10.𝔪𝔦𝔯𝔢𝔶𝔞

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Non mi fidavo di nessuno. Né di Harven, con il suo sguardo determinato e le sue promesse di libertà, né di Cayden, il principe viziato che giocava a fare il duro. Ma se Harven mi avesse condotta fuori da quel regno, se mi avesse mostrato il mondo che i miei genitori avevano sognato, lo avrei seguito. Senza esitazione.

Non ero una che si tirava indietro davanti al pericolo. La paura non mi apparteneva, non più. Eppure, in quel momento, mentre camminavo alla cieca con una benda sugli occhi, un minimo di ansia mi stringeva lo stomaco. Forse non era paura... forse era solo l'incertezza del futuro.

I miei pensieri vennero interrotti dal suono della voce di Harven.

«State calmi e continuate a camminare,» ci aveva detto quando ci aveva bendati.

Ora sentivo solo i miei passi e il fruscio delle foglie sotto i piedi. Sapevo che eravamo nella Foresta di Ombrafungo. L'avevo percepito dai profumi dell'aria, un mix di umidità e dolcezza che doveva provenire dai luminari, quegli esseri magici che abitavano la foresta. Mi sarebbe piaciuto vederli, ma Harven ci aveva privato della vista, e un pizzico di delusione mi attraversò.

Con la mano destra tenevo la manica della camicia di Cayden. Non era per fiducia – di quella non ce n'era – ma per pura necessità. Il terreno era irregolare, e senza un punto di riferimento sarei finita lunga distesa a terra. Il tessuto della sua camicia mi scivolava sotto i polpastrelli, e ogni tanto percepivo il calore del suo braccio. Era fastidioso quanto rassicurante, anche se mai avrei ammesso una cosa del genere.

Attorno a noi c'era solo il buio per me, ma i rumori riempivano il silenzio. Il fruscio delle foglie mosse dal vento, il cinguettio di uccelli notturni, e un suono lontano che sembrava acqua corrente. Ogni tanto sentivo Harven mormorare qualcosa per guidarci, ma la mia attenzione era catturata dalla foresta che non potevo vedere.

Ad un tratto, Harven alzò la voce. «Fermi, siamo arrivati.»

Cayden si bloccò all'istante. Io, troppo concentrata sul rumore dei miei passi, non feci in tempo a fermarmi e andai a sbattere contro la sua schiena.

«Ahi!» mi lamentai, portandomi una mano al naso.

«Ben ti sta, mostricciattolo,» commentò Cayden, divertito.

«Vaffanculo,» borbottai sottovoce, ma abbastanza forte da farlo ridacchiare.

Potevo immaginarlo sorridere, quella smorfia irritante che mi dava sui nervi. Ma non c'era tempo per discutere. Harven ci fece girare verso una direzione, e la sua voce diventò più seria.

«Dobbiamo scendere delle scale. Piano, non voglio che qualcuno si rompa l'osso del collo.»

Con un tocco sulla spalla, Harven guidò Cayden verso il primo gradino, e io seguii, mantenendo la presa sulla sua camicia. Le scale erano strette e ripide, e ogni passo mi faceva sentire sempre più lontana dal mondo esterno. Era come se stessimo entrando in un altro universo.

Finalmente sentii sotto i piedi un terreno piano. Poi un rumore distinto: una porta che si apriva. Improvvisamente, l'aria cambiò. Il freddo umido della foresta lasciò il posto a un calore accogliente, come se fossimo entrati in una casa.

Dove diavolo ci aveva portati Harven?

«Siamo qui,» disse, mentre la porta si chiudeva con un suono metallico alle nostre spalle.

Prima che potessi fare domande, Harven iniziò a toglierci le bende. Si avvicinò a Cayden e gliela sfilò rapidamente, ma quando si girò verso di me, Cayden lo bloccò con un gesto deciso.

«Lascialo fare a me,» disse, quasi ringhiando.

Harven sollevò le mani in segno di resa e si allontanò, un sorriso divertito che però non arrivava agli occhi.

The prince of shadows: A light in the dark Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora