Capitolo 5

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In volo, seduta nella mia minuscola poltrona accanto al finestrino, ho finalmente il tempo di ragionare sul nuovo progetto che mi aspetta. Il tempo e la necessità, va detto. Ancora non ho deciso quali saranno le mie proposte per il lato fantasy e un'ora e passa chiusa dentro una scatola minuscola che si solleva da terra è la situazione ideale per far viaggiare la fantasia e fuggire per un po' dalla realtà.

Taccuino e penna alla mano, butto giù tutte le idee che riesco ad acchiappare, lasciandomi ispirare dalle volute di nuvole che passano accanto al finestrino, dai volti addormentati dei passeggeri che riesco ad adocchiare dalla mia posizione, dalle voci delle hostess e degli steward che ogni tanto irrompono a spezzare il basso ronzio dei motori.

Perfino la mia claustrofobia si tira indietro davanti alle seducenti promesse della fantasia. In poco tempo riempio paginate di proposte e cancellature: scarto subito fate, demoni e compagnia mainstream, che ho sempre trovato banali e prevedibili. Mi soffermo invece sulle driadi, figure di guerriere che vivono in simbiosi con la natura, in un incontro tra fantastico e mitologico che riecheggia alcuni degli studi fatti all'università.

Un po' mi manca, seguire le lezioni e studiare dai manuali di letteratura, ed è anche grazie agli stimoli ricevuti a Lettere che sono riuscita a scrivere la mia trilogia. Ma l'ansia degli esami, quella non mi manca di certo, e sono contenta della mia scelta di non continuare il percorso universitario. Nulla mi fa sentire bene come far viaggiare liberamente l'immaginazione.

Quando l'aereo atterra a Elmas, ho già raccolto numerosi stimoli visivi, frammenti di scene che mi saranno utili per delineare un outline e capire dove voglio far andare questa storia. Sempre che l'intervento di Diane Vane non vanifichi tutto il mio sforzo.

Attendo pazientemente di poter scendere dall'aereo e domino l'ansia chiedendomi come sarà lavorare con una scrittrice il cui unico focus narrativo sembra essere l'amore. Di lei non ho ancora mai letto niente, ma ho intenzione di sfruttare queste due settimane per farmi una cultura dei suoi scritti, ed essere così pronta a ribattere a tono a eventuali proposte di accoppiamenti insensati ai fini della trama.

Mentre sono in treno continuo a immaginare le discussioni che mi aspettano e quando arrivo in Piazza Matteotti sono le undici e mezza e io ho già una gran fame. Sulla strada mi fermo in panetteria e compro una busta di focaccine, l'idea sarebbe quella di offrirle anche ai miei ma a casa ne arrivano meno della metà. Mi fa sempre questo effetto, volare, invece che chiudermi lo stomaco mi stimola la fame in maniera indecente.

Quando giro la chiave e apro la porta con un felice «Ehilà!» mi accolgono solo il silenzio e un buonissimo odore di sugo, molto simile a quello che aleggiava in casa di Nino. Poggio la busta di focaccine sul mobile dell'ingresso, mi tolgo le scarpe e vado in cucina, sul fuoco gorgoglia una pentola abbandonata e una fitta di preoccupazione mi assale. Abbasso il fornello e giro per casa in cerca del nonno, che a quest'ora dovrebbe essere l'unico presente. Lo trovo nel giardino sul retro, chino sul vaso dell'aloe, e mi tranquillizzo.

«Nonno, ciao» dico, e lui si alza lentamente a guardarmi con un grande sorriso sul volto.

«La mia nipote preferita» dice, venendomi incontro con una foglia d'aloe in mano. Mi abbraccia forte mentre fingo di protestare: «Ma nonno, queste cose non si dicono. E gli altri nipoti?» e lui ridacchia con me. «Shhh, non serve che lo sappiano.»

Si porta pure un dito alle labbra ed è proprio buffo, con ancora il pigiama addosso e quell'aria da nonnino indifeso.

«Hai lasciato il sugo abbandonato» dico, facendo filtrare mio malgrado la preoccupazione.

Lui scrolla la testa con noncuranza. «Appena due minuti, non gli succede niente.»

Rientriamo in casa e lui ha cura di togliersi le scarpe da fuori e mettersi le ciabatte, per evitare di beccarsi i rimbrotti di mia madre.

Amore a prima rigaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora