Capitolo VIII

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                                                                          Capitolo Ottavo

Rimanemmo tutto il pomeriggio nella stessa posizione, zitti, immersi nel silenzio dei nostri pensieri. Era piovuto tutto il tempo, ed ero rimasto ad ascoltare il rumore rilassante della pioggia che cadeva. Ci fu anche qualche tuono e mi riscossi ogni volta. Frank invece, sembrava come su un altro pianeta: non si muoveva, non faceva nulla che mi potesse confermare che fosse vivo, e la cosa mi dava piuttosto sui nervi. Finalmente si tirò su e uscì dalla stanza. Per un momento pensai di seguirlo, era quello che avrei voluto fare, ma qualcosa impediva alle mie gambe mi muoversi e prendere il controllo della situazione, così rimasi lì immobile sopra il mio letto.
Dopo non so quanto sentii la voce di Jason che annunciava che la cena era pronta. Da quando era morta Lucy i nostri pasti consistevano in cibo pronto, da riscaldare, oppure ordinato; ma col tempo Jason stava anche imparando a fare qualcosa da solo.
Scesi di malavoglia le scale e raggiunsi la cucina dove mangiavamo sempre tutti insieme. La cosa non mi entusiasmava molto. Preferivo stare da solo e dover condividere la tavola con altre nove persone non mi piaceva, ma dovevo pur mangiare, e quello era l’unico modo possibile, eccetto qualche volta nelle quali io, Frank, e raramente Ray, eravamo rimasti a cena da qualche parte, come un fast-food o quello che vi pare.
Mi sedetti senza dire nulla al mio posto e aspettai che qualcuno mi passasse qualcosa di commestibile.
“Gerard, mi passi il piatto?” Era Jason. Obbedii e quando me lo ridiede indietro lo poggiai davanti a me senza toccare niente. Quando tutti furono serviti e cominciarono a mangiare, Jason mi venne vicino.
“Sai dove è Frank?” fece. Alzi la testa di scatto, constatando che il posto accanto a me era vuoto, Frank non era venuto a mangiare.
Mi voltai verso Jason. “No, non lo so.” Lui mi guardò preoccupato e prima che potesse dire altro mi alzai e gli dissi che lo andavo a cecare. Ma dove cazzo si era cacciato?
Senza pensarci due volte presi la mia giacca e uscii fuori. Non poteva essere in casa, qualcuno lo avrebbe visto, era sicuramente andato alla spiaggia, lo conoscevo bene.
Appena aprii la porta notai che pioveva ancora, ma non mi andava di rientrare e prendere un ombrello, così mi misi il cappuccio della felpa in testa e mi avviai verso il mare.
Oltre alla pioggia che cadeva fine era arrivato anche un sottile strato di nebbia, che però non impediva di vedere. La luna splendeva in cielo alta e illuminava tutto.
Arrivai automaticamente sulla riva, senza nemmeno pensarci, e poco lontano da me vidi un figura esile che stava in piedi sotto la pioggia e scrutava il mare. Corsi da Frank.
“Ma cosa fai?” gli gridai. Non volevo essere così brusco, ma era un idiota a lì mentre pioveva.
Lui si voltò verso di me. “Faccio quello che mi riesce fare meglio.”
Arrivai da lui e lo guardai con aria confusa.
“Faccio una cazzata” mi spiegò. “E tu non mi fermerai.”
“Dai” lo esortai, “torna a casa.” Lo presi per un braccio e cercai di trascinarlo via da lì, ma non ebbi successo. Lo guardai e notai che il suo viso, oltre ad essere bagnato dalla pioggia, era bagnato anche dalle lacrime.
Mi tolsi il cappuccio per poterlo guardare meglio. La pioggia cominciava a scendere più violentemente, ma lui non dava segni di volersene andare.
Continuava a guardare il mare, e le onde che si infrangevano sulla sabbia e in lontananza sugli scogli. Era uno spettacolo spaventoso e meraviglioso allo stesso tempo.
Con una mano gli presi il viso e feci in modo che mi guardasse negli occhi.
“Frankie” dissi tristemente, “cosa stai facendo?”
“Sono un mostro, non merito di stare qui.” Capii subito cosa intendesse e il mio cuore si strinse fino a diventare minuscolo.
“Non è vero” scossi la testa, “non sei un mostro.”
Mi guardò dritto negli occhi, i suoi erano pieni di lacrime. “No? E allora cosa sarei?”
“Tu non sei un mostro” ripetei, “sei la persona più fantastica che abbia mai conosciuto.” Era la verità, non l’avevo detto solo per farlo stare meglio, avevo detto quello che pensavo veramente.
“Ma perché lo dici se non ci credi nemmeno tu?” Era serio, fottutamente serio.
“Ma io ci credo” quasi gridai. “Frank, tu non l’hai capito che ti amo.”
“Non merito il tuo amore, non merito quello di nessuno” disse. “Dopo quello che ti ho detto, come fai a volermi ancora bene?”
Adesso avevo capito tutto. “Stai male per quello che mi hai detto ieri sera?”
Annuì. “Ho fatto una cazzata, Gerard. Non so perché, ma quello che avevo detto mi aveva spaventato. Ho paura, e non so nemmeno di cosa.” Mentre parlava grosse lacrime gli scorrevano sulle guance, fino ad arrivare sul suo collo, per poi confondersi con la pioggia. “Ti amo, ma ti ho fatto solo soffrire. Pensavo che non fosse un bene, e allora ti ho detto che non era vero nulla, ma…” Non gli feci finire la frase e premetti le mie labbra sulle sue. Non potevo sentire altre ragioni, stava male senza un motivo, stava male perché sapeva di avermi ferito, e io non volevo che accadesse. Anche se per colpa sua avevo passato le pene dell’inferno, non mi importava, io lo amavo e basta, chi se ne importava di tutto il resto.
Frank rimase un attimo imbambolato, di certo non si aspettava che lo baciassi, be’, nemmeno io, poi venne tutto naturale.
Infilai una mano nei suoi capelli fradici per la pioggia e con l’altra lo presi per un fianco, stringendolo a me.
Lui mi stringeva le braccia intorno al collo e per quanto mi riguardava dopo quel bacio sarei anche potuto morire.
A dire la verità avevo immaginato tante volte di baciarlo, ma non mi sarei mai immaginato fosse stato così bello. Non capivo più nulla, il mio cervello era appannato dalla gioia, e non avrei saputo fare due più due in quel momento.
Sentivo la pioggia fredda che mi scivolava addosso e le sue labbra sulle mie. Cominciai ad accarezzargli la schiena dolcemente, come fosse fragile vetro, e in effetti era vero. Era la persona più delicata che avessi mai conosciuto, eppure era anche forte. Non è un controsenso, è la verità. Frank era l’unione delle due cose messe insieme. Poteva essere debole nei momenti più tristi e infelici, ma se voleva era forte, anche più di quanto lo sarei potuto mai essere io.
Staccai un momento le mie labbra dalle sue e le avvicinai al suo orecchio. “Ascoltami, qualunque cosa accada, in ogni caso e per sempre, io ci sarò. Capito? Non ti lascerò mai, dovesse finire il mondo in questo istante.” Lo guardai in faccia e vidi che piangeva ancora. La pioggia si era un po’ calmata, ma non dava segni di smettere.
Gli asciugai il viso come meglio potevo con le mani e lo abbracciai. Lui si strinse a me e cominciò a singhiozzare. “Davvero” fece con voce tremante, “io non volevo dirti quelle cosa. Mi dispiace Gerard.”
“Sh, zitto.” Lo bacia sulla testa, mentre il suo petto si alzava e abbassava, scuotendosi violentemente.
Gli asciugai ancora una volta il viso e gli scostai i capelli bagnati dalla fronte. “Non devi essere dispiaciuto.”
Mi guardava negli occhi come se fossi la sua unica speranza di salvezza, e forse era vero. Si alzò sulle punte, e questa volta fu lui a baciarmi. Era disperato, e io non potevo fare altro che amarlo e amarlo ancora.
Gli infilai una mano sotto la felpa e incontrai la sua pelle fredda e liscia. Aveva la pelle d’oca per via dell’acqua gelida che gli scorreva addosso e la strofinai per riscaldarlo.
Ci staccammo una seconda volta. “Adesso andiamo” dissi. Mi prese per mano e insieme ripercorremmo la strada fino a casa.
Avevano tutti già mangiato e c’era solo Jason ad aspettarci. “Tutto okay?” ci chiese.
Io gli sorrisi e gli dissi che era tutto okay e che poteva andare a letto.
Andammo in camera e entrambi ci cambiammo i vestiti bagnati, poi io scesi  e presi qualcosa da mangiare, visto che nessuno di noi aveva cenato.
Ci addormentammo nel mio letto, abbracciati. Eravamo entrambi stanchi e stremati.

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