Capitolo 11

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Ero in mezzo ad un bosco, gli alberi secchi e senza foglie proiettavano ombre nere ed inquietanti sul terreno. Il terreno era bianco. Era neve, ghiacciata. Allungai una mano da sotto la coperta in cui ero avvolta, scura come i tronchi, per sfiorare la superficie gelata del terreno candido. Ero sola in mezzo ad un bosco, in mezzo alla neve, avvolta in nient'altro che una coperta. E tutto intorno a me non c'era altro che alberi e freddo, ma io stavo al caldo. La testa iniziò a girarmi e, stanca mi accasciai al suolo, per poi cadere nel sonno. Uno sonno che in realtà si rivelò il risveglio dalla dormita agitata che mi ero fatta questa notte. Era domenica mattina ed erano appena le 6, ma non riuscivo più ad addormentarmi. Cominciai a riflettere sugli ultimi giorni, il mio primo pensiero fu per Adam. Quello stronzo di ragazzo che si ritrovava non gli aveva detto niente, ma gli avrei parlato al più presto, o avrei detto io tutto al mio migliore amico. Non ce la facevo a vederlo soffrire per la freddezza di un ragazzo che nel frattempo se la faceva di nascosto con un quasi sconosciuto. E poi lui era il mio Adam. La roccia della mia vita, quello che mi consolava sempre e portava un sorriso nelle mie giornate buie. Ora però i ruoli dovevano invertirsi, ero io quella che doveva sostenerlo e stargli accanto, specialmente dal momento in cui Shane decidere di confessargli tutto quanto. Però non riesco a fare la parte forte del nostro rapporto, perché io non sono forte. Io reprimo tutte le emozioni, sorrido, ma mi tengo tutto dentro, non riesco a piangere o sfogarmi, e accumulo tutto, e Dio solo sa cosa abbia io dentro ora, lo sa meglio lui di me.
Poi dall'arrivo di Ryan nella mia vita, da quello stupendo maledetto giorno, tutto si era complicato. Avevo iniziato a provare sentimenti a me prima sconosciuti, e a cercare di reprimerli. Senza successo. Quelli spingevano forte e cercavano di venire fuori, di fare qualcosa, non volevano saperne di stare li fermi dentro di me. E questo era un ulteriore casino per me che dovevo sempre avere tutto sotto controllo, soprattutto le emozioni. Negli ultimi giorni, dopo che ero marciata dentro casa di Ryan e avevo urlato addosso a Shane, mi ero vista un paio di volte con Ryan da sola. Film, passeggiate, chiacchierate, le solite cose che fanno due ragazzi che si stanno conoscendo. Però noi ci conosciamo già, ci conosciamo dentro. Poi ogni tanto quando ne ha voglia mi chiama e parliamo un po, ma la cosa irritante è che l'argomento principale delle nostre discussioni sono il mio amico e il suo ragazzo traditore.
Durante tutti questi miei ragionamenti, mi ero inconsapevolmente alzata dal letto ed ero scesa in cucina, quindi, già che ero lì, feci colazione con latte e cereali. Stavo giusto organizzando il programma di tutta la mia giornata oziosa, che assolutamente non sfiorava nemmeno l'idea Ryan, che il campanello suonò.
Mi avviai alla porta con in mano la tazza e masticando cereali come un camionista, con i capelli arruffati per la notte, reggiseno, pantaloncini e coperta intorno, convinta che fosse Adam in cerca di coccole, e non volendo nemmeno pensare alle condizioni della mia faccia, ed aprii.
Solo che non c'era neanche l'ombra del mio migliore amico li fuori, c'era tutt'altro. Nel mio fantastico zerbino stava in piedi Ryan, in ordine ma apparentemente ansioso, in attesa che lo facessi entrare in casa mia. E così feci. Poi però pensai a come ero ridotta io, sia internamente che esternamente.
"Ma.. tu.. ma che ci fai qui? Sono le sei e mezza!"
"Scusa.. non volevo svegliar-"
"Non mi hai svegliata. Ma perché? Non potevi avvisare? Guarda come sono ridotta! No anzi, non guardare."
"Eh ecco.. in realtà il preavviso non l'ho avuto nemmeno io. Ora ti spiego.. allor-"
"Noooo. Fermo. Prima mi do una sistemata."
"No non se ne parla, sennò poi non ho più il coraggio."
"Coragg-?"
"Vuoi stare zitta e ascoltarmi?! È importante. Allora.. Negli ultimi giorni no? Io.. ecco sono stato veramente bene con te, come sempre dopo tutto. Poi stamattina mi sono svegliato, cioè in realtà erano tipo le 3. E mi sono messo a pensare.. e forse non avrei dovuto, ma ormai sono qui. E ecco.. poi mi siamo venuti in mente.. noi poco tempo fa, ricordi? E ho rivissuto per un momento le stesse emozioni, e ho capito che senza quei sentimenti e quei momenti speciali io no ci voglio stare. Ecco. Mi manchi un sacco, mi mancano le coccole, le litigate, i casini, le tue labbra. E io.. ecco.."
Non lo sentivo più. In realtà non lo ascoltavo più da un po, da quando avevo capito cosa stava per dirmi. Non lo volevo ascoltare. Non poteva distruggere l'equilibrio che mi stavo creando. Non poteva e basta. Come quando la gente ti prende qualcosa senza chiedere il permesso, lui si stava prendendo proprio me però. I miei fianchi iniziarono ad essere caldi, e mi accorsi che mi aveva appoggiato li le mani, calde, morbide e leggere. Seguii velocemente con lo sguardo le sue braccia fino al collo e poi al viso, decisi di allontanarlo perché non doveva succedere nient'altro. Ma prima che potessi aprire bocca, annulló la piccola distanza che ci separava, facendo scontrare le nostre labbra in un bacio. Il mio cervello si spense completamente e mi sbilanciai indietro, andando addosso al divano e cadendo dall'altra parte di questo.
Almeno non eravamo più appiccicati, ora c'era in mezzo pure un divano. Indietreggiai sul pavimento fissandolo. Ero terrorizzata. Terrorizzata da quello che mi aveva appena fatto scoppiare dentro, terrorizzata dal ricadere nella forza che esercitava lui su di me, dall'amare qualcuno, dall'essere amata, dalla paura di soffrire.
"No.. no"
"Alex.."
"No! Non puoi averlo fatto. Tu non lo hai fatto. Ora esci e non è successo niente. E stato un brutto sogno. Solo un brutto incubo di cui mi dimenticherò appena sveglia. Come la neve. Come gli alberi e le ombre."
"Non è stato un brutto sogno Alex.. sono stato io. Perché voglio che quello diventi la nostra quotidianità, voglio poterti tenere tra le braccia quando mi pare, e voglio poterti urlare addosso per le cazzate che mi fanno arrabbiare. Voglio amarti Alex.. e so che tu vuoi lo stesso."
Nel frattempo mi ero alzata e lo avevo raggiunto. Ora stavo in piedi davanti a lui, li fissavo, e intanto realizzavo cosa mi aveva appena detto. E la solita familiare paura di qualcosa di indefinito aprì un buco da qualche ignota parte del mio torace, formando un vuoto, come quello del bosco.
"No.. tu non puoi.. non vogliamo. Non voglio. Tu non vuoi. Non puoi averlo fatto! Cazzo!" e senza accorgermene gli stavo urlando e piangendo addosso spingendolo fuori dalla mia casa con dei pugni stanchi e deboli. Poi chiusi la porta e la percorsi sulla schiena. Fino ad arrivare al pavimento, freddo e duro, come il ghiaccio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 25, 2015 ⏰

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