LA DATA - feb 2019/mag 2019

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Non riuscii a resisterle neanche quella volta e, anche se continuavo a pensare a Raissa, tanto da desiderarla lì al suo posto, non rifiutai la sua proposta e decidemmo la data: 11 novembre 2019.

Bella data, pensai con sarcasmo quando me la propose, ma feci, come ormai era consuetudine, buon viso a cattivo gioco.

Passammo i mesi successivi a organizzare l'evento e, preso dalla frenesia del momento e dalle sue curve che sembravano migliorare giorno dopo giorno, cominciavo a pensare meno frequentemente alla sua ex amica, per vedermi sempre più nei panni dell'uomo accasato con una fica pazzesca, che magari sarebbe diventata anche la madre dei miei figli, che non vedeva l'ora di accudirsi di me e che le piaceva fare l'amore, come nessuna era in grado di fare.

Questo però continuava a condizionare il mio umore, anche se non saprei dare una vera spiegazione a tutto ciò.

La sensazione era simile a un qualcosa che ti consuma internamente, che ti dilania l'anima e ti sporca a ogni sguardo, a ogni sì, a ogni sigaretta modificata, a ogni centimetro di pelle che mi era capitato di leccarle, in questi ultimi 3 anni.

Fortunatamente, o almeno così pensavo a quel tempo, durante il periodo di organizzazione del matrimonio, Elisa trovò lavoro come segretaria, in una società di servizi per chi cerca un impiego, così avevo la possibilità di passare un po' di tempo in solitudine.

Era qualcosa alla quale ero abituato, prima di conoscerla, ma da quando c'era lei in casa non avevo più avuto la possibilità di godermi un po' di relax in assenza di persone intorno a me. Era qualcosa che mi resi conto mi mancava tanto e mi servì a ritrovare l'equilibrio mentale del quale mi ero sempre vantato.

Lei usciva dopo di me la mattina ma rientrava più tardi, così avevo tutto il tempo di stare al pc, guardare la tv o ascoltare a mazzetta i Daft Punk, che lei cominciava a far finta di non sopportare più.

Un giorno, non credo che me lo toglierò mai dalla testa, tornai a casa più tardi, a causa di problemi sul lavoro e un autobus rotto, che mi aveva fatto perdere parecchio tempo. Lei era già rientrata e, quando varcai la porta, trovai una situazione completamente paradossale, alla quale reagii rimanendo immobile, come se avessi incontrato lo sguardo di medusa: Elisa era semi nuda ed indossava solo un tanga nero scosciatissimo, degli stivali alti fino al ginocchio ed il casco dorato di uno dei Daft Punk. Casco che avevo pagato tantissimo, su un sito online. In sottofondo "Within", brano con il quale riuscirebbe anche Danny DeVito a sembrare sexy.

Io non potevo crederci. Era qualcosa di troppo strano ma anche estremamente eccitante e, ovviamente, non mi feci attendere troppo, con lei che mi richiamava, invitandomi con l'indice ad avvicinarmi.

Mi passò sulle labbra la lingua, non appena accostatomi a lei, per poi passarmici sopra un dito, sul quale aveva messo una sostanza fresca e quasi piccante, che leccai con foga. Capii immediatamente si stesse trattando di una qualche sostanza chimica, una droga, non so di preciso cosa fosse, ma in quel momento mi sarei fatto anche uccidere da lei tanto la volevo.

Le tolsi il casco e lei si avvicinò: "Ti amo" mi sussurrò all'orecchio e io, per la prima volta in tre anni, la guardai profondamente, a distanza ravvicinata tanto da sfiorarci i nasi e, tenendole con la mano il collo e parte del mento, confessai di amarla anche io. Sì, era la prima volta che le dicevo quelle parole e era anche la prima volta che capii che il suo amore, per quanto malato, per quanto ossessionante, era sincero, era vero.

Ci baciammo profondamente e facemmo l'amore. Il miglior sesso mai fatto in assoluto; un'esperienza che non può avere pari con nessun'altra, neanche se mi presentassero due o tre ragazze professioniste nel far godere un uomo, potrei metterlo su un piano simile; fu qualcosa di estremamente superiore a qualsiasi altra volta passata e successiva, senza ombra di dubbio.

"Sei illegale", le ripetevo continuamente mentre i nostri corpi si incastravano perfettamente, si mischiavano e si legavano. Le prendevo le mani e adoravo passarle la lingua tra le dita, aveva delle mani stupende; me le sognavo di notte, le toccavo spesso, le cercavo nel letto e la obbligavo a usarle su di me. Le mani e il culo. Aveva un culo pazzesco. Mi faceva male la testa e sentivo il naso pulsare dalla pressione che saliva, al solo pensarlo. Penso di averle fatto centinaia di foto a quel culo, tanto che saprei disegnarlo anche con una matita tra i piedi. Era perfetto.

Da quella volta la nostra canzone divenne proprio "Within" e la mettevamo spesso durante l'intimità.

Ecco, credo che le cose sarebbero potute migliorare proprio da quel sesso a livelli irripetibili.

Mi conquistò definitivamente così. Con il sesso. Con le curve, con le mani, con la droga, con la birra, con le risate, con la pazzia, con la furbizia e con le lacrime.

Ogni tanto piangeva. Da Prato non la cercava più nessuno se non due o tre parenti stretti e mi diceva spesso di avere nostalgia delle amicizie, delle sue cose e dei posti che frequentava. Così, una volta, le proposi di prendersi qualche giorno per andare a trovare i familiari, e le assicurai che l'avrei coperta io con il lavoro, dicendo che era ammalata. 

Accettò e per ringraziarmi del sostegno fece un dolce che mi servì la mattina dopo, a colazione, direttamente nel letto. Vederla così, con il sorriso, che mi accudiva, mi faceva sentire stupido, per quanto tempo mi era servito per affezionarmi a lei.

Come puoi non amare una donna che ti fa eccitare sempre e ovunque, in modi sempre diversi, che gira nuda, che è divertente ma anche sporca, che è capace di farti sentire importante e soprattutto è strainnamorata?

È vero, era anche in grado di farmi ammalare, di rendermi completamente inetto e debole, ma dopo tutto mi faceva stare bene... Ma forse solo perché ero sempre troppo fatto, di alcool, d'erba e di lei.

Purtroppo, quando tornò da Prato, mi sembrò cambiata. Quel sorriso malizioso e il sopracciglio sempre alzato, in segno di sfida o di furbizia, non lo vedevo più. Anche il sesso era un po' rallentato e in tutto questo, il lavoro le prendeva sempre più tempo. Pensai fosse un po' di stress da rientro, ma mi sbagliai.

DOLTISH DIRT CHEAP: Tutti mi chiamano Giorgio (Completo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora