In quella stanza

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Finalmente ero riuscito a ficcare una videocamera nell'occhio di quel maledetto ornitorinco imbalsamato, nella sua camera da letto.

L'ho amata appena l'ho vista. Aveva quindici anni, io diciassette. La sottile maglietta nera primaverile le avvolgeva il ventre e i seni così sobriamente, che solo io perverso provai fremiti libidinosi.

Erano passati dieci anni. Io continuavo ad amarla in segreto: osservandola dalla finestra, dai socials, intercettando le sue chiamate, seguendola. A volte mi nascondevo nella sua cantina. E dopo tanto tempo, in quel momento, potevo vedere in diretta il suo letto. Le lenzuola panna dai ricami floreali verdi e blu notte. La porta del bagno sul lato sinistro della stanza.

Brividi d'eccitazione mi percorsero.

Guardai l'orario digitale.

Attesi. Gli occhi fissi sullo schermo.

La vidi all'improvviso. Senza impermeabile, l'aveva lasciato all'ingresso probabilmente. Una gonna attillata. Un dolce vita pallido le avviluppava il collo. Staccai le dita dalla tastiera e abbassai le mani. Si tolse le scarpe. Avevo la vista quasi annebbiata, vorticante. Tremavo.

Era perfettamente inquadrata, al centro della stanza, ai piedi del letto. L'ornitorinco stava sopra la televisione su un basso mobile colmo della sua biancheria. Lo sapevo, lo avevo aperto. Quanto mi era apparso fuori luogo lì dentro, e adesso lo amavo quel mio complice posizionato nel posto perfetto. Dando le spalle all'occhio traditore del guscio d'animale, abbassò la zip della gonna che si accartocciò velocemente sul pavimento. Rimase solo il sottile nylon a separare i miei occhi affamati dalle sue gambe. Fu la volta del collo alto, che tolse più rapidamente. In reggiseno e collant si voltò verso la telecamera, inconsciamente. Un attimo parve durare ere. Lei si muoveva meccanicamente, si tolse gli ultimi indumenti con lo sguardo basso. I suoi seni erano rivolti verso di me mentre per la prima volta potei ammirarla nella sua naturale forma.

L'apogeo della mia inutile esistenza da ratto nascosto!

Nei momenti di lucidità mi rendevo conto dell'orrore in cui affogavo, dell'ignominia di cui mi coprivo. Ma in quei minuti vedevo solo la sua flessuosa femminilità.

Si voltò, per raggiungere il bagno e si fermò sulla soglia. Io mi angosciavo turpemente nell'estasi di quella visione curvilinea e lucente, sapendo che presto sarebbe scomparsa nell'oscurità di quella piccola stanza fuori dal campo visivo della telecamera. Però lei non si mosse. Attesi ansimando. Si voltò di tre quarti, piegò i gomiti e si mise le mani sul petto. Mi concentrai su quell'immagine, imprevedibile. La testa china sui suoi pugni giunti sotto le clavicole.

Un movimento repentino e sembrò conficcarsi le unghie nella carne. Fu proprio così perché riversò il capo all'indietro e vidi come le falangi erano sprofondate nel petto. Non c'era sangue. Mi bloccai percorso da un brivido di terrore e non d'eccitazione. Allontanò le mani tra loro e dal petto, trascinando con sé uno spesso strato di derma. Una buccia che tolse via come fosse un cappotto. Senza versare sangue: era un cobra che fa la muta. Immaginai di sentire il suono di lacerazione e rabbrividii. Divincolandosi da quella pergamena che un tempo avevo desiderato ferocemente, si mosse un'altra creatura: incartapecorita, le mammelle cadute, ragnatele e crepe su quel corpo incurvato e vinto dal tempo e dalla gravità. Il cuore mi esplodeva nel petto, la pelle sudava. Come possono manifestarsi così similmente l'orrore e l'eccitazione?

Gemetti.

La vecchia alzò la testa verso la telecamera, e la fisso.

La distanza che mi salvava da lei svanì. Con quella donna nuda, coi piedi circondati dai resti di quel perfetto manto che l'aveva nascosta, ripensai a quell'orrendo ornitorinco imbalsamato. Pensai: uno specchio per le allodole. 

In quella stanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora