34. Iris

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And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't wanna go home right now

-Iris, Goo Goo Dolls

Abby

Correvo con le ultime forze che avevo in corpo.

No, non era possibile.

Le lacrime mi stavano bloccando la visuale, ma questo non mi fermò dal correre.

Non appena mamma ci comunicò l'accaduto, io e Josh ci precipitammo sul luogo dell'incidente.

Le luci rosse e blu mi abbagliarono la vista e i suoni mi arrivarono ovattati.

Non sentivo nessuno. Non volevo sentire nessuno.

Qualcuno mi afferrò un braccio cercando di trattenermi, ma le mie gambe ormai avevano vita propria.
Continuavo a correre, correre, correre.

Mi feci spazio tra la folla, spintonando chiunque mi intralciasse la strada.
Non mi accorsi neanche di aver superato il nastro di sicurezza.

Qualcuno mi richiamò, non riuscii a distinguere chi. Ma non mi interessava.

Finalmente lo trovai e per poco non caddi a terra. Le gambe mi tremavano, la vista divenne sempre più appannata e faticavo a far arrivare l'aria ai polmoni.

Osservai il suo corpo inerme venir trasportato su un lettino.

Crollai del tutto.
I singhiozzi mi strapparono via il fiato, tutto quello che possedevo.

No, era tutto finto. Era solo un maledetto incubo.

«Abby, andiamo» mi accorsi della presenza di mio padre solo in quel momento, mentre le sue braccia mi avvolsero per rialzarmi da terra.

«No, devo vederlo. Devo parlargli, dirgli che starà bene. Perché lui starà bene, giusto?» mi dimenai, tentando di correre via da lui.

«Non c'è più niente da fare, Abby».

La testa mi vorticava, dovetti sorreggermi a mio padre per non cadere nuovamente sull'asfalto. «Papà, dimmi che è uno scherzo».

Ma lui non disse nulla, si limitò a stringermi a sé.

Ma un abbraccio non servì a tenermi assieme. Mi ero appena frantumata in mille pezzi.

Non poteva essere vero, tutto quello era solo un fottuto incubo.

Quel corpo non era di Dave.
Quella macchina distrutta non era la sua.
Tra poco mi sarebbe arrivato un suo messaggio, rassicurandomi che andasse tutto bene, che tutto quello non era mai accaduto.

Mi aveva promesso di restare sempre al mio fianco, non poteva andarsene.

Tremai tra le braccia di mio padre, mentre un macigno enorme mi schiacciò il petto.

Come avrei fatto a sopravvivere senza di lui? Come sarei riuscita ad andare avanti senza un suo abbraccio? Senza il suo buongiorno o le sue continue provocazioni?
Senza di lui al mio fianco anche solo respirare mi sembrava impossibile.

Ma la pugnalata vera, quella più dolorosa, arrivò subito dopo: non l'avevo salutato. Non gli avevo detto che lo amavo un'ultima volta. L'ultima cosa che avevo fatto era stata urlargli contro.

Magari, se non me e fossi mai andata da quella casa, lui sarebbe ancora lì, con me, a stringermi come aveva sempre fatto.

Era colpa mia.
Colpa mia.
Solo mia.

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