Capitolo quarantatrè.

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"Hai visto un fantasma?" schioccò le dite davanti ai miei occhi.
"No, i-io.." balbettai.
"Che hai? Sei impallidita di brutto. Sei sicura che ti senti bene?" mi domandò con aria preoccupata.
"Si, sto bene" mi alzai dal divano.
"Devo proprio andare adesso" aggiunsi.
"Come? Di già? E la mia pausa studio?" chiese con tono deluso.
"Dan.. davvero. Devo proprio andare" risposi con tono serio.
"Hey calma, stavo solo scherzando" si rabbuiò.
"Non prenderla sul personale, lo sai che adoro stare qui con te ma sai anche che mio padre si incazza a morte se non mi trovo a casa per la cena" spiegai.
Con una certa titubanza mi accompagnò alla porta.
"Si, lo so. Per questo lo odio il più delle volte. Ci vediamo domani" mi diede un bacio.
"E stai attenta.." aggiunse.
Il sole era ormai calato, faceva freddo ed era quasi buio, mi affrettai a prendere l'autobus.
Avevo una sorta di agitazione che mi attanagliava le viscere. Nervosa, frustrata, incompresa.
Qualcuno si è mai sentito come me?
Ripensai al bacio che Nathan mi aveva rubato, fino a quel momento ero troppo scioccata per l'accaduto ma non mi ero chiesta il perché del suo comportamente.
Insomma, aveva detto che non voleva avere niente a che fare con me.
Mi aveva dato della troia, della sgualdrina, mi aveva offesa accusandomi di non essere affatto vergine e lui che faceva?
Mi baciava.
Pensai che oltre ad essere un porco soffriva anche di disturbi comportamentali, era un fottuto bipolare del cazzo e stava facendo in modo che io impazzissi insieme a lui.
Tutto sommato però mi era piaciuto, come mi aveva afferrata e la foga con cui voleva baciarmi.
Volevo solo sapere il perché.
Perché se non gli piacevo si ostinava a farmi credere il contrario? L'unico rimedio infallibile per cuori spezzati che conosco, è la musica.
Dopo aver cenato, feci un bagno rilassante e misi su il disco degli Stereophonics che Mark mi aveva regalato nel pomeriggio.
Presi la copertina e mi stesi di schiena sul letto a fissare il soffitto. "You gotta go there to come back".
Interessante, pensai tra me e me.
Volume basso.
Stomaco in subbuglio.
Testa che vorticava.
'So maybe tomorrow, I'll find my way.. home. So maybe tomorrow, I'll find my way.. home'.
La voce di Kelly Jones degli Stereophonics riempiva la stanza in sottofondo.
Come una ninna nanna.
Forse per coprire un altro suono, quello cupo e continuo che sentivo dentro come un pugno, un richiamo che non smetteva di tormentarmi man mano che passavano i minuti.
Forse un giorno avrei trovato anche io la mia strada.
Forse. Un giorno.
Non riuscivo a non pensare a lui e a quanto volevo che fosse diverso.
Mi addormentai piangendo, per la milionesima volta da quando l'avevo incontrato.
La mattina seguente a scuola non mi impegnai molto, a dire la verità con la testa non c'ero proprio.
Qualcuno se ne accorse o meglio la mia amica di banco.
Quella a cui non avevo raccontato nulla.
Mi sentivo una completa idiota a stargli accanto con la consapevolezza di non averle raccontato nulla di quella notte.
Ma per me ritornare sull'argomento era come cospargere del sale sopra ad una ferita aperta.
"Cos'hai?" mi domandò cupa in volto.
"Uhm?" la guardai.
"Perché mi eviti? Perché eviti di avere un dialogo con me?" si arrabbiò.
"Non sto evitando un bel niente" borbottai.
"Certo che lo fai. Sei strana e questa cosa mi fa soffrire molto. Perché so che hai dei problemi ma non ti fidi abbastanza da confidarti con me" sussurrò.
"Sara, i-io.." balbettai.
"Un mese e mezzo fa mi hai chiamata nel cuore della notte e hai pianto al telefono per tutto il tempo, ti ho sempre dato modo di fidarti di me. Cosa è successo?" chiese alzando il tono.
"Abbassa la voce, ti prego" la implorai.
"Mi sa che qualcuno sta perdendo punti. Hai perso un'altra amichetta del cuore Johnson?" sputò acida Kate intromettendosi.
"Sei solo una megera ipocrita e acida che non ha amici" sputai stanca di quelle continue frecciatine.
"Ne ho quanti ne voglio di amici" rispose.
"Amici che ti usano. Chiudi quella bocca.." sussurai e tornai a fissare nuovamente Sara.
Mi alzai e gli tesi la mano.
"Vieni con me" dissi improvvisamente.
Lei la prese e senza fiatare uscimmo dalla classe, la diressi sul terrazzo della scuola.
Quando mi sedetti sul muretto presi un bel respiro e iniziai a parlare.
"Prima di iniziare a raccontare, voglio che tu sappia che ho sempre avuto fiducia in te e se non ti ho raccontato prima di questa cosa era perché mi vergognavo da morire" farfugliai mordendomi il labbro.
"Mi fai preoccupare" rispose con sguardo cupo.
"Ricordi quando Cloe invitò me e Dan al Terminal con i suoi amici?" chiesi.
"Si, la sera in cui tu e Nathan vi siete baciati."
"Esatto, quella sera Nathan ha provato a toccarmi e io l'ho rifiutato. Dopo un po' di tempo, una sera uscii con Dan, Carter e mio fratello. Tutti erano impegnati a fare qualcosa, Dan stava fleartando con un ragazzo davanti ai miei occhi e così mi sono allontanata con la scusa della pipí per lasciarli un po' da soli" sospirai.
"Mi sono imbattuta in un vicolo cieco, mi ero persa e quando me ne sono resa conto e stavo per tornare indietro qualcuno mi ha tappato la bocca e mi ha immobilizzato."
Per me spiegare parola per parola tutto quello che era capitato era davvero doloroso, ma dovevo farlo, dovevo alleggerire la mia coscienza.
Lo dovevo a Sara che era sempre stata una buona amica.
"Solo poco dopo ho capito che si trattava di Nathan che mi aveva seguita. Dapprima mi sono ribellata, volevo schiaffeggiarlo ma non ci sono riuscita. Poi mi ha baciata e.. ha cominciato a toccarmi, ad accarezzarmi" spiegai velocemente.
"E l'abbiamo fatto su uno squallido tavolo in mezzo ad una stradina a meno di venti metri di distanza da mio fratello e i miei amici" aggiunsi con rammarico.
"Avete?" il suo sguardo era indecifrabile.
Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa.
"È stato squallido, davvero uno schifo. È stato molto rude e animalesco. Se ci ripenso, mi vengono i brividi" sussurai.
"Oddio, non so cosa dire.." si sedette al mio fianco.
"Non pensavo ti saresti fatta abbindolare così in poco tempo in realtà" biascicò.
"Lo so e mi odio per questo. Avrei dovuto resistergli. All'inizio non volevo farlo, non mi sentivo a mio agio. Non ero pronta ma lui se ne è fregato e ha fatto tutto da solo.." spiegai.
"È stata una violenza?" chiese preoccupata.
"Non la metterei così, è stato un troppo eccessivo" ribattei.
Non avevo mai pensato al fatto che quello fosse stato un abuso. Non lo pensai perché il 40% della colpa era certamente mia.
Se non volevo farlo potevo oppormi, ma non lo feci.
"Mi dispiace. Come ti senti?" chiese.
"Fottuta per bene" ridacchiai.
"Ho consegnato la mia virtù nelle mani di un egocentrico maiale. Ma la buona notizia è che si comporta come se non fosse mai accaduto, grazie a Dio" sospirai.
"Cosa? Perché ? Ti ha per caso respinta dopo che avete fatto sesso?" urlò.
"È Nathan De Luca. sapevo di che pasta fosse fatto, ma non mi aspettavo fosse così insensibile" spiegai.
"Perché l'hai fatto?" mi chiese con tono pacato.
"La verità è che non lo so nemmeno io. Forse sono innamorata di quel bastardo o forse sono soltanto innamorata dell'idea di essere innamorata di lui. Forse non so riconoscere affatto l'amore dato che non ho mai avuto una relazione seria" mormorai.
La verità è che quando fai solo sesso non cerchi ragioni, è quando non fai solo quello che cerchi tutto il resto.
L'amore.
Ma nel mio caso, per Nathan ero stata solo una buona scusa per svuotarsi le palle.
