, per quanto io lo volessi ardentemente, non c'era nulla che potessi fare per cambiare le cose.
Mi sentivo ancora febbricitante e dopo essermi arrovellata in maniera spropositata sui miei pensieri, mi sentii incredibilmente stanca, così chiusi gli occhi e dopo poco caddi in un sonno profondo.

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