Capitolo 1

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In ogni individuo c'è una specie di desideri:
pericolosa, selvaggia e sfrenata, che si manifesta nei sogni.
Platone, La Repubblica


1° GIORNO - ORE 12:00

  L'assassino era in piedi di fronte alla finestra e guardava il campanile di una chiesa, ma in realtà guardava un vecchio ricordo; un ricordo che a sua volta sembrava guardarlo da laggiù, dai merli della torretta.
  Dietro di lui c'era Silach, svenuto e ferito alla testa; braccia e gambe erano saldamente legate a una sedia con del nastro adesivo grigio. Come riprese i sensi, cercò subito di liberarsi, ma invano. Allora si guardò intorno, mezzo intontito.
  La grappa di rose sul tavolo barocco gli arrivò dritto in bocca e la gustò tra la lingua e il palato. Il mouse del portatile aperto sulla scrivania in teak lo sentì nella mano, che si mosse per salvare un documento di testo. La pelle del divano Camaleonda, sul quale aveva passato la notte, gli riempì le narici, e solo allora realizzò di trovarsi nel proprio lussuoso salotto.
  «Perché mi hai colpito?» Il sangue sgocciolò giù dal mento, una goccia per ogni parola. «Chi diavolo sei? Che vuoi?»
  Tentò di strappare il nastro a morsi, ma senza riuscire nemmeno a sfiorarlo, e cadde di lato con tutta la sedia, urlando frustrato a denti stretti.
  A quel punto l'assassino si volse verso di lui — indossava una maschera, la faccia di Lala, la Teletubbies gialla — e svelò la propria identità solo dopo averlo fissato per alcuni secondi, lasciandolo a bocca aperta.
  Quegli occhi, non più dietro la maschera, sembravano però occhi di maschera, fissi nel vuoto, color di confine, tra il triste e lo spietato, il passato e il presente.
  «Tu?!»
  «E chi, se non io?»
  «Ma perché?»
  «Perché, mi chiedi?» Sopracciglia e labbra inarcate, l'assassino sembrò riflettere, ma sapeva fin troppo bene cosa dire. «Perché quando non puoi più vivere non ti resta che sognare. Ma quando non puoi più nemmeno sognare... non ti resta che questo.» Con deliberata lentezza, estrasse dal bomber nero un coltello da cuoco, lungo, pesante, con il manico rosso. «Non ti resta che uccidere.»
  «Ma che razza di scherzo è questo?»
  «Ti sembra uno scherzo?» Si avvicinò a Silach e si piegò sulle ginocchia; gli anfibi di pelle cigolarono. Poi, gli occhi socchiusi a scrutarlo dall'alto, gli punse la guancia con la punta della lama fredda. «A me sembra invece molto affilato.»
  «Pauli! Carlsen! Uscite fuori. Non mi diverto affatto.»
  Silach aveva capito subito che non si trattava di uno scherzo, ma non gli restava che quella speranza involontaria, e non gli riuscì più di tenere ferma la testa.
  Gli oggetti che metteva a fuoco sparivano subito, neanche li riconosceva. Non vedeva che ricordi, veloci, uno dietro l'altro: gli anni dell'università sfilavano al posto della libreria ad angolo; il primo processo e tutta la sua carriera, al posto del piccolo martelletto in oro massiccio; le settimane di astinenza da nicotina, al posto del robot di pacchetti vuoti di sigarette.
  Fu così per ogni cambio di sguardo, ma poi tutto si condensò in un pensiero: allora è vero che... prima di morire la vita ti passa tutta davanti agli occhi.
  «Credi davvero che si siano nascosti? Sì, in qualche modo hai ragione, si sono nascosti... proprio come te.» L'assassino tirò su Silach. «Ma il problema è che nessuno di loro verrà a salvarti. Come non sono venuti a salvare me.»
  «Salvarti?! E come? Sei tu che...»
  «Con un atto di coraggio, ecco come.» Faccia bassa e desolata, si girò a guardare di nuovo il campanile della chiesa, quel vecchio ricordo che lo guardava a sua volta. «Un piccolo... semplice atto d'amicizia.»
  «Stai delirando.» Assieme al sangue, adesso gocciolavano anche le lacrime, ma queste non si potevano contare. «Non stai bene.»
  «Tu invece stai bene?» Rabbioso, l'assassino si volse verso Silach. «Riesci a dormire la notte?»
  «Non sei in te! Saranno i farmaci. Nella flebo c'erano anche...» Silach si interruppe, perché l'assassino era balzato alle sue spalle.
  Gli afferrò quindi i capelli, li tirò forte e accostò la lama al collo ben disteso, come se impugnasse un violoncello, ma poi lo fissò in un momento d'esitazione, e un brillantino di commozione balenò in quegli occhi al limite.
  «Ti prego, non farlo!» implorò Silach come un ventriloquo, solo che lui sembrava il pupazzo.
  Di nuovo un'altra speranza senza speranza, e infatti, come fece per dire altro, la lama corse sul collo, da giugulare a giugulare, come l'archetto, da corda a corda.
  Poi, mentre la gola gorgogliava, tra lacrime e sangue, l'assassino cacciò una spina dalla tasca, tagliata da un elettrodomestico a caso, e gliela ficcò in bocca.

Sogno vendetta. Alla fine dei sogni... inizia l'incubo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora