Capitolo 28

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Duccio

Era incredibile come la sola presenza della persona giusta accanto potesse far tornare una luce interna ormai persa da fin troppo tempo. Mi ero accorto che Faster ci riusciva perfettamente. Adesso che eravamo tornati noi mi sentivo come se avessi il potere di tutto il mondo tra le mani. Era quella stessa sensazione che mi aveva portato a splendere di nuovo. Una forza che mi aveva addirittura convinto a fare cose che prima avrei trovato disgustose, come andare a ballare. Eppure eccomi qui, con un bicchiere di whisky tra le mani, immerso tra le risate dei miei amici.
Era questa la vita che mi meritavo. Felice. Spensierata. Senza troppi problemi.
La discoteca pulsava di luci blu e rosse che tagliavano l’aria come lame. La musica rimbombava nel petto, e per la prima volta da mesi non mi dava fastidio: anzi, sembrava amplificare quella leggerezza che avevo addosso. I ragazzi erano tutti lì, ognuno perso nel suo modo di divertirsi. Pietro e Marco discutevano su quale drink fosse migliore, Jacopo rideva per qualcosa che forse aveva capito solo lui, e Dario filmava tutto come se fosse il regista di un documentario su una tribù sconosciuta.
Andrea era al mio fianco, il profumo del suo gin tonica mescolato al suo, e ogni volta che si sporgeva verso di me per dirmi qualcosa mi si bloccava lo stomaco. Era assurdo quanto mi facesse effetto anche un suo semplice movimento.
<<Oh, Dario, andiamo a ballare>> disse a un certo punto, sganciandosi dalla mia spalla con una naturalezza irritante. Dario lo guardò come se gli avesse appena proposto di scalare l’Everest in infradito, ma poi alzò le sopracciglia e sorrise.
<<Solo se paghi da bere dopo.>>
Andrea rise, gli diede una spinta sulla spalla e lo trascinò verso la pista. Li osservai allontanarsi tra la folla, la luce stroboscopica che colpiva i loro profili, e mi resi conto che già mi mancava il suo calore a pochi centimetri dal mio fianco.
Mi voltai verso gli altri, ma ormai ognuno era impegnato a parlare con qualcuno o a perdersi nelle proprie cose. Bevvi un altro sorso, sentii il bruciore familiare scendere giù e mi appoggiai al bancone. La serata stava iniziando a essere confusa, eppure stranamente bella.
Dopo un po’ vidi Erin e Andrea tornare verso di noi. O meglio, barcollare. Andrea aveva un sorriso troppo largo per essere sobrio e Piccolo gli reggeva a malapena il passo.
<<1Ce... ce l’hai un altro drink?>> balbettò Andrea, appoggiandosi di nuovo a me come se fossi un pilastro di cemento armato.
<<Direi che tu hai già dato abbastanza>> risposi, ma la mia voce tradì un mezzo sorriso.
<>Ma io... sto benissimo>> proclamò lui alzando il braccio, come se volesse dimostrare qualcosa al mondo. Sbandò immediatamente di lato e urtò Pietro, che scoppiò in una risata fragorosa.
<<Sì, sì, sei proprio in forma>> commentò Jacopo.
Erin nel frattempo si era seduto su uno sgabello e fissava il proprio drink come se stesse cercando di capire come fosse possibile che fosse ancora pieno.
<<Ballare è una merda>> decretò, con la convinzione di un filosofo ubriaco.
Andrea rise come se avesse appena sentito la barzelletta del secolo, poi si girò verso di me. Aveva gli occhi lucidi, rossi ai bordi, e un’ombra di sorriso che mi faceva impazzire.
<<Vieni con me>> disse.
<<Dove?>>
<<A ballare.>>
Scrollai la testa. <<Lo sai che non->>
Non finii la frase. Mi prese il polso, caldo, forte, e mi trascinò sulla pista come se fosse la cosa più naturale del mondo. Le luci ci avvolsero subito, confondendo i colori e i contorni. Il pavimento vibrava sotto i piedi, e la musica era così forte che non riuscivo a sentire i miei stessi pensieri.
Andrea iniziò a muoversi seguendo il ritmo, ondeggiando con quello stile che gli veniva spontaneo, libero e sensuale senza che se ne accorgesse. Io rimasi qualche secondo immobile, come sempre, poi lui mi si avvicinò. Troppo. Le sue mani scivolarono sulle mie braccia, poi sulla mia schiena, e io sentii il cuore schizzare da qualche parte tra la gola e il cervello.
<<Rilassati>> sussurrò, ma la sua voce si perse nella musica.
Provai a seguirlo, goffo ma deciso. Dopo un po’, grazie anche al whisky che iniziava a bussare forte nella testa, mi lasciai andare. La distanza tra noi si accorciò sempre più, finché non finì per premere la fronte contro la mia.
<<Ti mancavo?>> chiese, con quel sorriso che mi faceva venire voglia di fargli del male e baciarlo nello stesso momento.
<<Forse.>>
<<Forse?>> ripeté lui, fingendo indignazione. Mi strinse i fianchi e mi tirò a sé.
Sprofondai nel suo odore, misto di alcol, sudore e qualcosa che era solo suo. Sentii la testa girare, ma non capivo se fosse colpa dell’alcool o di lui.
<<Mi sei mancato anche tu>> disse, più piano.
Quel tono mi devastò. Era sincero, vulnerabile, e mi colpì come un pugno allo stomaco. Misi le mani sul suo petto, sentii il battito accelerato sotto i miei palmi. Lui mi guardò negli occhi, e fu come se tutto il resto sparisse.
Non ricordo chi si avvicinò per primo. Forse lui. Forse io. So solo che le nostre bocche si incontrarono in un bacio che sapeva di tutto: di rabbia passata, di desiderio trattenuto, di necessità. Le sue mani si intrecciarono ai miei capelli e io lo tirai ancora più vicino, incapace di pensare, incapace di fermarmi.
La musica scomparve.
Il mondo scomparve.
C’eravamo solo noi due.
Non so quanto durò. Forse un minuto, forse un’ora. Quando ci staccammo eravamo entrambi senza fiato. Andrea appoggiò la fronte alla mia di nuovo, respirando pesantemente.
<<Andiamo via>> disse.
E io non trovai nemmeno la forza di chiedergli dove.
Mi trascinò fuori dalla pista, attraverso la folla, verso un corridoio meno illuminato. Le luci erano più soffuse, la musica attutita. Il cuore mi batteva talmente forte che mi sembrava di sentirlo nelle tempie.
<<Sei sicuro?>> gli chiesi, anche se la mia voce tremò in modo imbarazzante.
<<Non sono sicuro di niente>> ammise lui. <<Ma voglio te.>>
Quelle parole mi tolsero ogni resistenza. Il resto accadde in modo confuso, sfocato, come se stessi guardando un film girato male. Ricordo solo mani che cercavano pelle, respiri spezzati, il sapore del suo collo, il suo corpo contro il mio. Ricordo il calore, l’urgenza, il bisogno disperato di sentirlo più vicino possibile.
Poi il mondo divenne nero per qualche minuto, come se qualcuno avesse spento l’interruttore.
Quando la testa tornò a funzionare, ero sdraiato, ansimante, con Andrea che mi stringeva ancora, il respiro caldo contro la mia spalla. L’odore dell’alcool e della sua pelle mi avvolgeva completamente.
Rimasi lì, nel silenzio rotto solo dai nostri respiri irregolari. La testa mi girava ancora, e avevo la sensazione che il pavimento si muovesse insieme a me.
Fu allora che mi scappò. Non lo pensai, non lo controllai, non lo valutai. Semplicemente uscì.
<<Ti amo.>>
Appena lo dissi, spalancai gli occhi. Sentii il sangue gelarsi e scaldarsi insieme.
<<Cazzo…>> mormorai pianissimo, come se potessi rimettere la frase nella bocca.
Andrea rimase immobile per qualche secondo eterni.
Troppi.
Poi sollevò la testa. I suoi occhi erano lucidi, confusi, pieni di quella dolcezza che di solito nascondeva dietro battute e sorrisetti.
<<Duccio…>> sussurrò.
Io chiusi gli occhi, pronto alla catastrofe. <<Lascia perdere, sono ubriaco, non volevo->>
<<Anch’io.>>
Aprii gli occhi di scatto. Lui mi guardava da vicino, le labbra a pochi centimetri dalle mie.
<<Anch’io ti amo, Pepsy>> disse.
Il cuore mi esplose nel petto. Non trovai una risposta. Non la trovai davvero. Lo guardai soltanto, incapace di capire se fosse la verità, se fosse l’alcool, se fosse quello che aspettavo da mesi.
Andrea sorrise piano, un sorriso più fragile del solito, e si avvicinò a darmi un bacio leggerissimo, quasi timido.
<<Domani… ne parliamo meglio>> mormorò.
Annuii, anche se non ero sicuro che il mio corpo avesse davvero eseguito l’ordine. Mi strinsi a lui, cercando di capire se tutto quello che era successo fosse reale o solo un sogno distorto dall’alcool.
Ma il suo respiro caldo contro il mio collo era reale.
La sua mano che mi accarezzava la schiena era reale.
E le parole che ci eravamo scambiati, anche se sussurrate tra il caos e l’incoscienza, erano reali più di qualsiasi altra cosa.
Per la prima volta dopo tanto tempo, ebbi paura.
E allo stesso tempo, non ero mai stato così felice.

SPAZIO AUTRICE
Dovevo pubblicare venerdì, scusate. ALLORA piccoli aggiornamenti scolastici, ho preso 8 a matematica (il mio primo voto sufficiente in 9 anni di scuola) e ho fatto la verifica di latino ma il voto ancora non lo so. Detto questo (che non fregava nulla a nessuno) vi saluto. Notte 🖤🌻

Per sempre vivremo sotto lo stesso cielo// FasterxPiccoloOù les histoires vivent. Découvrez maintenant