"Non so perché tu non me l'abbia detto. Mi dispiace soltanto che tu abbia affrontato tutto questo schifo da sola.."
"Te l'ho detto, mi vergognavo. Non voglio essere compatita. Mi faccio abbastanza schifo da sola, tanto che non ci dormo la notte. Per di più sto avendo un crollo nervoso" spiegai.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese.
"Certo.." sussurai.
Un abbraccio di un'amica fidata, un buon consiglio o una parola detta col cuore, forse era quello che mi serviva per superare quella giornata.
Dopo che mi abbracciò a lungo rientrammo giusto in tempo per la fine dell'intervallo.
Mrs O'Brien mi mandò in sala professori per prendere alcuni libri dal suo armadietto.
Mentre camminai per il corridoio salutai un paio di vecchie conoscenze.
Alcuni ragazzi che prima mi evitavano o addirittura mi guardavano come un'aliena, d'un tratto sembravano interessati alla mia scollatura moderata e al mio sedere.
"Hai scaldato troppo gli animi di quei poveracci" mormorò all'improvviso Max spuntandomi dalle spalle.
"Si? E come?" chiesi ridendo.
"Vuoi la verità?" chiese, e annuii leggermente.
"Bene. Con il tuo sedere" mi indicò il culo.
"Se proprio non l'hai capito ti stanno fissando il culo" ammiccò un sorrisetto malizioso.
Da quando il mio sedere era diventato oggetto di desiderio? L'avevo sempre considerato un sedere normale, anche se avevo sempre sognato quello di Jennifer Lopez.
Per non parlare di quello di Niki Minaj.
"Sei uno sfacciato" risi.
"È la verità, hai un bel culo. È un complimento, accettalo.." mi fece un occhiolino.
Uno di quelli che subito dopo vorresti svenire al suolo.
Se non ero impazzita io e Max O'Connor, uno dei ragazzi più belli della mia scuola, eravamo diventati una sottospecie di amici.
Mi faceva complimenti e mi lasciava intendere che gli attiravo sessualmente.
Strana la vita.
Non ci avrei mai scommesso all'inizio del liceo.
"Ah, quindi tu vorresti dire che il mio culo, stretto in dei banalissimi jeans, è un attentato alla tranquillità?" sorrisi.
"In un certo senso si.." si grattò il mento.
"Dove stai andando così di fretta?" chiese.
"Sala professori. Mrs O'Brien ha dimenticato i suoi amati libri" sbuffai.
"Ti accompagno" rispose.
"Non voglio metterti nei guai" sorrisi beffarda.
"Sto cercando una buona scusa per saltare economia aziendale. Lasciati accompagnare.." mi pregò.
Lo accontentai.
Quando entrammo mi tenne aperta la porta da gentiluomo. Apprezzai quel gesto, anche se banale era davvero carino.
Tra l'altro Max possedeva un qualcosa di peccaminoso.
Era bello davvero, di una bellezza perversa.
Forse era il modo in cui sorrideva e metteva in mostra i suoi denti perfetti e allineati o forse era per i suoi capelli neri pettinati all'indietro.
Era essenza di uomo, ma non era l'uomo che il mio cuore reclamava.
Chiunque al mio posto si sarebbe sentita lusingata, Kate al posto mio avrebbe certamente inaugurato il tavolo rotondo, dove i professori pranzavano scopandoci sopra senza alcun ritegno.
Ma poi chi ero io per giudicare?
Se proprio dobbiamo parlare di tavoli..
Avevo fatto la stessa cosa soltanto che la location era diversa, la situazione era molto più ambigua e bollente.
E io amavo Nathan.
Semplice.
"Allora, come te la passi?" mi chiese infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni neri.
"Bene, tu piuttosto con Kate?" sghignazzai.
"Non è divertente. Ci ho creduto davvero quando mi hai detto che Kate aveva una malattia venerea.."
"Mi sono sentita presa in giro, tutto qui. Volevo solo una piccola vendetta" brontolai.
"Si, certo. Adesso però hai sottratto la credibilità ai nostri dialoghi" sorrise maliziosamente.
"Sopravviverò" scrollai le spalle.
Presi la chiave dalla tasca e mi avvicinai al grande armadio.
Lo aprii e frugai all'interno.
Per lo più c'erano libri di dimensioni diverse, carte, cartaccie. I libri rivestiti con una copertina verde si trovavano su uno scaffale piuttosto alto. Ero troppo bassa ma non mi persi d'animo, presi una sedia e ci salii sopra.
"Ti serve una mano?" mi chiese tendendo le mani verso di me.
"Prova ad allungare una mano e sei finito" lo minacciai.
"Acida" borbottò ridendo, alzò le mani in segno di resa.
"La mia è troppa dolcezza andata a male.." sbuffai prendendo i libri.
Mi girai per scendere e mi porse una mano.
Quando toccai il pavimento con i piedi, all'improvviso mi si offuscò la vista.
Smisi di respirare e la stanza incominciò a girare attorno a me fino a quando non divenne tutto buio.
"Carrie. Carrie.. Andiamo svegliati.." un piccolo schiaffetto mi colpì.
"Bel modo di svenire" un altro buffetto mi colpì la guancia.
A poco a poco incominciai a riprendere conoscenza, quando aprii del tutto gli occhi incrociai lo sguardo di Max.
La sua bocca era terribilmente vicina alla mia e profumava maledettamente di buono.
Ci vollero circa dieci secondi per capire che ero distesa lungo il pavimento tra le sue braccia.
"Oddio" sussurai.
"Cosa è successo?" domandai tentando di alzarmi.
"Fai piano" sussurrò e mi aiutò a rimettermi in piedi.
"Sei praticamente collassata. Da gentiluomo ti ho afferrata al volo ma non preoccuparti non ho approfittato della situazione" mi fece un occhiolino.
Io ero crollata al suolo e lui si divertiva a pungermi con quelle battutine infelici.
Dovevo uscire da quel posto.
"Grazie tante per la cortesia" lo allontanai e presi i libri che mi erano caduti.
Uscii in fretta e mi diressi in classe, grazie a Dio era l'ultima ora. Dovevo fare affidamento sul mio autocontrollo per resistere altri cinquanta minuti in quella gabbia di matti.
Non passarono velocemente ma quando suonò la campanella, sgattaiolai via senza proferire parola con nessuno.
Quando arrivai a casa non toccai praticamente nulla, avevo paura di rigettare qualsiasi cosa ingurgitassi, persino l'acqua.
Crollai sul letto e mi addormentai.
Mi svegliai direttamente verso l'orario di cena.
Non dormivo in quel modo da tempo.
Controllai il cellulare; dieci messaggi di Dan che mi dava per dispersa, una chiamata persa di Carter e un email da parte di Sara che mi mandava gli appunti che mi ero persa.
Uscii dalla mia camera e mi diressi in cucina, trovai mia madre alle prese con varie torte e mio fratello Jack che guardava un film di Denzel Washington.
"Wow, tutto quello che ci vuole per un favoloso coma diabetico" borbottai affondando con l'indice nella crema al cioccolato.
"Rifallo e ti spezzo le dita" mi minacciò con un cucchiaio di legno. Mi portai il dito alla bocca e mugolai in apprezzamento.
"Quando ceniamo?" chiesi con lo stomaco che brontolava.
"Quando tuo padre e tuo fratello si degneranno di tornare a casa" sbuffò.
"Per chi sono queste torte?" chiesi incuriosita.
"Per Mariah Monroe. È il compleanno del figlio e poi volevo scusarmi per il fanale che gli hai sfasciato" borbottò beffarda.
Da quando mia madre preparava torte per la famiglia di quel invertebrato ipocrita?
"Cosa? Perché mi tradisci così?"
"Smetti di fare la bambina" borbottò.
"Già che ci sei potevi usare del veleno per topi" brontolai.
La lasciai sola nella cucina e mi diressi verso il divano.
"A che parte sei arrivato?" chiesi stendendomi.
"Alla parte in cui il padre della bambina si spara in testa con una Glock" rise.
"Affascinante.."
"Non dargli troppo peso, lo sai che la mamma è troppo buona. Lo so che Monroe è un lurido pezzo di merda" bisbigliò.
"È un maiale" farfugliai.
"Già, ma la prossima volta che ti offende o prova a toccarti dillo a me e gli faccio passare la voglia di fare lo stronzetto" mi confortò. Appogiai la testa sulla sua spalla e per un attimo ritrovai un po' di pace interna.
Mi sentivo sulla lama di un coltello da troppo tempo.
"Jack" sussurai.
"Sai dove la mamma tiene la sua rubrica telefonica?" chiesi.
"Credo nel cassetto della credenza in corridoio. Perché?" chiese.
"Niente, voglio il numero di Monroe per minacciarlo di morte" mormorai e lui mi guardò con faccia seria.
"Sto scherzando. Mi serve il numero di un'amica di mamma.." mentii.
Gli diedi una leggera pacca sulla spalla e senza fare rumore mi avvicinai alla credenza, aprii il cassetto e trovai l'agenda blu scuro.
La presi tra le mani e prima di aprirla mi guardai attorno. Incominciai a sfogliarla e quando capitai sulla pagina che mi interessava, presi il telefono e feci una foto.
"Carrie" urlò mia madre facendomi sobbalzare.
L'agenda cadde a terra ma la raccolsi velocemente e la rimisi a posto.
"Perché urli?"
"Ho bisogno di una mano. Aiutami ad apparecchiare" borbottò dalla cucina.
La cena fu squisita e l'armonia che si era stabilita tra me e Jack mi fece venire voglia di parlare della scuola e dei miei progetti a Los Angeles ma non lo feci.
Avevo paura di turbare nuovamente mio padre, di farlo arrabbiare e di far terminare quella cena in una battaglia all'ultimo sangue.
Più tardi sdraiata suo mio letto Chris Martin dei Coldplay mi aiutò a schiarirmi le idee.
Chris Martin salva la vita.
"What if there was no light, nothing wrong, nothing right, what if there was no time..."
Continuai a fissare la foto sul mio telefono per una quantità di tempo eccessiva.
Leggevo e rileggevo.
Westminster Ave 34, Dottor Ben MecCormark.
Mi domandavo in continuazione cosa fare.
Avevo paura, ero spaventata, intimorita e non sapevo dare una spiegazione a tutto quello che stava succedendo al mio corpo.
E se tipo avevo qualche malattia e non ne ero a conoscenza? Potevo tipo avere il cancro.
Lessi da qualche parte che le nausee e gli svenimenti erano causate dal cancro.
A quel pensiero sbiancai completamente.
E se mi rimaneva poco da vivere?
I miei pensieri presero una piega sbagliata, ma avrei dovuto capire cosa mi stava succedendo.
Avrei dovuto affrontare la situazione.
Inutile dire che quella notte non chiusi occhio.
Ma quella mattina me la presi con comodo dato che era sabato. Mi svegliai verso le undici, con un paio di occhiaie che potevano fare invidia ad un panda.
Ero sola dato che mia madre uscì per la spesa, così ne approfittai per farmi una doccia rilassante.
Presi tutto l'occorrente e mi chiusi in bagno. Quando mi lavai i denti mi fissai a lungo allo specchio.
Pelle scarna, pallida. Occhiaie.
Con lo spazzolino a mezz'aria mi fermai.
Un attacco di nausea improvvisamente e boom, testa infilata nel gabinetto.
"Va tutto bene Carrie" mi rassicurai da sola.
"Tutto bene."
Quando tutto fu finito mi alzai e lavai la faccia accuratamente. Quella storia doveva finire.
Dopo la doccia mi vestii in fretta e presi le chiavi di casa.
Lasciai un biglietto a mia madre.
Quando uscii di casa, presi al volo l'autobus che mi portava a Midway City, poco lontano dalla mia destinazione.
Feci un paio di passi a piedi dato che conoscevo la strada a memoria.
Quella camminata mi aiutò a riflettere molto su quello che stava per succedere.
Stavo davvero per andare dal mio dottore di famiglia da sola? Tutte quelle domande non fecero che agitarmi sempre di più, ma non potevo tornare indietro.
Dovevo affrontare quella situazione.
Presi un grosso respiro ed entrai all'interno del palazzo. Il portiere che mi conosceva da bambina mi fece un mezzo saluto con il viso. Presi l'ascensore e salii fino al decimo piano.
Le mie mani erano sudaticcie e tremolanti. Quando arrivai davanti alla porta bussai il campanello e mi venne ad aprire la segretaria del dottor MecCormark.
Tutto quello che sapevo era che si chiamava Leah, che lavorava per lui da tanti anni e che assomigliava in un modo allucinante ad una di quelle signore di colore che cantavano nei cori gospel della chiesa.
"Ciao Leah, dovrei fare una prescrizione medica. Quanto tempo devo aspettare?" chiesi facendole una faccina dolce.
"Adesso chiamo il dottore" mi fece un occhiolino.
"Intanto siediti."
Mi sedetti sulla poltrona rossa, la sala d'attesa era vuota a parte me e lei.
Dopo non so quanto tempo la sentii parlare nella mia direzione.
"Carrie, il Dottor MecCormark ha detto che puoi entrare" farfugliò.
Quando mi alzai la paura si impossessò di me.
Me la stavo letteralmente facendo sotto.
Il cuore mi batteva all'impazzata e mi aggrappai saldamente al manico della borsa. Bussai ed entrai silenziosamente.
"È permesso? Buongiorno" salutai.
"Carrie. Buongiorno a te" mi rispose.
La sua attenzione era rivolta al suo PC sulla scrivania.
"Leah mi ha detto che ti serve una prescrizione" mormorò.
"In realtà sono qui per una visita" farfugliai.
"Come mai non sei venuta con tua madre?" mi chiese togliendosi gli occhiali.
"Perché non voglio farla preoccupare e perché credo di essere abbastanza adulta per andare dal medico da sola per fare un controllo di routine" scherzai nervosamente.
"Accomodati" mi fece segno con la mano.
Mi sedetti sulla grande poltrona marrone e lo guardai intimidita. Quell'uomo poteva rovinarmi, ero nelle sue mani.
"Dimmi cos'hai" chiese.
"Beh, sono una paio di settimane che mi sento sotto tono. Molto nervosa e tesa. Ultimamente ho avuto problemi con lo stomaco. Ho vomitato un paio di volte ed ho avuto un paio di mancamenti" spiegai nervosa.
Lui si alzò dalla sua postazione e si rimise gli occhiali, prese il caleidoscopio e si avvicinò al lettino.
"Vieni, siediti" mi ordinò.
Mi alzai, mi tolsi la giacca e mi sedetti con le spalle ricurve dal nervosismo.
Controllò il mio respiro, la pressione.
Con un bastoncino di legno mi fece spalancare la bocca e mi controllò la gola.
Mi tastò più volte l'addome.
"Sono frequenti queste nausee?" mi chiese tastandomi un fianco.
"Piuttosto irregolari" sibilai.
"E i mancamenti?"
"Lo stesso."
"Sonnolenza e spossatezza?" chiese.
"Si" ammisi.
"Hai avuto ehm.. rapporti sessuali di recente?" mi chiese.
E io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Se gli avessi detto che avevo fatto sesso con Nathan avrebbe sicuramente spiattellato tutto a mia madre e a quel punto mi sarei cacciata in guai grossi.
Deglutii con fatica.
"No" mentii spudoratamente e gli feci uno di quegli sguardi che urlavano: 'sono ancora vergine, idiota'.
Solo che non lo ero più.
"Molto bene, perché in caso contrario si sarebbe potuto trattare di una possibile gravidanza" spiegò.
A quell'ultima parola pensai di svenire.
Il mio cuore si fermò, il respiro mi si bloccò in gola e mi paralizzai.
Cazzo, cazzo, cazzo.
"Ti prescrivo queste vitamine. Molto probabilmente sei stressata per la scuola e lo studio. Devi assumere molte proteine e dormire durante il tempo libero" mi consigliò.
Ma la mia mente era troppo scioccata per capire quello che stava dicendo.
La verità?
Non me ne fregava un cazzo ne di mangiare, ne di dormire e tanto meno di assumere tante proteine.
L'unica cosa che volevo era quella di sapere la verità.
Mi trovavo ad un passo da un burrone.
Avrei tanto voluto buttarmici, sarebbe stato più facile e meno impegnativo.
"Carrie" richiamò la mia attenzione.
"Non mi da le caramelle?" chiesi cambiando argomento.
"Sei troppo cresciuta per le caramelle, l'unica cosa che posso darti sono dei profilattici per il sesso sicuro, se deciderai di farlo un giorno" scherzò.
Da un momento all'altro stavo per scoppiare a piangere e lui si prendeva gioco di me.
Quando me ne andai non riuscivo più a capire niente, non ascoltavo il suono delle macchine per strada, le persone che parlavano, il suono della città.
Mi sembrava di essere rinchiusa in una bolla.
Poteva davvero trattarsi di una gravidanza?
Solo al pensiero mi crollò il mondo addosso.

Forte come due ma sei solo una. (WATTYS2016) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora