It's okay Buck, go home

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Tutto era iniziato con un semplice mal di testa.
Bucky Barnes era stato risvegliato da quel sonno di ghiaccio in cui si era fatto rinchiudere.
Una cura, aveva detto Steve con un sorriso capace di rompere le labbra, abbiamo trovato una cura, starai bene Buck.
L'ex mercenario da un braccio solo accennò una debole e stanca felicità.
Erano passati quasi due anni e mezzo, ma ciò che aveva chiesto James, la cura per il suo controllo mentale, era stato realizzato.
Finalmente, dopo anni di abusi, torture e manipolazioni, Bucky riusciva a vedere uno spiraglio di luce, quel debole bagliore in fondo al suo infinito tunnel.
Di certo, non sarebbe riuscito a superare le sedute terapeutiche dei medici senza Steve al suo fianco.
Già, Steve.
Solo sentir pronunciare il suo nome lo guariva. Gli era mancato per così tanto tempo, ogni cosa di Cap gli aveva dato astinenza, anche senza rendersene conto.
I due soldati si amavano, sin da ragazzini, ma il loro amore sbagliato doveva rimanere segreto. Così diverso e strano, così sbagliato.
Ma adesso, nessuno dei due aveva paura di dimostrare tutto ciò senza nascondersi.
Perché loro si amavano, semplice.
Ogni tanto il capitano passava di mente a Bucky, quando si nascondeva nel suo spoglio appartamento.
Steve passava, si sedeva, aspettava, colorava qualche ricordo, ma non se ne andava.
E fu proprio quel bacio che diede a James una certezza a cui aggrapparsi.
Quando si erano rincontrarti, dopo quasi settant'anni. Steve Rogers nel precario appartamento di Bucky Barnes.
Le autorità stavano per arrestare James, Captain America voleva impedirlo, ma Bucky non assecondava i suoi tentativi di salvataggio.
Cap aveva immaginato il loro primo incontro molto diversamente, magari in un contesto più tranquillo ed intimo.
«Mi consci?» aveva domandato al Soldato D'inverno dopo aver sfogliato uno dei suoi quaderni degli appunti, ed aver trovato una sua immagine fra le pagine.
«Sei Steve. Ho visto di te in un museo.» aveva risposto freddamente lui.
Cap aveva cercato di convincerlo ad andare, non doveva finire per forza in uno scontro.
Ma inutili furono i suoi tentativi di portarlo via da quella battaglia.
«Mi hai tirato fuori dal fiume! Perché?!» era una domanda che non poteva tenersi dentro ancora per molto.
«Non lo so.» rispose James.
«Si che lo sai.» Steve annuì serio, prima che gli agenti incombessero in casa, ripensando ad ogni loro gesto d'amore, ad ogni loro ricordo. Avendo la certezza che Bucky provasse ancora qualcosa per lui, dopo avergli salvato la vita. Non aveva dubbi.
Una pioggia di proiettili andò contro il Soldato D'inverno, che parò i colpi con il suo braccio di metallo, immediatamente soccorso da Rogers ed il suo scudo.
Quell'oggetto li coprì per un breve istante; la mano umana di Bucky si avvinghiò al collo di Steve, assorbendo quel dolce calore così familiare. Lo strinse di più a se, i proiettili contro il vibranio emettevano un rumore assordante, e fu quello a coprire lo schiocco delle loro labbra.
Dopo settant'anni, si erano baciati.
Finalmente.
I loro volti ansimanti fusi insieme, le labbra carnose di Barnes affondarono in quelle rosee del biondo, che alzò lo scudo, e strinse con la mano la schiena del mercenario.
Si lasciarono gemendo, i fiati tranciati dalla tensione della lotta e di quel gesto.
Sconvolto, Bucky lo fissò con gli occhi sgarrati, spingendolo via, e scappando.
Scappò, ma non da Steve.
E adesso, dopo essersi finalmente congedato dal ruolo di soldato, Barnes aveva la priorità di prendersi cura della propria salute menatela.
Il medicinale che i dottori avevano creato per Barnes consisteva in dieci sedute endovena di un farmaco capace di cancellare quelle parole che risvegliavano il Soldato D'inverno.
Una perfetta combinazione chimica in grado di riportare in vita una volta per tutte Bucky Barnes.
Perfetta, finché non arrivò quel mal di testa.
La terapia farmaceutica sembrava andare benissimo, senza effetti collaterali, anzi, pareva che il paziente avesse riacquistato molti altri ricordi.
Bucky era felice.
Steve era felice.
Tutto sembrava andare per il verso giusto.
Ma quel mal di testa.
All'inizio era un leggero fastidio alle tempie, qualcosa che andava e veniva. Bucky non l'aveva detto a nessuno principalmente, ma poi, quando Steve si accorse di quella lieve insofferenza, spronò il compagno a parlare, soprattutto perché i medici avevano raccomandato di avvisarli su qualsiasi cosa.
James lo ammetteva, con un sorriso che avrebbe dovuto rassicurare tutti.
«Non è niente, solo un leggero fastidio. Sono solo un po' stanco.»
Tutti lo assecondarono, ma nessuno abbassò la guardia.
Nel giro di una settimana, Bucky fu costretto a letto da un lancinante dolore alla testa.
Era svenuto, era rimasto privo di coscienza per tredici ore, e si era risvegliato urlando per la sensazione insopportabile di oppressione al cranio.
Si sentiva morire, ancora.
Non riusciva nemmeno a sentire i propri pensieri, perché le coltellate fulminee alla testa non gli lasciavano nemmeno il tempo di respirare.
La diagnosi arrivò quasi immediatamente, semplice quanto letale.
Emorragia celebrale del nucleo dentato.
Bucky avrebbe dovuto essere in coma o già morto, ma straordinariamente, era ancora lucido.
Forse era Steve che lo teneva in vita, forse era il disperato bisogno di stargli ancora accanto.
Lo avevano riempito di calmanti e antidolorifici.
Facevano effetto, ma solo fino ad un certo punto.
Era immobile, sudato e pallido, disteso su un lettino ospedaliero dalle lenzuola candide che quasi si mimetizzavano con la sua carnagione.
I capelli castani, lunghi, sugli occhi, incollati al collo e alle tempie per il sudore freddo.
Steve gli stringeva l'unica mano rimasta, riempita di flebo che gli procuravano lividi violacei.
Era così debole, così magra e fredda, che Cap fece fatica a riconoscere quel tatto che fin troppe volte aveva sentito sulla sua pelle.
Bucky teneva i suoi occhi verdi chiusi, per cercare di alleviare in qualche modo il pulsare ininterrotto della testa.
Abbiamo fatto tutto il possibile, era quello che avevano detto i medici. Niente interventi, niente farmaci, ormai, in un modo o nell'altro, nulla poteva salvare il soldato.
E Steve non riusciva nemmeno a respirare. Pensare a quelle parole, pensare che di lì a pochi istanti di Bucky sarebbero rimaste solo le carni, gli dava un senso di nausea e disperazione capaci di stritolargli lo stomaco.
Si trovava seduto sul capezzale del compagno di una vita, di quella vita mai vissuta a pieno con lui.
Un debolissimo movimento delle dita di Bucky fece scattare immediatamente Cap.
Sorrise, quando il moro aprì a mal appena gli occhi.
L'occhio destro era di certo lo spettacolo peggiore di tutto l'insieme; la sclera bianca si era tinta di un rosso acceso e chiaro, che contornva l'iride verde che lottava ancora per farsi vedere nel suo colore che ormai aveva perso la luce.
Steve fece di tutto per ignorare quel grosso particolare, anche se si risultò inutile, perché lui lo guardava sempre negli occhi, entrambi non potevano evitare di farlo.
Ormai la vista in quell'occhio era quasi del tutto sparita, ma Bucky continuava a tenerli entrambi ben aperti, per vedere la figura di Steve, di quel piccolo ragazzino di Brooklyn fiero fra i quartieri della città.
Accarezzò con il pollice il palmo della sua mano, provocando in Steve un singhiozzo che gli solleticò la gola.
«Steve.» Bucky mormorò il suo nome, e gemette subito dopo per il dolore.
«Hey Buck, come andiamo?» il biondo si avvicinò di più a lui, con gli occhi lucidi, sorridendo. Voleva illudersi che ci fosse una speranza, voleva illudersi che Bucky si sarebbe ripreso.
«Steve, io sto andando via?» lo domandò con ingenuità e confusione.
«No Buck, tu non vai da nessuna parte, non senza di me. Ti rimetterai, coraggio» Cap continuò a sorridere, con quel pianto mascheratosi sotto alla serenità.
«Invece sì, Steve. Tu devi farmi una promessa.»
«Tutto quello che vuoi, sono qui, sono qui con te.» Steve ignorò la prima frase, e annuì sicuro.
«Ti prego, promettimi che farai tutto ciò che non abbiamo potuto fare insieme. Promettimi che imparerai a giocare a baseball come si deve, promettimi che tornerai in Italia per visitare i musei d'arte, promettimi che non smetterai di disegnare; promettimi che ti innamorerai ancora, che starai insieme a Sharon. Promettimi che vi sposerete, come avevamo sognato noi due, e che avrete dei bambini» Bucky fu costretto a riprendere fiato, vacillando con la voce bassa «promettimi che continuerai a salvare il mondo da bravo super eroe, che riunirai la vostra squadra dei vendicatori, e ancora, che non piangerai. Ti supplico Steve, ti prego, ti amo troppo per permettermi che tu stia male a causa mia. Promettimi, ancora e ancora, che vivrai. Vivi Stevie, per favore, vivi per me.»
Steve stava già infrangendo una di quelle tante promesse, sciogliendosi in un bagno di lacrime salate che gli marchiavano il viso.
«Ti prego, non lasciarmi, non un'altra volta.» singhiozzò, con la vista appannata, incapace di vederlo bene, disteso su quel letto.
«Io non ti sto lasciando, punk. Sto tornando a casa, a Brooklyn.» Bucky alzò uno spigolo di labbra, lasciando lo spazio necessario alla sua bocca per poter far passare un filo d'aria.
«Non senza di me, no Bucky, resta qui.» Cap stava implorando ormai ricurvo con i gomiti sul materasso, e le mani strette intorno a quella di Bucky, portandosela sulle labbra, e bagnando anche quella con le sue lacrime.
«Sei così buffo quando piangi.» James sorrise ancora, ricordandosi quel viso rosso e tremolante quando era giovane, per colpa di un bullo lo faceva nero e gonfio. Quando Bucky lo consolava ridendo e stringendolo a se.
Steve tirò su con il naso, aggrottando la fronte.
Non poteva davvero credere di dover affrontare quel momento nella sua vita, non poteva credere che lo stesse perdendo ancora, e stavolta per sempre.
«Non fare così, dimmi che posso andare Steve, per favore.»
Quella supplica aveva ormai fatto capire a Steve che Bucky non ce la faceva più. Era certo che le sue parole lo avrebbero fatto andare via.
Non voleva parlare, non voleva essere, ancora, la causa della scomparsa di Bucky. Ma guardò il suo viso, troppo stanco e segnato da quella vita di dolore.
Annuì, accumulando tutto il coraggio e la forza che potesse avere in corpo.
«Okay. È tutto okay Buck, va a casa.» la sua voce era ormai un tutt'uno con le lacrime, che però non fecero smuovere il sorriso sereno del moro, che socchiuse gli occhi e le labbra, aspettando ciò che non aveva bisogno di essere chiesto a parole.
Cap si avvicinò tremando al suo viso, continuando a tenergli forte la mano.
Gemette sulle sue labbra, lasciando cadere delle lacrime sulle guance scarnite di Bucky.
Respirò con fatica, soffocato dai singhiozzi, con gli occhi chiusi, Steve baciò Bucky un'ultima volta, bisbigliando sulla sua pelle; «Vai a casa amore, io ti raggiungerò»

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