- andare ad una o più partite

- fare qualcosa di pericoloso e divertente

- sorridere almeno una volta al giorno

Ethan ha letto di nuovo la mia lista forse per errore perché in bella mostra tra i miei appunti e mi ha preso in giro dandomi il tormento; ma lui non sa perché faccio questa lista. Non sa perché mi serve.
Per quanto mi sforzi di andare avanti, ne ho bisogno. Ho bisogno di avere degli obbiettivi per questo periodo estivo e di non fermarmi troppo.
Ho già letto il libro, per circa due volte, quindi ho già una cosa in meno da fare ma sono sicura che lo rileggerò presto un'altra volta.
Il telefono vibra. Lo sollevo cercando di aumentare la luminosità dello schermo.

Anya: "Non abbiamo più cibo in casa. Puoi portare qualcosa per cena?"

Digito una risposta.

Emma: "Dobbiamo andare a fare la spesa. Non hai visto il post-it? Comunque non preoccuparti ci penso io. Avete delle preferenze?"

Anya: "Fai tu. Mangiamo anche le pietre! :) buon lavoro."

Sorrido per la sua risposta. Ultimamente sembra impegnata quindi non gliene posso fare una colpa se dimentica di sfamarsi. Sarei incoerente perchè neanch'io lo sto facendo con me stessa.
Alzo il viso chiudendo per qualche istante gli occhi.
Durante il pomeriggio, la luce sembra trasformare la città che inizia ad accendersi in tante piccole lucette. Non so come spiegare ma è bello visto da qui il panorama. E a distanza di un anno non riesco ancora a credere di avercela fatta. Sono nella città in cui ho sempre sognato di vivere. Eppure sento forte la mancanza di una famiglia ormai dissolta in una giornata fredda. Forse è per questo che preferisco le stagioni calde.
Osservo la strada piena di pedoni, turisti pronti ad immortalare questo spazio pieno di palazzi alti, lavoro e vita. Gli aerei passare lasciando la scia su un cielo carico.
Percepisco i rumori, il caos generato da qualche voce, dalla musica di strada, dalle auto, dalle ambulanze.
Mi chiedo che cosa ci faccio in questo posto se preferisco i luoghi tranquilli alla vita frenetica. La risposta è solo una: cambiamento.
«Emma?»
Mi volto emettendo un breve urlo che esce dalla mia bocca strozzato. Il piatto mi cade dalle mani. Stanno tremando terribilmente.
Non ho vie d'uscita e Scott sembra deciso a parlarmi, a farmi ragionare. Prendo un grosso respiro decidendo in fretta su due piedi di affrontarlo per una volta e per tutte. Recupero il piatto da terra gettandolo dentro il cestino e rimango in piedi, pronta mentalmente.
Si avvicina cauto, con sguardo afflitto. La mia mente lo paragona ad una vipera e questo non fa altro che provocarmi una sensazione orribile sulla bocca dello stomaco.
«Ascolta, so che non ti fidi di me per tutto quello che ho fatto, ma che ne dici sé questa sera prendiamo qualcosa da mangiare e parliamo? Ti prego Emma, sto impazzendo senza te. Ti amo», si avvicina ancora provando a toccarmi il viso.
Arretro guardandolo per la prima volta dritto negli occhi. «Ho un altro impegno. Ma se mi libero ti faccio sapere».
Sembra rincuorarsi e mi sorride. Non so se sia soddisfatto. Forse il suo gioco era proprio questo sin dall'inizio: darmi il tormento fino a farmi cedere. Però ho appena mentito. Non uscirò con lui. Non mi sento ancora pronta.
«Mi dai la risposta prima della fine del turno?» Prova ad abbracciarmi e in qualche modo riesco a sfuggirgli.
«Si, va bene», torno al lavoro con una strana ansia addosso.
Non so, sento che sta per succedere qualcosa.
In parte mi piacerebbe accettare, perché la parte masochista di me vuole proprio capire dove vuole arrivare con questo suo invito; mentre dall'altra, l'idea di uscire con lui non mi entusiasma. Potrebbe avere delle pretese o strani pensieri.
Sospiro.
Vorrei solo mettere le cose in chiaro, smettere di evitarci o farci del male a vicenda. Un po' ci spero. Spero di potere ritrovare fiducia in lui. Starei meglio dal punto di vista emotivo.
Pulisco parte dei tavoli poi passo in cucina. Ormai è quasi ora di chiusura e Tony ha sempre bisogno di una mano in più per non tornare a casa tardi.
Non sono poi così stanca e nonostante le ore di caldo e di traffico sento di potere continuare ancora un pò. Le ore passano davvero in fretta oggi.
«Che cosa voleva?» chiede Tony strofinando il fornello fino a farlo brillare.
Mi appoggio un istante all'isola in acciaio sfiorando un mestolo per sistemarlo meglio sull'amo da cui pende. «Chiedermi di uscire», non aggiungo altro per paura che fraintenda. Anche se ormai ha capito benissimo ciò che è successo.
Incrocia le braccia con una smorfia. «Uscirai con lui?»
Nego. «Non so più se fidarmi. Sto valutando e osservando tutto come un'estranea.»
Annuisce. «Ascolta uno più grande di te, piccola. Uno come lui, non cambierà mai. Ti farà solo soffrire. Ti ha già mentito una volta, lo farà ancora e ancora. Per quanto tempo pensi di riuscire a sopportare una cosa del genere?»
Mordo il labbro sentendo in bocca il sapore del sangue. «Non penso di riuscire a sopportare un'altra bugia o un'altra cruda verità. Voglio solo poterlo vedere come prima... parlare con lui, ridere...» sospiro notando la sua espressione. «Mi sto solo illudendo, vero?»
Si avvicina per un breve abbraccio. «Troverai quello giusto. Lui non fa per te. Ti deluderà ancora.»
Ascolto ogni singola parola sentendomi in un certo senso ferita nel profondo. Perché non riesco a vedere tutto così lucidamente? Di cosa ho paura?
«Grazie», balbetto.
«Sempre a disposizione senorita», dandomi un buffetto affettuoso sorride spingendomi verso l'uscita secondaria. Quella per il personale.
«Porta questi fuori e vai a divertirti», ordina allegramente iniziando a fischiettare.
«Va bene, grazie ancora», abbozzo un sorriso prendendo i sacchi neri dell'immondizia. Per errore però sollevo proprio quello che pesa un po' ed esco sul retro quasi arrancando.
Alzo gli occhi. Vedo tutto confuso. Il mondo mi cade addosso, così come il sacco e le bottiglie al suo interno che, schiantandosi sull'asfalto provocano un gran rumore di vetri rotti che si proponga nel vicolo interrompendo Scott e Sasha dal loro bacio appassionato.
Il fiato mi manca. Sento proprio il petto stringersi in una morsa dolorosa. Annaspo indietreggiando come un robot, stropicciandomi un occhio che continua a bruciare prima che entrambi si riempiano di lacrime. Sento i cocchi del vetro su cui sto camminando conficcarsi tutti dentro, nel mio cuore. «No...», sussurro scuotendo la testa, aprendo e chiudendo più e più volte gli occhi.
Scott sgrana gli occhi, fissa me poi Sasha poi mette le mani sulla testa. «Cazzo!» impreca incapace di trovare una soluzione, di nascondere ciò che è evidente.
«Emma», inizia balbettando, avvicinandosi con i palmi davanti.
Nego. Le labbra tremano e le mordo stringendo i pugni in vita. «No», continuo a ripetere indietreggiando ancora.
Sasha, rimanendo alle sue spalle con un sorrisetto beffardo stampato in faccia, posando una mano sulla sua spalla dice: «credo sia il momento di dirle la verità, Scott».
Ma lui sta negando guardandomi fisso negli occhi, facendomi sentire male dentro. «Per favore», inizia flebile.
Sasha lo fa girare prendendo il suo viso tra le mani. «Diglielo! Smettiamola con questa farsa. Ha diritto di sapere», continua a sorridere sotto i baffi prendendosi gioco di me.
Scott continua a guardare prima me poi lei quasi in preda al panico.
«Cazzo, digli che cosa fai mentre le dici che la ami!», gli urla Sasha chiaramente innervosita dal suo silenzio, dalla sua reazione non prevista, forse anche divertita per la situazione in cui ci troviamo.
Tutto questo è davvero assurdo!
«Diglielo! Digli che non ho nessun figlio, che quel bambino è mio nipote e quel giorno al parco era solo un diversivo per tenervi buoni. Digli perché ti chiamo nel cuore della notte o perché mi ospiti in casa tua.»
Colpita dalle parole della persona che credevo fosse mia amica: indietreggio incapace di sentire altro, poi scappo dentro.
«Emma», urla Scott.
La sua voce arriva distante, distorta alle mie orecchie. Sto per sentirmi male. Supero la cucina e anche Tony che mi parla. Non lo sento, non sento niente.
Prendo la borsa dall'armadietto. Sciolgo i capelli ravvivandoli distrattamente prima di legarli e agitata corro fuori dal bagno. Scott mi spinge contro il muro prendendomi il viso tra le sue mani. Le stesse che stavano toccando Sasha.
Le scaccio via emettendo un urlo acuto in grado di farmi paura e dandogli un sonoro schiaffo, nonostante la mia gamba protesti, mi spingo fuori dal corridoio, in sala; poi finalmente spalanco la porta principale del locale.
Vedo tutto confuso davanti ai miei occhi. Tutto a rallentatore, come in un film la cui pellicola è in bianco e nero e le scene troppo lente.
E quando metto piede fuori annaspando in cerca d'aria, sento la voce di Tony e quella di Scott alle mie spalle.
Emetto un altro verso che esce dalla mia gola incontrollato e quando guardo davanti a me trovo Ethan. Sta uscendo in fretta dall'auto.
Accortosi della mia espressione, si fa avanti dopo essere rimasto per qualche istante immobile, indeciso.
Non so perché si trova proprio qui ma in questo preciso momento: è come vedere un faro acceso dopo una notte passata in mezzo al mare in tempesta.
E mentre lo guardo, sento arrivare improvviso e deciso un bisogno esigente della sua protezione. Sento che ho bisogno di lui.
L'impatto è davvero strano quando lo abbraccio e lui rimane stordito dal mio gesto così improvviso e naturale. «Che cosa succede?» chiede guardando davanti a sé.
I suoi occhi chiari diventano un mare agitato alla vista di Scott. Lo spingo verso l'auto agitandomi maggiormente. Voglio solo allontanarmi, niente di più.
«Puoi darmi un passaggio», credo di parlare in uno stato confusionale e, senza permesso, con sguardo fisso entro in auto.
Ethan dopo qualche secondo gira sui tacchi salendo in auto, mettendo in moto. L'auto romba ad ogni suo comando. Guarda dallo specchietto retrovisore proprio Scott raggiunto da Sasha e da Tony e sgomma premendo poi sull'acceleratore senza fare nessuna domanda. Mentre io per una volta non presto attenzione alla cintura non inserita, alla velocità con cui ci stiamo allontanando dal locale, al fatto che sono entrata in auto di mia volontà e non perché costretta. Per una volta, accantono la paura. Accantono quella parte di me che si rifiuta.
Appoggio la testa al finestrino trattenendo i singhiozzi. Non posso ancora credere di avere avuto da sempre ragione ed essere stata così stupida da non dare fiducia alla voce, a quei sussurri continui dentro la mia testa che continuavano a mettermi in guardia. Non riesco ancora a credere di avere ascoltato solo bugie. Non riesco a credere di avere preso per pazzi tutti quanti: Max, Tony, Anya e quelli che mi avevano messa in guardia.
Mi sono fatta a pezzi da sola. Sono caduta su quei cocci di bottiglia e mi sono rotta insieme a loro. Mi sono distrutta in tanti piccoli pezzi da completa stupida e ingenua quale che sono.
Ethan chiama Anya senza nascondersi. «Sto portando Emma a casa», dice guardandomi con la coda dell'occhio. «Non ha una bella cera», aggiunge a denti stretti premendo il tasto rosso sullo schermo rettangolare posto sul quadrante sopra lo stereo di questa Camaro SS nera.
Mi fa fare un giro lungo prima di portarmi a casa.
Quando l'auto si ferma di fronte al palazzo spalanco la portiera ed esco correndo più in fretta che posso al piano di sopra, nel mio appartamento. Spalanco la porta lasciandola aperta alle mie spalle. Quando raggiungo finalmente la mia stanza chiudo a chiave la porta, getto la borsa a terra e inizio a spaccare tutto ciò che trovo davanti a me. Urlo forte sradicando il tabellone pieno di post-it appena comprato lanciandolo contro il quadro posto sulla parete. Questo cade frantumandosi. Non riuscendo a muovermi inizio a picchiare, a dare calci alla porta del bagno. Sono così arrabbiata: con me stessa, con il mondo, contro la speranza.
«Emma», Anya bussa alla porta più volte. La sua voce velata di preoccupazione. Ancora una volta, sono riuscita a farla entrare nel vortice buio, pieno di problemi che è la mia inutile e infelice vita.
Sono troppo infuriata per sentirla o per rispondere. Ho solo un obbiettivo: ridurre in polvere ogni cosa. «Io non ce la faccio più. Non ci riesco», urlo mandando a terra tutti i libri sulla mensola. Apro i cassetti buttando ogni cosa a terra. In pochi istanti metto a soqquadro l'intera stanza.
Voglio vedere tutto al contrario, vivere per un attimo in mezzo al caos e non sentirmi così persa, così ferita.
«La mia vita è solo un fottuto sbaglio ed io non ne posso più!», singhiozzo colpendo ancora la porta con una pedata.
Sembro proprio una squilibrata strafatta di acidi, ma che importa?
Il telefono vibra e lo lancio contro la parete su cui si schianta creando un buco. Tutto per non sentirlo. Quando non trovo più niente da scagliare a terra, scivolo lungo il muro mettendo le mani tra i capelli.
Ho un violento attacco di panico e non vedo il mondo circostante perché i miei occhi sono così appannati da oscurare tutto. Mi sento morire. Non riesco più a percepire niente.
La porta si spalanca con uno schianto.
«Emma, che caz...»
Ethan sgrana gli occhi indurendo lo sguardo, prendendomi in braccio con delicatezza mentre me ne sto rannicchiata in un angolo pulito della stanza. Mi porta in corridoio, lontana dal caos.
Mi rannicchio contro la parete verde continuando a picchiare i pugni sul suo petto. Voglio sfogare tutta la mia rabbia, voglio scaricarmi completamente e magari spegnermi. Sono una fottuta cretina, illusa, ingenua.
«Ehi, piccola guardami», Ethan alza la voce per farsi sentire in mezzo alla nebbia del mio attacco di panico.
«Merda, qui dentro ha ha fatto a pezzi tutto. Controlla se si è fatta male», Anya trova subito risposta guardandomi le mani. Poi, indica le mie nocche ma non me ne importa niente. Non fanno neanche male come il petto. Se potessi, strapperei volentieri il mio cuore a mani nude per gettarlo via.
«Va in cucina, ci penso io», ordina a sua sorella.
Anya indugia per qualche istante poi attirata dal suo telefono che squilla corre in cucina parlando con qualcuno.
«Piccola», Ethan prende il mio viso tra le mani. Vorrei scostarmi ma non ne ho le forze. Non ci riesco. Spingo solo priva di ogni forza le sue mani. Ma questo non lo ferma. Neanche quando qualcuno bussa alla porta con insistenza e Anya corre ad aprire.
La sento urlare come una pazza e capisco che la fonte del mio dolore è riuscita a trovarmi.
«Mandalo via...», sento il petto schiacciarsi ed il dolore farsi nuovamente strada. «Ti prego, mandalo via...»
Ethan ha un attimo di esitazione poi alzandosi non ascolta le proteste di Anya e va dritto verso Scott che tenta di raggiungermi. Per un attimo, perdo la connessione con la realtà.
Nella vita per essere felici ci serve poco, per essere distrutti un niente.
«Se ti rivedo ancora vicino a lei, sei morto!». Lo butta fuori a calci e a spintoni. Forse hanno anche una breve colluttazione nel corridoio del palazzo perché si sentono dei torti rumori.
Quando chiude la porta gliene sono grata. Abbasso persino le spalle. Non sono preoccupata. Non mi importa se lo ha picchiato o se ha solo dovuto avvertirlo per tenerlo lontano da me. Ho solo bisogno che non si avvicini più a me. Che stia lontano. Che viscido!
Ethan torna da me inginocchiandosi davanti e dopo avere chiesto il permesso, sedendosi apre le braccia. Mi lascio avvolgere dal suo calore, dal suo profumo, da lui, da Ethan.
Ho un grosso debito nei suoi confronti. Non saprò mai come ricambiarlo. Perché incontrarlo è stato come vedere un raggio di sole in una giornata grigia.
Anya ci raggiunge. Non mi stacco da lui, non la guardo. Continuo solo a fissare il vuoto, a tremare e a sussultare singhiozzando anche se ormai non ho più lacrime da versare.
«Mi dispiace, devo proprio correre da Mark. Se non arriverò in tempo i suoi daranno di matto. Mi dispiace non potere rimanere Emma.»
Abbassandosi mi schiocca un affettuoso bacio sulla tempia. Poi, fissa il fratello comunicando con lui con lo sguardo.
Porto le gambe al petto dondolandomi ad occhi chiusi. Non voglio rimanere sola proprio ora che sento di essere arrivata quasi alla linea di confine; ma non posso obbligarla a rimanere se ha degli impegni da rispettare.
Me la caverò. In un modo o in un altro ce la farò. Proprio come faccio sempre.
«Alziamoci da qui, piccola.»
Questo nomignolo che esce dalle sue labbra mi fa sentire protetta.
Al momento, ne ho davvero bisogno. Ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa per non cadere, per non perdermi.
Mi rialzo traballante. La gamba fa male emetto un breve urlo tenendolo tra i denti e zoppico. Dovrò rimettere il tutore.
Ethan mi solleva prendendomi in braccio senza il minimo sforzo. Una volta in cucina mi sistema sul divano spostandosi dietro il bancone dell'isola.
Stringo un cuscino al petto rannicchiandomi sul divano. Lo sento parlare al telefono. Sta discutendo con qualcuno.
«Ho da fare», alzo subito lo sguardo facendo cenno di no con la testa.
Non deve sentirsi obbligato perché me ne starò buona in questo nuovo angolino comodo.
Ethan allontana il telefono. «Non ti lascio qui da sola. Vieni con me», dice risoluto.
Quando stacca la chiamata rifiuto. Starò bene da sola in casa, rimetterò in ordine la mia stanza distrutta dalla mia stessa furia. Adesso a mente lucida me ne vergogno.
«No, tu vieni con me. Va a fare una doccia, ti aspetto», i suoi occhi non ammettono un rifiuto e dopo quello che ha fatto per me credo di doverglielo.
Dopo avere fatto una doccia nella sua camera mi sento peggio di prima.
Lascio i capelli umidi e sciolti indossando qualcosa di comodo. Non nascondo nessun segno presente sulla faccia, non fascio neanche i pugni pieni di lividi e piccoli tagli.
Mi fermo a disagio sulla soglia del soggiorno. Ethan vedendomi arrivare si avvicina, mi prende per mano e mi porta fuori dall'appartamento.
Questo gesto, mi sembra così banale e così nuovo. Mi vengono in mente le sue parole da ubriaco e ho quasi l'istinto di sorridere, di prenderlo in giro; però sono troppo giù di morale per farlo.
Salgo in auto senza protestare. Ethan gira subito lo schermo per scegliere qualche canzone. Inizio a spaziare con cantanti e gruppi aggiungendoli ad una playlist, anche se non ho voglia di ascoltare musica perchè vorrei solo rimanere in silenzio.
Quando preme sull'acceleratore, non ribatto. Non me ne importa. Per quanto mi riguarda possiamo anche viaggiare oltre il limite consentito, niente mi riporterà indietro, niente cambierà le cose.
Prendo una gomma frugando dentro la borsa e sollevando il pacchetto gliene offro una. Ethan la scarta come la prima volta senza staccare gli occhi dalla strada poi getta la carta nel posacenere.
Non so dove stiamo andando, dove mi sta portando, ma è un bene allontanarsi da casa. Scott potrebbe tornare in ogni momento finendo ciò che ha iniziato. Decido di mandare un messaggio a Max ma ho rotto il telefono.
«Puoi prestarmi un secondo il tuo telefono?» chiedo con voce arrochita.
Scoppia un palloncino. Dentro l'abitacolo si sta diffondendo in fretta la fragranza delle Brooklyn alla cannella. Pizzicano la lingua ma sono davvero buone.
Mi passa subito il telefono senza neanche sbirciare o controllare. In un certo senso mi fa piacere che in minima parte si fida di me.
Digito brevemente un messaggio per Max prendendo il numero da un biglietto da visita.

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