gente, vogliamo i commenti per l'assurdità di questo capitolo.
Non sapevo come fosse successo, come fosse possibile o come ci fossimo anche solo avvicinati a questo livello di assurdità, ma potevo dire per certo che stavo mangiando latte e cereali mentre guardavamo Ru Paul's Drag Race.
«Io sono sconvolto e sbigottito. Raven meritava di vincere, era la bitch per eccellenza!» disse Louis in un lamento.
Guardai triste lo schermo mentre Tyra veniva incoronata. «Mai parole furono più vere.»
«Ru, mi stai simpatica, ma che cazzo hai fatto tesoro.»
Annuii approvando le sue parole, intanto mi riempii la bocca con l'ennesima cucchiaiata di latte e cereali. Paradisiaco.
«Lou, la senti questa puzza di bruciato?»
Louis sembrò sentirsi spaesato per qualche manciata di secondo, poi allargò le narici e prese ad annusare. «Ora che me lo fai notare, hai ragione.»
Rimanemmo a riflettere per qualche secondo, finché non mi ritornò in mente un dettaglio. «Louis, la canna?!»
Mi guardò subito con uno sguardo spaventato e si guardò intorno, non riuscendo apparentemente a trovarla. Anche io mi misi a cercare con lo sguardo, finché non vidi una piccola nube di fumo provenire da dietro Louis, mi sporsi leggermente e riconobbi la canna buttata sull'angolo del tappeto. Quest'ultimo si stava bruciando. Lou non fece in tempo a realizzare, che io presi la mia ciotola di latte e cereali ancora mezza piena e la rovesciai sul piccolo incendio che si era appiccicato sul bordo.
Entrambi facemmo un grande sospiro di sollievo quando capimmo che l'incendio si era spento. «Quel tappeto deve sparire» disse.
«Dio ci ha mandato un segno di consenso: anche lui pensa che doveva vincere Raven» commentò l'accaduto, mettendola sul ridere.
Sbuffai, «Dio non esiste, Louis.»
In tutta risposta, alzò un sopracciglio e si alzò in piedi, per poi girarsi.
«Tesoro, questa meraviglia non può che essere opera di Dio» esclamò, indicandosi il fondoschiena.
Scoppiai a ridere, non potendo controbattere.
Il tempo passò velocemente e ci trasferimmo al piano di sopra dopo il casino che avevamo creato al piano terra. La sola idea di sistemarlo il mattino seguente mi fece sanguinare gli occhi. Serviva un miracolo. Accarezzai i capelli di Louis, quest'ultimo dopo aver fatto il karaoke di tutta la discografia delle Spice Girls, era crollato e s'era addormentato con la testa sulla mia pancia. Feci un respiro profondo. Mi scappava la pipì.
Sollevai leggermente la sua testa per sgattaiolare fuori, una volta fatto, mollai la sua testa.
Rimasi così tanto sul water che quando mi alzai, vidi al riflesso dello specchio tutte le tracce rosse della tavoletta sulle cosce. Ottimo. Presi il telefono che avevo in tasca e decisi di chiamare Harry. Chissà com'era andata la giornata con Niall. Guardai l'orologio, 4:31 AM. Orario perfetto per importunarlo.
Dopo aver avviato la chiamata, ci volle poco perché una voce roca rispondesse.«Arabella, ma che diavolo?» disse confuso Harry, per poi sbadigliare malamente.
«Nono, io non sono Arabella, io sono Arafatta.»
Il tono della sua voce cambiò, passando dall'addormentato al serio. «Che ti sei fumata? E non sono sarcastico.»
«Booooh» risposi facendo spallucce, scoppiai a ridere. Guardai lo schermo con un cipiglio. Obama?
«Horry, Obama mi sta chiamando, devo riattaccare! Ti richiamo più tardi» esclamai, balzando in piedi. Sentii più volte dire "no" prima di chiudere la chiamata e accettare quella di Obama.
«Pronto? Presidente? Se vuole darmi una medaglia, sappia che ormai sono passate di moda, questo meme è morto e sepolto!»
In risposta partì una piacevole melodia nel mio orecchio, allontanai di scatto il telefono e strofinai gli occhi con una mano. Riconobbi l'app della musica che avevo sul mio cellulare, la canzone che c'era era la nona sinfonia di Beethoven. Sbattei più volte le palpebre. E Obama?
«Oh beh...» in men che non si dica, mi ritrovai a twerkare prepotentemente sulla sinfonia. Mossi la testa e sculettai senza ritegno tra una risata e l'altra. Le discoteche sarebbero state più belle se avessero usato questo genere di musica. Non seppi per quanto twerkai, anche se il telefono indicava nove minuti e trentasei trentasette trentotto trentanove quaranta quarantuno secondi, ma sentii il campanello suonare più volte, come se qualcuno avesse schiacciato il campanello senza togliere il dito. Corsi giù – quasi cadetti all'ultimo gradino – e aprii la porta senza guardare dallo spioncino, tanto non ci arrivavo.
«Harry?» inclinai il viso, ritrovandomelo davanti. Pareva nervoso... più del solito.
In tutta risposta, fece dei movimenti guizzi e mi caricò sulle spalle senza che gli dessi il permesso. «HARRY» urlai a pieni polmoni. Quest'ultimo mi diede una pacca sul polpaccio. Non mi interessava se avessi svegliato l'intero vicinato, doveva lasciarmi andare.
«Oh, andiamo! E la porta? Non possiamo lasciarla aperta. Potrebbero entrare i ladri e fare del male a Louis!» spiegai, in realtà volevo solo una scusa per tornare in casa il più veloce possibile. Harry mi scaricò sul sedile del passeggerò e chiuse la portiera, attivando poi anche la sicura.
«Bastardo» ringhiai. Sorrise, probabilmente aveva capito il labiale. Tornò indietro alla porta e si guardò intorno, forse cercava una chiave di riserva che nascondeva la famiglia di Louis. Salì con un piede sul bordo del vaso in ceramica e allungò le braccia fino alla grondaia del tetto. Da lì sembro estrarne una scatoletta. Aveva trovato la chiave di riserva. Chiuse la porta di casa di velocemente e poi ripose la chiave nel suo posto. Tornò in macchina, ammonendomi con lo sguardo. Una volta entrato, sbatté la portiera chiudendola. Si girò a guardarmi e potei dire che il suo sguardo non si limitava ad avere lo scopo di ammonirmi, c'era di molto peggio dietro di esso. Mi sentii spoglia di ogni maschera, come se fossi stata nuda sotto gli occhi del mondo, eppure erano solo un paio di occhi quelli che mi stavano fissando, ma mi fecero sentire come se fossero stati mille. La mia mente iniziò a ragionare più lucidamente, forse perché il divertimento era finito ed era rimasto solo il disagio che provavo in quel momento.
Harry sembrò sul punto di dire qualcosa per svariate decine di secondi, chissà cosa stava accadendo nella sua mente. Dio solo sapeva quanto avrei voluto saperlo e fronteggiare qualsiasi cosa essa fosse. Ma l'unica persona disinibita e privata di ogni arma ero io in quel momento, non c'era alcuna traccia di scontro alla pari. Harry serrò la mascella, arrabbiato probabilmente, e mise in moto la macchina. Io rimasi a fissarlo anche se ormai il suo sguardo era rivolto alla strada. Forse era il miscuglio di emozioni che avevo provato in una sola notte o chissà cosa, ma la mia vista si era appannata e non seppi se fosse per colpa dell'erba che aveva ancora effetto su di me o le lacrime.
«Non ce la fai proprio, vero? Non ce la fai a trattenerti dal guardarmi come se non valessi neanche una frazione di secondo del tuo tempo, come se fossi inferiore a te, come se non ti importasse della persona che in realtà sono perché troppo occupato a soffermarti sulle mie azioni più superficiali.»
Non disse niente, il suo profilo rimase impassibile per tutto il resto del viaggio, quando arrivammo e quando entrammo in casa. Aveva provato ad aiutarmi ad uscire, ma avevo spostato di scatto la mia mano, sicura di avergli regalato l'espressione più disgustata che potessi creare.
Chiusi la porta alle mie spalle, Harry era di qualche passo più avanti. Si fermò di colpo, per poi girarsi. La casa era buia e l'unica fonte di luce rimanente era quella della luna che passava attraverso le finestre. Ed era strano, ma più lui stava zitto e ignorava quello che dicevo, più mi caricava e mi dava la spinta per avvicinarmi a lui, ritrovandomi a pochi centimetri dal suo corpo.«Sono più di quel che vedi, Harry» dissi a bassa voce, mi allungai leggermente e feci collidere le mie labbra alle sue.
okay, sono quasi certa che non riuscirò mai a scrivere un capitolo migliore di questo per questa storia.

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Babysitter ➵ h.s.
Fanfiction«Vedi, Harry, io non sono proprietà di nessuno, men che meno tua. Ho una vita e non la butterò nel cesso solo per soddisfarti. Cosa che del resto puoi fare benissimo da solo, con una mano, nel bagno più vicino.» © cercandounnickname, 2015/2017