PROLOGO

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Dalla pagina del diario segreto di Maddelyne Mordrek, la figlia del traditore Belfhegor Mordrek

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Dalla pagina del diario segreto di Maddelyne Mordrek, la figlia del traditore Belfhegor Mordrek

Quando sei la figlia del traditore del tuo popolo, non ti rimane altro che imparare a sopravvivere nell'ombra, con lo stigma marchiato sulla pelle e il sospetto come compagno costante.

La gente non dimentica, e tu lo sai. Gli sguardi sono taglienti, le parole mormorate come lame che scavano ferite dannatamente profonde e dolorose. Ogni passo che fai è un tentativo di redimerti, ma la redenzione non è concessa a chi porta il peso del sangue sbagliato. Del sangue traditore.

Così impari a muoverti in silenzio, a costruire alleanze invisibili, a osservare il mondo con occhi visibilmente sospettosi, perché essere sempre un passo avanti è l'unica difesa che ti resta. Ma dentro di te qualcosa ha messo delle radici profonde: la rabbia.

E allora decidi. Decidi che non vivrai con le ginocchia piegate sotto il peso delle loro accuse. Sei figlia di un traditore, sì, ma sei anche qualcosa di più. Un giorno, ti ripeti, tutti ricorderanno il tuo nome. E non sarai ricordata soltanto per essere la figlia di un traditore spietato.





Dhiaborry, collegio degli Oscuros

«Quale onore, Ravhovart. Finalmente ci degni della tua presenza.»

«Che posso dire, sorella cara, ad alcuni di noi piace passare il proprio tempo in modo diverso che torturare degli innocui rattacci.»

Ravhovart trascinò indietro la sedia con un lungo stridio acuto, un suono che riecheggiò tra le mura della sala come un'unghia sul vetro. Viperna, la preside del Collegio degli Oscuros, serrò la mascella con evidente irritazione: era già fin troppo contrariata per quel ritardo, e quell'ennesima dimostrazione di strafottenza non fece altro che farla inviperire ancor di più.

La riunione per proclamare le nuove reclute degli Averni era già iniziata da un pezzo, e lui non solo era in un clamoroso ritardo, ma si era presentato addirittura con delle pantofole ai piedi. A sua discolpa poteva soltanto dire che si era appena svegliato dal pisolino più tranquillo di tutti i tempi. Non dormiva mai molto, ma quando succedeva, cercava di approfittarne il più possibile. Stranamente, quando era lontano dalla sua famiglia – da suo padre – il sonno arrivava molto più facilmente.

Quando Ravhovart finalmente prese posto al lungo tavolo, la sorella si protese verso di lui con le labbra strette in una smorfia che di amichevole aveva ben poco.

«Idiota, potevi almeno vestirti decentemente.»

Ravhovart si limitò a sistemarsi meglio sulla sedia e a mostrare un candido sorriso, come se le sue pantofole e la camicia mezza sbottonata non fossero affatto un insulto alla dignità di quell'incontro. Ma, a giudicare dalla scintilla di rabbia negli occhi di Viperna, lo erano eccome.

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