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Thomas🏒



Maggio sta per finire e tra poche settimane mi laureo. Dovrei essere felice ma non è così. Mi manca un pezzo, qualcosa che era essenziale e dove ora c'è solo un grosso vuoto.

Senza di lei mi sento come un albero in inverno; spoglio, arido e senza vita.

Scendo dalla macchina e osservo il grande edificio che ospita la pista di ghiaccio che la mia squadra e le pattinatrici di Haely usiamo per allenarci.

Sono passate diverse settimane da quando ho iniziato a saltare gli allenamenti. Oggi, finalmente, mi sono deciso a tornare.

In relatà sono terrorizzato. Il coach è li dentro che mi aspetta. Non parlo con lui di persona da quando sono scappato quella sera della partita. Quando mia madre ha chiamato e il mondo è crollato.

Gli ho mandato un messaggio chiedendogli se potevo tornare. La sua risposta è stata un freddo "Si. Venerdì alle quattro. Puntuale."

Non il più caloroso dei bentornato.

Non lo biasimo. Mi odia per aver fatto soffrire la figlia dopo avergli promesso che non l'avrei mai fatto.

Dio, mi sento un coglione!

Mi faccio coraggio e muovo il primo passo verso l'entrata. Apro la porta e un vento freddo mi colpisce in volto. L'odore del ghiaccio, dei pattini. Mi era mancato.

-Harrison!- Jacks mi da una pacca sulla spalla. - Come va, amico?- ha lo sguardo preoccupato.

-Sto meglio.-

Insieme percorriamo il corridoio verso gli spogliatoi.

-E' tornato il nostro uomo!- urla il capitano entrando.

Un coro di grida e applausi nasce dai miei compagni di squadra.

Delle mani che battono dietro di noi interrompono l'euforia. Adam, Jacks e Ty mi guardano come se stessi andando al patibolo.

-Ragazzi, fate silenzio.- è il coach. -Il ritorno di Harrison in squadra è fondamentale per vincere il campionato. Dobbiamo impegnarci al massimo, non mollare proprio ora. - mi scocca un'occhiata di ghiaccio. - State lucidi. Ora infilate i pattini e portate i vostri culi in pisata. - batte le mani tre volte per enfatizzare la cosa. -Harrison!- mi richiama. -Dopo vieni nel mio ufficio.-

Detto ciò si chiude la porta dietro e se ne va.

-Amico, sei nella merda.- mi dice Adam.

-Non sto andando a morire. - mi guarda come per dire "si come no" ed ha pienamente ragione. Mi lascio cadere sulla panca e mi prendo la testa tra le mani. -Sono un uomo morto.-

-Almeno ne hai la consapevolezza. - Ty mi da delle pacche rassicuranti sulla spalla che non rassicurano proprio un cazzo!

-Dai, ora non pensarci e andiamo a giocare. Non ti farà nulla finchè ha testimoni. -

-Wow, grazie, Adam, molto confortante.- dico in tono sarcastico mentre infilo i pattini e li allaccio ben stretti.

Indosso la maglia per gli allenamenti e poi dritti in pista.

-Harrison! Concentrati!- mi urla il coach dalla panchina.

Non posso!

Non ci riesco.

Ogni volta che seno senza disco mi perdo. La mia attenzione viene richiamata sugli spalti. Ci sono delle persone sedute, gente che non conosco, ma per me sono vuoti.

Sospiro e torno a giocare.

Jacks mi passa il disco nero, schivo Ty e Mitchel che tentano di braccarmi, pattino verso la porta e tiro.

Goal!

Il primo da quando sono tornato. Che sensazione stupenda! Mi mancava questo sport.

-Ottimo lavoro, ragazzi! Andate a lavarvi e ci vediamo domani.- ci dice il coach fiero mentre andiamo in spogliatoio. -Non tu, Harrison.-

Mi fa cenno di seguirlo.

Deglutisco l'aria. Sono pronto a ricevere qualsiasi punizione da parte sua. Potrebbe essere un pugno o l'espulzione dalla squadra.

Mi tiene la porta aperta mentre entro nel suo ufficio.

E' una piccola stanza con una scrivania di fronte la porta, due sedie sono posizionate da un lato e una in pelle dall'altro.

C'è una teca di vetro dove sono tenuti chiusi e curati i trofei che abbiamo vinto da quando il coach Read è con noi.

Alle pareti bianche sono appesi quadri con dentro foto della squadra. Ci sono addirittura volti che io non ho mai visto, persone, invece, che sono andate via mentre ero al primo anno.

Questo posto pullula di ricordi.

-Accomodati.- dice il coach serio mentre si sistema sulla comoda poltrona.

Mentre mi siedo noto delle foto sulla scrivania. Alcune ritraggono una donna bellissima dai capelli rosso scuro, altre dei bambini che giocano in un prato. Una di esse ritrae una piccola bambina dai capelli rosso vino con un paio di pattini ai piedi. Non avrà avuto più di cinque anni.

La prima volta che Scarlett è andata a pattinare, prima...

-Harrison!- mi richiama l'uomo.

-Si, scusi.- mi riprendo.

-Ascolta. Sono felice che tu sia tornato in squadra, in quanto tuo allenatore. - i suoi occhi si fanno taglienti. - Ma come ti ho detto gia una volta, sul ghiaccio sono il tuo coach, fuori sono il padre della ragazza a cui hai spezzato il cuore.-

Ok, è ora.

-Io non volevo. Sono stato un vero deficiente.- sono davvero a pezzi.

-Modera il linguaggio.- corruccio le sopracciglia. - In questo momento sono il padre di Scarlett, non il tuo allenatore, ricordalo. Niente parolacce.-

-Si.-

-So come ti sei sentito. - addolcisce la voce. - Quando mia moglie è morta e con lei i miei bambini... sono stato malissimo. Sto ancora male. - si corregge. -Quando Scarlett è tornata a casa in lacrime ero pronto per venirti a prendere a calci in culo.-

-Avrebbe fatto bene.- gli confermo.

-Esatto. Ma non l'ho fatto perchè ho capito che non eri solo tu ad averla fatta soffrire, anche io ho la mia bella dose di colpe.-

Bè, questo non me l'aspettavo. -No, sono io...-

-Thomas, ascolta.- non mi ha mai chiamato per nome. -Non fare come me, non lasciarti sfuggire mia figlia. Non avrei mai pensato di dirlo ma... riprenditela. Non fare come me, non lasciarla sola. -

-Mi scusi?- sono sconvolto. Mi ero preparato a urla, insulti, probabilmente un pugno, ma questo no.

-Non l'ho mai vista così felice. Il modo in cui ti guarda... Il modo in cui vi guardate, mi ricorda me e mia moglie.- si alza e mi viene incontro. Mi posa una mano sulla spalla. - Mi hai confessato di amarla.-

-E' l'unica donna che voglio amare.- confesso.

Lui sorride. -Allora vai e riprenditi la tua felicità.-

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