Capitolo 17

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La prima cosa che faccio scendendo dall'aereo è prendere una bella boccata d'aria sarda. L'aria sull'isola ha un odore diverso, il vento porta con sé profumo di sole, salsedine e macchia mediterranea. È così familiare e accogliente che mi viene da sorridere, e anche il ricordo del bacio con Diego sfuma vinto dalla serenità di essere a casa. Sto già pensando di fermarmi per fare la mia seconda colazione prima di prendere il treno, ma appena esco dal terminal trovo mio padre in attesa con la sua consueta divisa estiva: cappello di paglia, pantaloni corti e camicia di lino, tutto rigorosamente bianco.

«Cosa ci fai qui?» gli chiedo raggiungendolo e lui ridacchia tutto soddisfatto.

«Nonno mi ha detto che venivi, e non potevo certo lasciare la mia bambina a piedi.»

Lo abbraccio forte e rido sulla sua spalla. «Ma pa', ci sono i treni, mica sono a piedi!»

«Eh ma almeno così non prendi troppo sole quando scendi dal treno» dice lui, una delle sue preoccupazioni più grandi in estate.

Vorrei suggerirgli di fermarci per la colazione ma lui si è già mosso verso le macchinette per pagare il parcheggio e armeggia con la tasca in cerca di monetine. «Usciamo alla svelta, altrimenti ci prendono un capitale» brontola contando gli spiccioli. È chiaro che non gli basteranno, ma continua a contare comunque e dietro di noi si crea la fila. «Abbiate pazienza...» si lamenta, anche se nessuno ha ancora detto nulla. Vedo però che comincia ad agitarsi e a rovistare tutte le tasche in cerca del portafoglio, quindi estraggo il cellulare e in un secondo pago con il contactless.

«Dovresti aggiornarti, lo sai?» gli faccio notare, mentre la fila torna a scorrere e noi ci dirigiamo verso la macchina.

Lui scuote la testa. «Non mi fido di quegli aggeggi. E se mi clonano la carta?»

«Come fanno a clonartela dal cellulare?»

«E che ne so, un modo lo trovano.»

«Esagerato.» Rido e mi sorprendo di come la sua ansia costante - che un tempo trovavo penetrante e insopportabile - ora che abitiamo lontani mi appaia quasi tenera. Non è facile crescere con un genitore perennemente in ansia, è come se ti si appiccicasse addosso uno strato di terrore irrazionale per tutto, che condiziona il modo in cui vivi ogni nuova esperienza. Mi ci sono voluti anni per realizzare che quella paura non mi apparteneva, e ho iniziato a capire cosa temo davvero solo una volta arrivata all'università. Ora che tra lui e me c'è un mare, vedo con ancora più chiarezza quanto questa sua caratteristica influenzi lui e le persone che lo circondano.

In questo momento si guarda intorno con sguardo preoccupato, scrolla la testa e borbotta: «Ma dove mi sono parcheggiato?» e intuisco dalla sua espressione abbattuta che nel frattempo deve anche chiedersi se sta invecchiando troppo rapidamente, e se è quello il motivo per cui dimentica cose così banali. È un'altra delle sue paure, quella di soffrire di demenza senile, accentuata dal fatto che il nonno sta cominciando a perdere ora frammenti di memoria.

«Capita sempre anche a me» dico per smorzare la sua ansia, e poi sorrido e mi inoltro nel parcheggio in cerca della sua utilitaria grigia. «Trovata!» gli urlo poco dopo, e lui mi raggiunge tutto trafelato.

Guarda prima la macchina poi me, sul volto gli si dipinge un'espressione timida. «Vuoi guidare tu?» chiede, e so che più che una domanda è una richiesta. Mio padre odia guidare, se l'aeroporto di Elmas non fosse così vicino a casa difficilmente troverebbe da solo la forza per venirmi a prendere.

«Sì, volentieri, mi manca guidare» dico, e in parte è vero. Per quanto io non sia un'appassionata di motori, mi manca l'indipendenza di avere una macchina e di poter scegliere quando e come spostarmi. Devo proprio decidermi e valutare l'acquisto di un usato da portare con me in Toscana, o informarmi su qualche noleggio o car sharing a Pisa.

Amore a prima rigaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora