Accaressami l'anima, Albergomi il cuore

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Era una calda domenica di luglio e come ogni domenica si giocava la partita. Caressa e Bergomi lo sapevano bene. Del Pallone ne avevano fatto una carriera e quella sera, come tante altre prima, sedevano fianco a fianco nella piccola cabina che veglia sullo stadio di San Siro per fare la solita arguta telecronaca.

"Gattuso, si avvicina alla porta, passa al suo amico, ma cosa succede! La palla è intercettata dai nemici!", Caressa commentava a perdifiato. E quando gli mancava del tutto interveniva Bergomi, che con una pacca sulla spalla e un sorriso d'amico, prendeva le redini per dargli tregua: "I nemici risalgono verso l'altra porta, non quella più vicina, sarebbe stata una mossa troppo prevedibile, ma quella dall'altra parte del campo!"

C'era un'intesa tra i due commentatori che non poteva essere negata. Con quel modo di fare amichevole sapevano spiegare concetti anche molto complessi come la ragione per cui il portiere ha una maglia diversa dai compagni (è per confondere gli avversari) e se questo non lo faccia sentire un po' escluso. È così che i due si erano guadagnati un posto d'onore sui sofà degli italiani dove erano accolti con l'affetto riservato agli amici di vecchia data.

Quella sera in particolare c'era poco da spiegare e la partita non era un granché. Si scontravano il Barcellona e il Real Madrid per vincere qualche premio. Caressa e Bergomi facevano di tutto per ravvivare il mortorio e certo facevano bene, ma di quel passo anche gli occhi spalancati dello 0-0 avrebbero ceduto al sonno. Poi avvenne una cosa splendida. Era Caressa che in quel momento si occupava della cronaca.

"Totti, la passa al compagno ma.... è NERO! Amici da casa, che formidabile esempio di antirazzismo. Anche oggi il gioco del Pallone abbatte le barriere che provano a dividerci. Sul campo non importa il colore della pelle, solo quello della maglia!"

Per la commozione gli si spezzò la voce allora Bergomi intervenne con prontezza. Il suo tono tuttavia non era altrettanto concitato e anzi appariva infastidito: "Certo Fabio, è proprio vero, le discriminazioni sono una cosa orribile. Pelle, maglia, orientamento sessuale... nessuno si merita di non toccare palla..."

Seguì un breve silenzio, poi la telecronaca riprese senza intoppi.

A partita conclusa le luci si spensero nello stadio e nella cabina. Caressa e Bergomi tornarono ad essere Fabio e Beppe, non più colleghi, ma amici e forse qualcosa di più.

"Potevi risparmiartela la frecciatina sull'orientamento sessuale", attaccò Caressa dopo essersi assicurato che i microfoni fossero spenti.

"Potevi risparmiarti la tua sporca ipocrisia", ribatté Bergomi ferito.

La fitta penombra, punteggiata dai led degli interruttori, rendeva il piccolo spazio ancora più angusto. Su quel palco, Caressa e Bergomi si fronteggiavano come ombre cinesi.

"Te l'ho detto tante volte, non possiamo permettere che la gente sappia, il Pallone è un gioco senza pietà! Vuoi perdere il lavoro? Spezzare il cuore agli italiani? Lo sai bene quanto me! Certo, all'inizio ci diranno coraggiosi: titoloni sul coming out, inviti nei programmi di gossip, un lungo speciale con Franca Leosini, ma ben presto diventeremo delle macchiette. Guarda cos'è successo a Cecchi Paone! E al posto che alla partita, la domenica, finiremo dalla D'urso. Già me lo immagino! Andiamo a Berlino Beppe! Sì... ma ai sex party!"

Mentre pronunciava queste parole, il tono di Caressa - che era un grande appassionato di tv trash italiana - passò da arrabbiato a sfinito. Bergomi intanto, non potendo sopportare di vederlo così (e trovando questo suo lato torturato un po' arrapante) si avvicinò piano, fino a prendere il suo volto tra le mani.

"Fabio. Guardami. Capisco. Scusa."

Quattro parole e una bugia. In realtà Bergomi non capiva, ma lo amava, e tutto quell'amore si leggeva nel suo sguardo. Allora Caressa non poté che andargli incontro e andandosi incontro l'uno con l'altro, come tante notti prima di quella,

si baciarono,

nella cabina buia, dove si poteva.

Barbe ispide, per labbra di seta

sospirando note

da tacere in curva.

L'aveva scritta Bergomi questa poesia, la notte prima del loro primo bacio. Sua moglie Barbara dormiva nel letto king size in cui da tempo non facevano più l'amore. Lui che invece non riusciva ad assopirsi si era alzato e seduto al tavolo della cucina aveva trovato il coraggio di mettere in versi ciò che provava. Il giorno dopo l'avrebbe messo in atto, ma col respiro mozzato dall'ansia e le ginocchia tremanti, quel primo bacio era andato assai diversamente da come l'aveva immaginato. Caressa, dopo l'iniziale rifiuto, si era lasciato travolgere e ben presto l'impaccio iniziale si era trasformato in uno sfogo di violenta passione carnale.

Quella notte di luglio, invece, i versi calzavano a pennello1. Ronzavano nella mente di Bergomi mentre con le labbra lambiva il lobo dell'amante e con le mani ne accarezzava il fulcro. Quando ebbero finito di fare l'amore, nudi e abbracciati sul pavimento, Bergomi recitò la poesia a Caressa.

"Ti piace?", domandò con la voce di un bimbo.

"Ma non avevi detto che era una poesia? Non ha nemmeno le rime..."

Caressa non era un grande intenditore di letteratura. La sua poesia preferita, dopo tutto, era Vesuvio erutta, tutta Napoli distrutta. Bergomi prese la sua risposta come uno scherzo, rise e gli diede un bacio.

"Ma amore, le poesie non sono sempre in rima..."

"Quelle belle sì, però. Per esempio, Po po po po po po po è la poesia più bella di tutte, proprio perché ha le rime perfette. La tua invece sembra più un incantesimo che una poesia, non pensi? Chissà magari sei un mago in tutti i sensi, non solo delle pompe."

Bergomi arrossì. Incastrò il viso nel collo dell'amante e lasciò cadere il discorso. Quelle parole però rimasero con lui. Se fosse stato un mago sapeva cos'avrebbe fatto. Avrebbe scritto un incantesimo potentissimo e l'avrebbe recitato ai microfoni durante la Coppa del Mondo. In questo modo lui e il suo amore avrebbero vissuto liberi, finalmente.


1 wink

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